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Musica

L'Italia dovrebbe accorgersi di Sequoyah Tiger

Leila Gharib, da Verona, è una delle poche artiste italiane per cui il discorso "cantato in inglese = respiro internazionale" è vero.
Carlotta Sisti
Milan, IT
sequoyah-tiger

C’è stato un momento esatto, durante il concerto di Sequoyah Tiger di fine 2017 al Tunnel di Reggio Emilia, in cui quella cosa che stava accadendo sul palco ha smesso di colpo di essere strana e straniante, ed è, invece, diventata perfetta: è stato quando in scena sono comparse le bandiere, di cui una con su scritto “classic”, a dirci che eravamo tutti lì per fare il tifo per un comune senso di libertà. Lì s’è accesa l’emozione ideale, e cioè quella che ti gasa, eppure allo stesso tempo ti commuove fino al midollo, sciogliendo nodi che nemmeno immaginavi di avere, e alla fine ti fa stare bene. Ma per arrivarci s’è dovuto superare un primo momento di rigidità mista a imbarazzo e pudore dovuto a quella performance così aliena, fatta di musica, ginnastica, danza, mimica e posizione fisiche allo stremo, il tutto eseguito a muso duro davanti a poche decine di persone.

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sequoyah tiger parabolabandit

La copertina di Parabolabandit di Sequoyah Tiger. Cliccaci sopra per ascoltarlo su Bandcamp.

Leila Gharib, che ha il papà iraniano ma è nata e cresciuta a Verona dove ha iniziato a fare musica nella band post punk Bikini The Cat, non la si può capire se non la si vede live, perché è lì che, accompagnata dalla ballerina Sonia Brunelli, dà forma a uno show essenziale nella strumentazione, ma più che robusto nel suo intreccio tra dimensione musicale e dimensioni emotive, statuarie, geometriche, animalesche, simboliche. I corpi e il suono passano da una dimensione all’altra, in una dinamica che, come he detto lei stessa in un’intervista a Kalporz, “conduce ad un’apertura dei sensi percettivi”. E lo fa eccome, tant’è che le facce del pubblico quella sera di dicembre, si sono come sciolte, rilassate, distese, libere finalmente dalle paresi sociali (che diventano somatiche) che ci imponiamo; se non è potenza dell’arte questa allora non so proprio che cosa possa esserlo.

Non c’è nulla di provocatorio nel modo che Sequoyah Tiger ha di presentare dal vivo i suoi pezzi: dalle movenze che richiamano gesti atletici agli scatti robotici fino al look sportswear ma in versione retrò, tutto è così perché è mosso da una sincera voglia di esplorare, di spostare/annullare i limiti dell’arte, e di farlo, o comunque provare a farlo, insieme al pubblico, e questa genuinità me l’ha fatta amare moltissimo. Ancora di più di quanto già non la amassi mentre fagocitavo il suo primo album Parabolabandit, uscito per l’etichetta tedesca Morr Music con cui aveva già pubblicato l’EP Ta-Ta-Ta-Time. Mi sono sempre chiesta perché diamine non parlassero tutti di quel disco. E me lo chiedo ancora, visto che pezzi come “Punta Otok”, puro synth-pop metallizzato, “A place Where People Disappear” con il suo crescendo vertiginoso, ansiogeno, irresistibile, il perfetto agrodolce di “Cassius” o i tropicalismi inaspettati e matti di "Lemur Catta" non hanno, a mio avviso, granché da invidiare ai lavori di artisti come Grimes o i Beach House a cui spesso viene paragonata.

Eppure Sequoyah Tiger è rimasta un po’ nell’ombra, altamente sottovalutata forse per l'utilizzo dell'inglese, usato (cosa rara) con grande credibilità. Del suo talento si è detto poco proprio nel momento in cui tutti si esaltavano per il momento d’oro della musica italiana - purché facilmente etichettabile, che fosse itpop, trap, indie, sexy pop, urban, vaporwave. Sembra che in Italia ci sia quasi un sospetto per chi, per natura e non per posa, proprio non rientra in alcuna categoria, e Leila è la scheggia impazzita per eccellenza, un’artista che fonda il suo equilibrio sulle dicotomie, quando, per esempio, anche all’interno dello stesso pezzo (come accade in “A Place Where People Disappear”) ribalta più volte l’ambiente sonoro, cambiando metrica e, di conseguenza, l’emotività del momento. Leila è una musicista che frulla i generi, senza aggressività ma con competenza, e li fa brillare di nuova luce. Troppo "alta", come musica? No, perché se lo vogliamo propio riassumere all’osso la parola più giusta da usare sarebbe pop, tanto più che lei stessa dice che “nel pop ci sguazzo”, anche se poi aggiunge che la sua “sperimentazione è quella di spingere a fondo le leve classiche ed attraverso la composizione e la produzione del suono cerco di far precipitare i pezzi in zone inaspettate”. Un pop, dunque, imprevedibile, coraggioso o, come ha raccontato a Freeda “timoroso ma comprensibile, ma è solo una questione di abitudine”, che ora ti accarezza e ora ti strattona, ma che non ti fa girare a vuoto: se ascolti Sequoyah Tiger, stai sicura, da qualche parte arriverai. Dove, però, non dipende più da lei, ma da te e da quanto sei disposta a lasciarti andare. Carlotta è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.