Cultura

Quello che sappiamo sul coming out ce lo hanno insegnato anche le serie tv

Come la trattazione del coming out, da "Ellen" in poi, ci ha fatto capire un po’ meglio le sensazioni di chi affronta la decisione di compiere o meno questo grande passo.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT
skins
Emily e Naomi di Skins. Grab via Youtube.

Questo articolo è realizzato in occasione del Coming Out Day di oggi 11 ottobre, e per il lancio del progetto di IKEA Italia #ComingOutOfTheCloset, dedicato alle storie e i pensieri sul coming out. Per saperne di più, vai in fondo al post.

Anche se forse all’epoca non se ne comprende la portata, la sera del 30 aprile 1997 è una piccola grande rivoluzione nella storia della comunità LGBTQ+. Oltre 42 milioni di telespettatori statunitensi sono sintonizzati sulla ABC per un nuovo episodio della quarta stagione di Ellen. I più stanno aspettando il momento esatto in cui quella Ellen dirà “Susan, I’m gay”—avvicinandosi accidentalmente ad un microfono acceso, in un aeroporto stipato di gente.

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Di accidentale, in realtà, c’è ben poco: quella scena arrivava a conclusione di un’accesa trattativa tra la ABC e Ellen DeGeneres, una copertina del Time dedicata al suo coming out e una coraggiosa intervista rilasciata a Oprah andata in onda poche ore prima dello show. Detto in altre parole: uno dei primissimi coming out nella storia delle serie tv, quello del personaggio Ellen Morgan, è coinciso con quello della sua interprete nella vita reale.

Quando nel 2016, molti anni dopo, l’allora presidente Barack Obama consegna a Ellen la medaglia presidenziale della libertà, che viene conferita a chi ha contribuito “agli interessi nazionali degli Stati Uniti, per la pace nel mondo, per la cultura o per altra significativa iniziativa pubblica o privata," sottolinea anche “quanto coraggio è stato necessario affinché Ellen facesse coming out in uno dei palcoscenici più pubblici di vent’anni fa.” Soprattutto perché essersi dichiarata le creerà non poche difficoltà, tra critici che la chiamano “degenerata” e la cancellazione della sitcom dopo una stagione.

Ma—dato che il coming out per definizione è una scelta personale—lo rifarebbe? "Mi è stato davvero di insegnamento," ha dichiarato di recente DeGeneres. "Non importa quanto mi sia costato al tempo. È sempre importante [ricordare] che qualunque cosa si creda, qualunque sia la nostra essenza, siamo tutti individui, siamo tutti unici e dovremmo essere quell’esatta persona."

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Probabilmente, se Ellen avesse fatto una scelta diversa non avremmo assistito così velocemente ad altri due fenomeni interessanti nel mondo delle serie tv. Il primo è la forsennata creazione di serie tv incentrate sulle vite di protagonisti LGBTQ+: nel 1998 la NBC lancia Will & Grace, situation comedy sulla convivenza di un avvocato gay e un’amica arredatrice d’interni; nel 1999 sulla britannica Channel Four trova spazio Queer as Folk, serie sulle vite di tre ragazzi gay di Manchester, e di cui Showtime produce il più longevo remake americano; nel 2004 sempre sul medesimo canale arriva The L Word, basato sulla vita di un gruppo di ragazze in prevalenza lesbiche, e così via.

Tutti questi prodotti sono indirizzati a un pubblico queer—a eccezion fatta per Will & Grace, che vince presto anche la scommessa del pubblico generalista. “Penso che nell’educare il pubblico americano Will & Grace abbia fatto quasi più di ogni altra cosa,” ha detto il vice presidente americano Joe Biden durante il dibattito sui matrimoni egualitari, poi diventati realtà nel 2015. In Italia, la serie va in onda da giugno 2003 su Italia Uno, ed è un momento altrettanto rivoluzionario: nella tv in chiaro per la prima volta è presente la prova seriale di come persone LGBTQ+ conducano una vita comune, distillata dai soliti stereotipi.

Il secondo fenomeno, invece, è l’inserimento sempre più ricorrente di almeno un personaggio LGBTQ+ nelle serie tv il cui focus centrale non è strettamente o per niente legato a tematiche queer. Non sempre la descrizione di tali personaggi è stata molto accorta, ma a quasi ogni livello è presente lo sviluppo narrativo del coming out—avvenimento diventato soprattutto nei Duemila una sorta di prassi nelle produzioni seriali, e di cui ora vedremo qualche esempio.

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Partiamo da uno dei coming out più noti nella storia delle serie tv: quello di Jack McPhee (Kerr Smith) in Dawson's Creek, teen drama andato in onda dal 2000 in Italia. Jack è in combutta con se stesso, non sa se dichiararsi, almeno fino a quando non viene obbligato a leggere una sua poesia dedicata al corpo maschile di fronte alla classe.

Questa sorta di orribile outing da parte del professore di inglese gli dà la spinta per dichiarare il suo orientamento al padre. La reazione è tutt’altro che positiva, ma Jack controbatte a ogni tentativo di vaga negazione. Si tratta di una storia non particolarmente felice, ma che mostra al pubblico quanto l’autodeterminazione di chi l’ha vissuta possa essere più incisiva di tutto il resto.

“Papà, devo dirti una cosa. Mi fa piacere che tu sia fiero di me, ma non voglio più mentirti. Fare parte del Glee Club e della squadra di football mi ha dimostrato che posso essere tutto. E la realtà è che io… Sono… Sono gay,” afferma Kurt durante una conversazione col padre nella prima stagione di Glee. E il padre risponde: “L'ho capito quando avevi tre anni. […] Mi sa di non amare follemente l'idea, ma è quello che sei. Io non posso farci niente e ti amo allo stesso modo.”

Una delle serie tv che invece spiega al meglio quanto il tempo di gestazione di un coming out sia personale è Trasparent: il prodotto Amazon Prime parte dalla confessione dell’insegnante in pensione Mort Pfefferman (nome solo anagrafico) di aver vissuto per tutta la vita nel corpo sbagliato ai propri tre figli. A poco a poco questi ultimi—la cui reazione iniziale è di stordimento—accoglieranno il percorso transgender del genitore, imparando a conoscere davvero chi li ha cresciuti: Maura.

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Tutti questi momenti sono ascrivibili al mondo della fiction, ma la verità è che sono più attinenti alla realtà di quanto si possa immaginare. Prendete Jack: il produttore esecutivo e sceneggiatore di Dawson’s Creek Kevin Williamson —in occasione della reunion del cast per una copertina celebrativa di Entertainment Weeklyha dichiarato che il tutto è stato ispirato dai suoi trascorsi personali. O ancora Kurt: Chris Colfer, il personaggio che lo interpreta, ha fatto coming out proprio durante la messa in onda di Glee, diventando a 19 anni l’attore gay dichiarato più giovane di Hollywood. Infine, sul personaggio di Maura: la creatrice di Transparent Jill Soloway, nel salotto di—guarda un po’—Ellen, ha affermato che il personaggio è stato ispirato alla storia del genitore ultrasettantenne.

Tutto questo ha dato i suoi frutti: secondo l’ultimo rapporto annuale di GLAAD, infatti, la rappresentazione della comunità LGBTQ+ nei prodotti seriali non è mai stata così ampia. Negli USA l’8,8 percento dei personaggi nelle serie in prima serata è queer, e ad oggi possiamo contare esempi interessanti come i remake di Skam nel mondo, Orange is the new Black, The 100, Sex Education, Euphoria, The Umbrella Academy, e il nuovo Tales of the city—entrambe, queste ultime, serie con Ellen Page, attrice dichiaratamente LGBTQ+. “"Sono qui oggi perché sono gay, e perché forse posso fare la differenza. Sono stanca di nascondermi e sono stanca di tacere pezzi di verità," dichiara davanti alla platea della Human Rights Campaign's Time a Las Vegas del 2014.

Quello che sappiamo sul coming out, insomma, ce lo hanno insegnato anche le serie tv. L’importante, come dimostra la storia di Naomi in Skins, è non mettere e mettersi mai fretta. Perché solo tu puoi decidere quando è arrivato il momento, gli amici (veri) capiranno.

In occasione dell'iniziativa di IKEA Italia #ComingOutOfTheCloset, nei negozi di Milano, Roma e Napoli, Ikea invita dall’11 al 13 ottobre i visitatori a vivere l’esperienza emotiva delle testimonianze reali da cui sono state tratte le storie custodite all’interno degli armadi. Scopri di più su Facebook e Instagram.