La sbroccata di Billy Joel a Mosca fece un buco nella Cortina di Ferro
Illustration by John Garrison

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Musica

La sbroccata di Billy Joel a Mosca fece un buco nella Cortina di Ferro

Era il 1987 e il pianista cercò di creare un ponte tra USA e URSS, solo che qualcosa andò storto.

Quando Billy Joel arrivò in Unione Sovietica per una serie di sei concerti, era già visibilmente esaurito da 11 mesi consecutivi di tour. Il cantante trentottenne si portava dietro una squadra di 130 persone, tra cui moglie e figlia di un anno e mezzo, e quel viaggio lo stava pagando due milioni e mezzo dei suoi dollari, soldi che sapeva non avrebbe recuperato. La sua voce era stanca e temeva che avrebbe ceduto da un momento all'altro. A tutto questo bisogna aggiungere che il mondo intero gli teneva gli occhi addosso. Il fatto di essere uno dei primi artisti famosi americani a esibirsi in URSS dopo la costruzione del Muro di Berlino lo metteva ancora di più sotto i riflettori, ci si aspettava che fosse un ambasciatore straordinario degli Stati Uniti durante il periodo di scongelamento nella Guerra Fredda. Ma, messa da parte la politica internazionale, si trattava pur sempre di un ragazzo di strada di Long Island—già pugile amatoriale, espulso da scuola e pop star notoriamente rissaiola con la testa calda. Era stato un lungo anno per Billy Joel, e la corda rischiava di spezzarsi. E così fu, la sera del 27 luglio 1987, davanti a 22mila persone.

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Il viaggio all'Est di Joel era stato organizzato nel corso di due anni. Quando Mikhail Gorbachev prese il controllo del Partito Comunista Sovietico nel 1985, l'Unione Sovietica virò bruscamente verso un nuovo corso, promuovendo la politica della glasnost (apertura) e della perestroika (ristrutturazione) nel tentativo di fermare la rivalità politica ed economica tra i sovietici e gli americani iniziata dopo la Seconda Guerra Mondiale. La cultura occidentale era stata esplicitamente bandita dai precedenti governi totalitari russi, ciononostante il rock'n'roll, noto prodotto d'esportazione americano, riuscì a farsi strada grazie al mercato nero. I contrabbandieri importavano i dischi dall'Occidente e poi li duplicavano incidendo le radiografie di scarto che ripescavano nella spazzatura fuori dagli ospedali. Questi dischi fatti in casa venivano venduti nei vicoli e questa pratica raggiunse un picco di popolarità durante la Beatlemania degli anni Sessanta. Si poteva tranquillamente comprare illegalmente una copia di A Hard Day's Night per le strade di Leningrado incisa sulla radiografia della mano rotta di qualche poveraccio.

Ma a Gorbachev piaceva il rock and roll. Sua moglie era una fan di Elvis ed entrambi erano grandi ammiratori di John Lennon. E mentre la musica americana occupava sempre più spazio sulle onde radio post-glasnost, Gorbachev voleva l'esperienza vera, il concerto. Così firmò insieme al presidente Reagan un accordo di scambio culturale Stati Uniti-Unione Sovietica nel tentativo di aprire una linea di comunicazione. Americani come James Taylor, i Doobie Brothers e Santana accettarono di suonare brevi scalette da festival a un concerto per la pace a Mosca nell'estate '87. Anche Elton John aveva fatto una intima performance là nel 1979. Ma quello che i russi non avevano ancora visto era un vero e proprio concerto rock da stadio, e Billy Joel era pronto a portarglielo.

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A casa, negli Stati Uniti, la gente considerava Joel un genio pop o un cantante da piano bar che aveva avuto molta fortuna. Alcuni critici mettevano in dubbio che fosse in grado di portare a termine questo compito. Quell'estate il Chicago Tribune pubblicò un articolo sull'argomento intitolato: "Billy Joel è il miglior rappresentante del rock per l'URSS?" E per quanto il Ministero della Cultura sovietico pare avesse invitato altri artisti americani, tra cui Bruce Springsteen e Stevie Wonder, Joel aveva un vantaggio rispetto a questi: lui rispose di sì. Un tour internazionale con uno show da stadio è già difficile di suo, ma la complicazione aggiuntiva di recarsi in territori inesplorati sembrò spaventare tutti gli altri artisti. Joel fu il primo a prendere la palla al balzo e a concludere un accordo da sei concerti tra luglio e agosto 1987.

Screenshot da A Matter of Trust

Fu subito evidente che non si sarebbe trattato di un'impresa economicamente fruttuosa per Joel. "Ti pagavano in rubli, che non valevano nulla, e comunque non c'era nulla da comprare laggiù", dichiarò Joel. Per coprire le spese di produzione pare abbia anticipato due milioni e mezzo di dollari di tasca propria, perfettamente consapevole che sarebbe andato in rosso. Nel tentativo di recuperare una frazione del costo, portò con sé una troupe cinematografica per girare un documentario da trasmettere su HBO, Billy Joel From Leningrad, U.S.S.R., e registrare un album live, Kontsert, per Columbia Records (entrambi furono poi ristampati nel 2014 in A Matter of Trust - The Bridge to Russia).

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Al di là dei soldi, però, in gioco c'era qualcosa di più importante. Joel, cresciuto come milioni di bambini americani addestrati a trovare riparo dalle bombe con le prove di Difesa Civile a scuola, aveva imparato a non fidarsi dei misteriosi Rossi (sic). Nonostante sminuisse il suo ruolo da ambasciatore parlando con la stampa, dentro di sé sperava che questo viaggio fosse una specie di spedizione pacificatrice tra le due nazioni nemiche. Cercò di abbassare le aspettative più che poté, presentandosi da semplice intrattenitore, perlopiù per salvare la faccia in caso l'impresa si rivelasse disastrosa.

"Non sono un politico", disse il primo maggio del 1987 durante una conferenza stampa. "Andrò là da musicista. Voglio che ci sia più comunicazione tra di noi. La gente laggiù apprezza la musica pop, apprezza il rock'n'roll".

Ma per quanto tentasse di minimizzare l'aspetto politico di questo viaggio, il suo ingresso nel Paese fu un tale spettacolo da diventare esso stesso un atto politico. Portò con sé tutta la sua squadra per mettere in scena uno spettacolo "al cento percento, esattamente come facciamo negli States", come disse lui stesso. Questo comprendeva luci, palco, impianto audio, tutto trasportato dentro a sei TIR, più diversi pullman pieni di gente. I russi uscivano per strada a seguire questo corteo di grandeur americana che attraversava il loro paese.

Joel si fermò prima a Tbilisi, capitale dell'allora Repubblica Sovietica di Georgia, dove lui e sua moglie, la modella Christie Brinkley, passarono un po' di tempo da turisti—passeggiando nei mercati all'aperto e facendosi fotografare con gli abitanti della città. Dopo aver fatto amicizia con alcuni cantanti locali, Joel fu invitato in un teatro per una jam session, ma al suo arrivo scoprì che erano stati venduti mille biglietti e la serata si trasformò in un concerto vero e proprio. Non si trattava dell'ambiente ideale, ma Joel si fece bastare l'impianto audio del posto, spesso urlando per fare in modo che la sua voce raggiungesse anche le ultime file.

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Joel e Brinkley festeggiarono con i loro ospiti. "Ragazzi, avevano davvero srotolato il tappeto rosso", ricorda Brinkley in A Matter of Trust. "Un sacco di vino e di vodka, danze, musica, canzoni". Ma la notte di festa e di canto improvvisato ebbe il suo prezzo. Quando Joel arrivò a Mosca pochi giorni dopo per il primo di tre concerti all'Olympijskiy Stadium, le sue corde vocali erano sfilacciate ed aveva problemi con le note più alte durante il riscaldamento. Si recò da un medico che gli fece un'iniezione, gli mise degli elettrodi sulla gola e, chissà perché, gli consegnò una scatola di Tic-Tac dicendogli di mangiarne un po' ogni tanto.

"Come va la gola?" chiedevano i membri della squadra prima del concerto.

"Mi fa male", borbottava Joel in risposta.

"Pensi di riuscire a cantare?"

"Non lo so", rispondeva lui frustrato. "Lo saprò quando sarò lassù".

Ma quando Joel finalmente salì sul palco per il primo concerto, si trovò davanti un problema ben più grande del mal di gola. Mentre suonava il suo piano Yamaha, sfornando hit come "My Life" e "Angry Young Man" con il resto della band, si rese conto che il pubblico restava fermo come, per usare le sue parole, un dipinto a olio. Guardando il pubblico, vide i volti stoici di uomini e donne di mezza età, molti di loro funzionari del Partito Comunista che avevano ricevuto i biglietti come premio, che lo guardavano confusi, applaudendo tiepidamente di tanto in tanto. Joel attribuisce questa reazione a "i pezzi grossi che avevano avuto i biglietti di prima fila" che sarebbero stati paralizzati dai giochi di luci e dal volume senza precedenti tanto da non riuscire a esprimere alcun gradimento. Secondo il racconto di Joel, una volta che i pezzi grossi si furono arresi e se ne furono andati, diedero i biglietti alla gente più giovane ed entusiasta che stava nelle ultime file e a quelli che aspettavano fuori, e a quel punto si trasformò finalmente in un vero rock'n'roll show.

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Nonostante i pezzi grossi se ne fossero andati, Joel faticò comunque a creare una connessione con il pubblico, cosa che per lui era la chiave di una performance ben riuscita. "Un buon concerto è uno scambio di energia—tu fai rumore, loro fanno rumore", dice nel commento all'album live. "È come il sesso. Se c'è troppa quiete, non sta andando bene". E questo concerto era troppo quieto per i suoi gusti. Si vantava di essere un performer lavoratore, e se avesse dovuto parlare direttamente con ognuno dei 22mila presenti per conquistarli lo avrebbe fatto. Nel corso di due ore e mezza, è esattamente quello che fece.

Durante "For the Longest Time", corse sulla passerella con un microfono senza fili, afferrando le persone e strattonandole fino alla prima fila come un pifferaio magico del pop. In poco tempo aveva raccolto una congregazione davanti al bordo del palco. E, visto che non c'erano transenne, potevano semplicemente allungare le mani e toccare gambe e piedi Joel, ballando su canzoni che perlopiù non avevano mai sentito, cantate in una lingua che non conoscevano. Dopo hit come "Uptown Girl" e "It's Still Rock and Roll to Me", il concerto finì con una chicca per tutte le persone che avevano comprato quei dischi dei Beatles di contrabbando: una cover di "Back in the U.S.S.R.".

Screenshot da A Matter of Trust

"Alla fine del concerto, il pubblico poteva essere quello di Detroit, di Philadelphia, era la stessa cosa", disse Joel a The Today Show il giorno seguente in collegamento via satellite. La stampa di casa ricompensò il suo sforzo. "Un grande Billy Joel rompe le riserve sovietiche" recitava il New York Times, il cui articolo esordiva con: "Billy Joel ha portato il suo rock-and-roll qui oggi e ha conquistato le anime del pietrificato pubblico sovietico, portandolo a urlare, ballare sulle sedie e a guardarsi attorno meravigliato e impaurito mentre seguiva la musica invece delle regole". Secondo tutti i racconti, fu un successo. Ma, ovviamente, si trattava solo della prima serata.

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La sera dopo, Joel era ancora più stressato dopo un'altra giornata di interviste e turismo con sua moglie e incontri con gli autoctoni e membri della squadra che gli chiedevano come stava la sua voce, anche perché ovviamente faceva ancora più male della sera prima.

"Era come una pentola a pressione pronta ad esplodere", ricordò Brinkley.

Nel tentativo di velocizzare il processo di connessione con un nuovo pubblico, tagliò molte delle ballate dal set della seconda sera per calcare la mano sulle hit a colpo sicuro che avrebbero infiammato il pubblico. Una di queste era la sua hit del 1980 "Sometimes a Fantasy". Naturalmente, quando Joel alzò lo sguardo dal piano che si trovava sul lato più lontano del palco, non vide un pubblico fermo come un dipinto a olio. Vide esattamente quello che sperava: gente che alzava le mani al cielo ballando. Si stavano divertendo così tanto, che la troupe di documentaristi, volendo filmarli nel modo migliore possibile, puntò le luci sulle prime file. Ma questo creò un problema enorme.

Il pubblico sovietico, cresciuto in decenni di austerità oltrecortina, smise di ballare e si fermò come un cervo davanti ai fanali, preoccupato che si trattasse di un segnale e che le guardie di sicurezza sarebbero arrivate a riportare la tranquillità. Una volta spente le luci, tornavano a ballare. A luci spente, ballerini. A luci accese, pezzi di marmo. Questa dinamica andò avanti per un bel po' come una partita di un due tre stella. Ogni volta che le luci si accendevano, Joel il perfezionista vedeva quella connessione per cui aveva lavorato così tanto sfumare. Cominciò a urlare alla propria troupe di smetterla anche nel mezzo di una canzone e, da vero professionista, non mancò una nota tra un ordine e l'altro.

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"When am I gonna take control, get a hold of my emotions? SMETTETE DI ILLUMINARE IL PUBBLICO!
Why does it always seem to hit me in the middle of the ni-i-ight? BASTA!
You told me there's a number I can always dial for assistance. LASCIATEMI SUONARE PER DIO!"

"Sentivo che Billy cantava e diceva qualcosa, ma non riesco a capire cosa", racconta l'addetto alle luci Steven Cohen in A Matter of Trust. Ma anche se Cohen non riusciva a capire le parole di Joel, capì perfettamente quello che successe subito dopo—il suono di un pianoforte che si schianta al suolo. Il minuto Joel era riuscito a ottenere una buona presa sotto i tasti e, con un notevole sforzo di schiena e il viso paonazzo, aveva ribaltato completamente il pianoforte. La band e lo staff ricordano schegge di Yamaha che li sfiorarono come proiettili, mentre il pianoforte si schiantò al suolo con un boato infernale.

Con lo sguardo folle di un uomo accecato dalla rabbia, Joel superò con un salto il piano ribaltato e si avvicinò al limite del palco, a pochi passi dal pubblico. Visto che i presenti non avevano mai visto un concerto rock'n'roll prima di allora, applaudirono pensando che facesse tutto parte dello spettacolo. Joel prese in mano un'asta da microfono, la fece roteare sopra la testa e l'abbatté al suolo come se si trattasse di un'ascia e il pubblicò gioì ancora di più. I musicisti di Joel si misero al riparo senza smettere di suonare. Lui colpì quello che rimaneva del pianoforte con un calcio volante continuando a cantare: "Sure it would be better if I had you here to hold me". Poi gli diede una gran mazzata con l'asta, facendoci un buco. Anche l'asta si ruppe a metà e lui continuò a cantare mentre il pubblico impazziva. Ecco perché i concerti rock'n'roll sono così seguiti in America, pensò la gente. Per soltanto cinque rubli, potevi vedere un uomo dai capelli ricci distruggere completamente un pianoforte con un'asta microfonica. Che affarone!

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Joel in seguito si tranquillizzò e portò a termine il concerto senza ulteriori incidenti, e nelle interviste successive si scusò per aver "fatto la prima donna", ma i titoli in patria non ebbero pietà. "Billy Joel fa i capricci", recitava un articolo di Associated Press ripubblicato dal New York Times.

"Sono stato in tour per 11 mesi", lui disse al reporter. "È difficile. Comincio a essere stanco".

La terza serata di Mosca, priva di drammi, lavò via i residui dell'esplosione della sera prima, e quando il tour arrivò a Leningrado per altri tre concerti la settimana dopo, Joel aveva trovato la sua strada ed era in grado di stabilire istantaneamente una connessione con il pubblico da tutto esaurito. Il tour finì con un Joel così a proprio agio tra i suoi nuovi fan russi da togliersi scarpe e calze, fare la ruota sopra il suo grand piano e tuffarsi sul pubblico mentre questo lo avvolge in bandiere russe e americane. Il pubblico delle prime file ballò con tale trasporto che circa 200 sedie finirono distrutte. Nonostante Joel non abbia mai recuperato tutti i costi del viaggio, ritornò a casa sugli scudi, certo di aver contribuito a provocare un grande cambiamento culturale.

Screenshot da A Matter of Trust

"Fu come se avesse portato la prima TV a colori", dice il sassofonista Mark Rivera in A Matter of Trust. "Non avevano più alcuna intenzione di tornare al bianco e nero dopo averlo visto".

Due anni dopo il tour sovietico di Joel, il Moscow Music Peace Festival vide artisti americani come Bon Jovi e Mötley Crüe condividere il palco con band russe. Ancora due anni dopo, nel 1991, i Metallica suonarono davanti a un milione e 600mila persone a Mosca, un concerto che rimane tra i più grandi della storia. Il giorno di Natale di quell'anno arrivò la fine ufficiale dell'Unione Sovietica, in gran parte dovuta al drastico cambiamento culturale portato dalla glasnost di Gorbachev, a cui seguì la demolizione del muro di Berlino nel 1992.

La carriera di Joel durò ancora molti anni dopo l'Unione Sovietica e, per quanto giri ancora il mondo, abbia vinto sei Grammy e abbia venduto oltre 150 milioni di dischi, il suo tour del 1987 rimane un highlight della sua vita. Dimostrò che la musica è un linguaggio potente e universale più efficace nell'unire le persone di qualunque leader mondiale. Non che i concerti di Joel abbiano da soli tirato giù il muro di Berlino, ma, proprio come fece lui con il pianoforte, ci fecero certamente un bel buco.

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