Musica

Franco Battiato aveva già previsto la crisi climatica

E mica solo lui: ad esempio, vi siete mai accorti che “La canzone del sole” non è solo un pezzo da falò sulla spiaggia ma anche un grido disperato per l’ambiente?
Franco Battiato la vo
La copertina di 'La voce del padrone' di Franco Battiato

Da qualche tempo, l'ecologia è tornata a essere uno degli argomenti principali ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica. Soprattutto in Italia, una mobilitazione come quella di Fridays For Future sembra veramente inedita. Eppure, a dirla tutta, in Italia c’è sempre stata una certa attenzione al problema, soprattutto nella musica, perché è lo strumento più diretto per dare l’allarme, molto più che un partito o una petizione o uno slogan.

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Bene, oggi Italian Folgorati vuole fare un excursus su alcune canzoni che a nostro parere sono il contributo italiano alla lotta per un pianeta migliore o come minimo che prenda coscienza di se stesso. E quindi è giocoforza una contro-storia: tra i tanti tentativi di retrospettiva diffusi in rete, infatti, ci troviamo di fronte ad una ricerca incerta, ferma ai soliti nomi, ai classici, insomma… a una roba trita e ritrita. Siccome noi di carne, trita o no, vogliamo mangiarne il meno possibile per salvare il pianeta e non gradiamo le insalate preconfezionate, abbiamo deciso di andare un po’ più a fondo, al centro della nostra terra.

…la celeberrima "Canzone del sole", con quel mare nero che una volta era trasparente e che rappresenta la coscienza sporca dell’umanità.

Iniziamo subito a buttare giù qualche monumento: il mito di Adriano Celentano come prime mover del genere ecologista in Italia, se non proprio una balla, è sicuramente facilotto. Sì, è vero, nel 1966 con "Il ragazzo della via Gluck" Celentano rese mainstream la critica a un’industrializzazione che cominciava a schiacciare l’ambiente in Italia. Prima di lui, però c’era gente come Herbert Pagani, storico autore di praticamente il 90% della musica italiana, che nel 1965 scrisse una canzone micidiale e agrodolce (a partire dalla musica di Jacques Brel): "Lombardia", che narra appunto della dura situazione del nord Italia industrializzato. I versi “Ma quando il primo fiore dal fango nascerà / e fra le ciminiere il pioppo canterà / capirai che a novembre noi dobbiamo pagare / quel che maggio promette e giugno ci può dare / fra i grattacieli e i tram l'estate scoppierà” e il continuo riferimento a un grigiore diffuso non lascia adito a dubbi.

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A partire dal 1970 Herbert diventerà, infatti, un ecologista convinto e militante, sviluppando dei progetti multimediali come l’opera rock Megalopolis—proprio a tema inquinamento. Certo, Adriano Celentano insisterà sull’ecologismo più e più volte nella sua lunga discografia tanto da poter etichettare questa sua tendenza come un'ossessione. Coerente o meno, preferiamo ricordare a “Un albero di trenta piani", una canzone come “La luce del sole” contenuta ne La pubblica ottusità del 1987. Un brano di una cupezza plumbea e apocalittica da rasentare la coldwave in cui si dipinge l’uomo intento a distruggere il mondo di suo pugno e quindi anche se stesso: Celentano (per una volta blasfemo!) se la prende addirittura con Dio per averci creato e per raccontare solo favolette nei suoi testi sacri.

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La copertina de La pubblica ottusità di Adriano Celentano, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

A seguire il molleggiato, ecco un altro personaggio pronto a schierarsi apertamente e in tempi non sospetti a favore dell’ambiente: Mogol. A parte la famosa cavalcata insieme a Battisti da Milano fino a Roma che fece parte di Linea Verde, un progetto ambientalista fondato proprio da Mogol per sensibilizzare il mondo della musica, Giulio Rapetti scrisse per Battisti alcuni testi sul tema—uno tra i tanti la celeberrima "La canzone del sole", con quel mare nero che una volta era trasparente e che rappresenta la coscienza sporca dell’umanità.

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Ma il migliore, e mai ricordato, è quello che si limita a un titolo wertmülleriano ed è presente nell’album Amore e non amore del 1971, prevalentemente composto di strumentali. E infatti è strumentale anche "Seduto sotto un platano con una margherita in bocca guardando il fiume nero macchiato dalla schiuma bianca dei detersivi” il quale evoca una situazione distopica in cui lo spirito ye-ye del progresso cozza contro una natura (gli archi) che cerca di resistere drammaticamente all’assalto consumista. L'anno dopo, tra l'altro, Battisti svilupperà il concetto nel brano "Umanamente uomo: il sogno".

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La copertina di Pollution di Franco Battiato, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Nel 1972 invece a ribellarsi contro la sopraffazione del mondo moderno su madre terra è…Domenico Modugno. In quest’anno scrive, infatti "Un calcio alla città”, pezzo clamoroso in cui non solo decide di mandare affanculo il lavoro e il capoufficio ma inneggia al naturismo, quasi un “elfo” ante litteram con tanto di eloquente gesto nel togliersi la cravatta durante le esecuzioni del pezzo in TV. E se anche la “tradizione” della musica italiana ne ha abbastanza, ecco l’underground dell’epoca che alza la posta critica: Battiato nello stesso anno pubblica per la Bla Bla il disco Pollution, un concept album estremo tra l’elettronica e il post-progressive completamente dedicato al problema dell’inquinamento.

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Il brano che annichilisce tutti i tifosi del progresso a tutti i costi è chiaramente “Ti sei mai chiesto quale funzione hai?” in cui una semplice domanda del genere rende l’uomo moderno preda di horror vacui senza fine, schiacciato com’è tra “serbatoi di produzione” e “spazi su misura”. Negli anni ottanta, insieme a Giusto Pio, registrerà un brano che ne è in qualche modo la prosecuzione, "Auto-motion", sulle onde di un synthpop intricato e neoclassico si narra, infatti, di un mondo oramai preda degli algoritmi e della liofilizzazione, di sconvolgimenti climatici nell’universo “e della Terrà non resterà che un pallido ricordo” un verso evidentemente senz’appello.

Nel 1984 Battiato narrava di un mondo oramai preda degli algoritmi e della liofilizzazione, di sconvolgimenti climatici nell’universo.

Nel 1974 è la volta degli Area, che in Caution Radiation Area, a tutt’oggi il loro disco più incompromissorio, descrivono una civiltà oramai al collasso, inquinata non solo dal punto di vista naturale ma soprattutto nella mente umana. Ecco che in brani come "MIRage? Mirage!" si evocano fumi tossici che frantumano le capacità di linguaggio e di pensiero, con dialoghi sovrapposti e dunque incomprensibili e tetri paesaggi desertici calpestati da zombie allo stato terminale. Un bis arriverà con Chernobyl 7991 del 1997 ma ovviamente con meno incisività, vista l’assenza di Stratos e Tavolazzi.

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Il prog italiano è forse il più attento al tema: basti ricordare "Cemento Armato" delle Orme, nel 1971 vero e proprio manifesto contro “la grande città / senti la vita che se ne va”. Ma anche Il Volo, il supergruppo di Alberto Radius e Mario Lavezzi, nel 1974 con l’allucinato jazz rock de "La canzone del nostro tempo” spiega come sia “difficile arare l’asfalto” in un inno a una vita nomade e alla fuga dalla civiltà nelle parole (c’era da aspettarselo) di un ispirato quanto esaltato Mogol.

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La copertina del singolo "Anidride Solforosa" di Lucio Dalla, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Nel frattempo entra in gioco Lucio Dalla, che coadiuvato dal poeta Roberto Roversi darà vita al desolato requiem di “Anidride solforosa”: anche se ricordato spesso insieme a "Il bambino di fumo" come la sua canzone ecologista per antonomasia, molti invece dimenticano che "Il motore del duemila" la supera. Perché lì l’ecologismo è dipinto come presto assorbito dalla produzione, dal potere, diventando fonte d’insensibilità e sparizione della coscienza del "ragazzo del duemila" di cui non si conosce il futuro nonostante sulla carta sia roseo. Dalla si supererà poi nella metafora di “Com’è profondo il mare", che paragonando il pensiero all’oceano fa due più due nel verso “così stanno bruciando il mare così stanno uccidendo il mare”. Uccidere la natura è uguale a uccidere il libero pensiero, e viceversa.

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Vero è che molte canzoni ecologiste si confondono nel micro genere “apocalittico” o “post-nucleare”, e a volte il confine è sottilissimo. Pensiamo infatti ad Antonello Venditti e alla sua “Canzone per Seveso” del 1976, appunto dedicata al disastro di Seveso, quando dall’azienda ICMESA vi fu una fuoriuscita di diossina che causò una delle più terribili catastrofi ambientali mai viste. Affiancato da Ivan Graziani nel particolare arrangiamento, vede strumenti che sembrano andare fuori controllo pur nell’armonia evocando scale discendenti verso l’inferno di una tragedia pop. Tragedia che negli anni ottanta non accennava a spegnersi, anzi: diventerà sempre più pesante culminando nel disastro di Chernobyl.

Dalla si supererà poi nella metafora di “Com’è profondo il mare": uccidere la natura è uguale a uccidere il libero pensiero, e viceversa.

Nel 1980 esce "Suffocation" di Vangelis, che vede ospiti i Krisma a recitare un testo agghiacciante con una musica letteralmente radioattiva a recuperare il passato di Seveso come monito verso il presente e il futuro, oramai dominato dalla nuclearizzazione. I Krisma approfondiranno questo discorso ecologico/futurista nella loro pietra miliare, ovvero Clandestine Anticipation, disco penetrato da un technopop addirittura pre-Autechre, se non proprio pre-Warp, che evoca scenari in cui, dopo un’attenta osservazione sul campo approfittando del soggiorno in luoghi tropicali, l’uomo e la natura spariscono aggrediti dalla tecnologia nelle mani di pochi arricchiti. "Water" è la traccia simbolo, con quella domanda inquietante, "Puoi lavare l’acqua?, che oggi avrebbe anche una risposta nelle ultime ricerche scientifiche stile Oleo Sponge, ma che rimane confinata in un altrettanto inquietante condizionale.

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In tema di spiagge contaminate e disastri ecologici, i Righeira nello stesso anno toccheranno l’apice con "Vamos a la playa", canzone di grandissimo successo di cui nessuno ha veramente compreso il testo, fatto di “vento radioattivo “ di un “mare fluorescente” e di una bomba che esplode tramutando un paradiso terrestre in un incubo di plastica. A ruota li segue Adriano Pappalardo che nel 1982 fa uscire il singolo technopop “Giallo uguale sole”, tratto dall’album Immersione, un concept sul mare: in questo pezzo s’incita alla fuga dalla città e dai fumi tossici che rendono tutto nero a favore di spiagge incontaminate in cui l’unico scuro visibile sono gli occhi delle indigene.

righeira vamos a la playa

La copertina del singolo "Vamos a la Playa" dei Righeira, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Non sono dello stesso avviso i Matia Bazar, che nella punta di diamante Tango scrivono un pezzo postnucleare come “I bambini di poi”, nel quale le nuove generazioni si ritrovano un “sole di Sorrento sopra un mare che non c’è”, invitando a riflettere “dove sono gli eroi”. Anche la Steve Rogers Band, gruppo di Vasco Rossi, è dell’avviso che siamo vicini alla fine con l’esplicita e glamster “Neve nera”, scritta pochi anni prima proprio da Vasco come loro primo singolo ufficiale, uno dei pochi brani esplicitamente dedicati all’ambiente dal rocker di Zocca.

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Di fronte a tanto pessimismo nascosto dalla patina apparentemente spensierata della canzonetta, l’Umberto Tozzi di "Eva", in piena botta sperimentale, predice una terra che collassa su se stessa (“di follia scoppierà mezza umanità”), ma è sicuro che la vita ricomincerà altrove evocando una nuova arca di Noè—la stessa di Battiato, che ancora una volta, nell'omonimo disco del 1982 dalla cui copertina in cui spicca un paesaggio stile glaciazione, strizza l'occhio ad un probabile se non necessario “Esodo".

La Bertè nel 1985 canta un testo di Bruno Lauzi privo di dubbi sul fatto che l’energia della natura trascinerà nella sua potenza tutto il male del mondo e con lui chi vuole renderla putrida.

Nell’84 Fabio Concato, invece, fa parlare in "Quando sarò grande" le nuove generazioni, che vogliono responsabilità precise dai loro predecessori: "Fammi giocare ancora sopra i campi se ce n'è / Dimmi che mi terrai con te / Fammi vedere il mare prima che cambi il suo colore / Dimmi che posso vederti pescare”: qui più che sull’ottimismo si fa leva sulla speranza. Speranza condivisa anche dalla Bertè in "Acqua" nel 1985 tratta dall’album Carioca canta un testo di Bruno Lauzi privo di dubbi sul fatto che l’energia della natura trascinerà nella sua potenza tutto il male del mondo e con lui chi vuole renderla putrida.

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Tra gli ottimisti ci sono anche i Pooh, che negli anni ottanta collaboreranno direttamente col WWF distinguendosi per album prodotti con carta riciclata e iniziative di raccolta fondi per nobili cause ecologiste, probabilmente tra i pochi veramente attivi del lotto. Nel 1989 pubblicano un 12” in vinile verde con una strumentale epica che riprende certe cose dei Pink Floyd del periodo A Momentary Lapse Of Reason e che anticipa un po’ le attuali fisse green-oriented di James Ferraro: il titolo è "Concerto per un’oasi". Sul retro c'è un recupero dal disco Il colore dei pensieri, "Nell’erba nell’acqua nel vento”, in cui si è sicuri che “il mondo ha la pelle dura“ e che quindi “l’avventura continuerà”, con buona pace del Pierangelo Bertoli di "Eppure soffia", che pare pensarla in modo identico.

pierangelo bertoli eppure soffia

La copertina di Eppure Soffia di Pierangelo Bertoli, cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

Lo stesso Bennato in "Vendo Bagnoli", nel medesimo anno, fa ironia sull'inadempienza delle autorità rispetto alla riqualifica del territorio partenope una volta sede delle perniciose acciaierie Italsider, distinguendosi già in passato con inni para-ecologici come “La torre di babele”, “Nisida” e la furiosa "Uffà Uffà” con quei versi "Perché non provate a sfruttare l’energia del sole, oppure provate a prendere energia dal mare” diretti contro lo sfruttamento petrolifero.

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Nel 1989 esce anche il 45 giri di Jo Squillo “Terra magica”, titletrack dell’omonimo album dell’anno precedente in cui aderisce agli emergenti soggetti new age con un anatema tra il rock e l’HNRG. La nostra ex eroina del punk ci porta quindi direttamente nei novanta passando per i CCCP Fedeli alla linea, autori di un brano simbolo dell’ecologia del periodo: la psichedelica e fluttuante "Campestre", presente nel loro canto del cigno Epica etica etnica pathos. Più tardi, non a caso, interpreteranno il classico brano apocalittico “Noi non ci saremo” dei Nomadi. Una semplice, ermetica e potente elegia alla natura senza atteggiamenti bacchettoni di sorta, un'accorata descrizione di qualcosa d’inarrestabile, divina e necessaria all’uomo.

"Campestre" dei CCCP: una semplice, ermetica e potente elegia alla natura senza atteggiamenti bacchettoni di sorta, un'accorata descrizione di qualcosa d’inarrestabile, divina e necessaria all’uomo.

Anche Baglioni tocca le corde dell’ambiente come tutt’uno con l’uomo nella solenne "Pace", preghiera new age contenuta nel disco della svolta, quell'Oltre registrato ai Real World Studios di Peter Gabriel e con, tra gli altri, Tony Levin dei King Crimson al basso: “L'immenso soffio dell'oceano / Mi spinge via con sé a naufragare / Su spiagge chiare / A un passo dalla vita muoiono / Conchiglie e nelle orecchie ancora il mare / S'arrampicano in cima con quei ginocchi secchi / E tutto il mondo giù respirano / Si fanno roccia / E al sole un'altra volta guardano / Poi chiudono per sempre gli occhi gli stambecchi." Insomma, non possiamo sperare nella pace se schiacciamo la natura, questo è chiaro.

Infatti egli anni 2000 il problema sarà meno peculiare nelle canzoni delle nuove leve, forse più concentrate sull’ecologia dei sentimenti e quindi sulle nevrosi come prima cosa da sanare per poi passare al salvataggio del globo terracqueo—ricordiamo in questo gli Zerozen apocalittici di "Zona Bikini". Tra le vecchie glorie a cui invece l’argomento verde sta ancora a cuore, segnaliamo i Decibel della ballata stile Sparks “La belle époque”, che descrive l’ottimismo della prima industrializzazione e quindi della tecnologia in crescita che nella sua vetrina luccicante contiene invece la guerra e la devastazione di un pianeta che va in fiamme. nell’82 invece, orfani di Ruggeri, scrissero “Valzer bianco radioattivo”, in cui anche li ironicamente si cantava dei rischi della radioattività ormai data per scontata nel quotidiano).

tofani rocchi gusto superiore

È vero che, se in questo momento finalmente si sono tutti svegliati, c’è poca gente che veramente milita verde nelle canzoni pop. Non ci sono più le Paula Rose di "Sos Pianeta Terra" o della stranissima "Regina bomba re computer”, in cui la cosa sembra davvero imprescindibile se non patologica, oppure le sberle verbali dei Claudio Rocchi e Paolo Tofani nel mitico brano del 1980 “La macellazione” in cui viene spiattellata la sofferenza degli animali davanti ad uomini che non hanno più le mani sporche di sangue e quindi neanche la percezione del delitto poiché la carne è ben divisa dal cellophane dei supermercati. C’è Piero Pelù con l’imbarazzante ed evidentemente pelosa "Picnic all’Inferno" e il finto duetto con Greta Thunberg, ecco cosa c’è: ed è un peccato, perché una volta cantava "Peste" con i Litfiba e sembrava fosse veramente sincero sul tema.

Dite bene, questa è solo una sintetica carrellata di brani, per forza di cose pescati dal mucchio: non generalizziamo. Ma quest’odierna assenza di portavoci pop, a parte a causa dell’autoreferenzialità diffusa, non sarà dovuta al fatto che le fabbriche di dischi e strumenti musicali e pc e via dicendo inquinano a stecca? Beh, a noi basterebbe anche solo che certi cantanti non riempissero di cicche le dune o che chiamassero l’AMA per portar via i materassi. “Tanto a morire sono solo e sempre gli altri”, parafrasando Claudio Rocchi. Demented è su Instagram e su Twitter. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook. Leggi anche: