Caccia grossa
Illustrazione di Giulia Trincardi

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Caccia grossa

Due cacciatori marziani e un uomo proveniente da Giove, con una missione precisa e il sangue sporco di biostimolanti.

Questo racconto fa parte di Terraform, la nostra rubrica di fantascienza.

Il doganiere fece segno a Kreb e Ro di avvicinarsi allo sportello. Poi lesse a voce alta l'ultimo bollettino dell'area di quarantena. Lo status del loro compagno era peggiorato, quindi non potevano più scendere sul pianeta.

"Che cazzo vuol dire che non possiamo più scendere su Terra?"

"Lo sai bene che dovete essere almeno in tre per avviare la procedura di discesa."

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"Sai contare? Siamo tre. Uno, due e tre."

"Il tuo amico tre mi sembra più morto che vivo."

"Vuoi scherzare?"

"Non si regge in piedi. È un sacco di carne infetta."

"È solo una ricaduta. Lo imbottiamo bene e scende con noi. Giusto?"

"No."

Kreb colpì il vetro del cubicolo da cui era uscito l'ennesimo no. Aveva abbastanza energia nel braccio da sfondarlo, ma si trattenne. Su Luna bastava poco per farsi sospendere il permesso di discesa sul pianeta. I due marziani rimasero in silenzio e passarono sulle frequenze dei neurotrasmettitori. Non potevano scendere su Terra. Non potevano aspettare la fine della quarantena. Non potevano tornare su Marte lasciando un compagno in quarantena su un satellite freddo e sporco.

I due cacciatori rimasero immobili a lungo, scambiandosi dati attraverso la connessione neurale criptata. Dall'altra parte del vetro, il doganiere stava scavando con il dito dentro una delle narici. Dopo aver estratto un granulo di muco duro come una roccia, ruppe il silenzio che ammorbava la stanza.

"Se volete scendere su Terra trovatevi un sostituto."

A Kreb e Ro questa opzione non piaceva. Tobe era uno della squadra. Non poteva essere sostituito come un polmone coltivato. Avevano iniziato il viaggio da Marte insieme. Insieme sarebbero scesi su Terra.

"Non possiamo."

"Senti, a me non interessa se la vostra vacanzina è andata in merda. L'esterno seduto laggiù sta aspettando un gruppo per scendere su Terra. Ora toglietevi di mezzo. Tutti e tre."

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Il dito del doganiere puntava verso un uomo dalla corporatura sottile, avvolto in una tuta di nanofibra. Doveva essere alto sul metro e ottanta, la schiena curva per leggere un libro di archeobotanica aperto sulle ginocchia. Non aveva l'aria di un cacciatore. I suoi muscoli erano quelli di un gattino con la leucemia.

Ci fu di nuovo silenzio. Sentendosi osservato, l'uomo di Giove alzò lo sguardo verso i due colossi di Marte. Sorrise goffamente, agitando la mano in segno di saluto.

***

Li chiamavano esterni perché vivevano al di là della fascia di asteroidi. L'uomo di Giove – per l'esattezza di Ganimede – disse di chiamarsi Hal. Non vedeva l'ora di scendere su Terra per raccogliere campioni di piante e muschi. Meraviglie difficili da trovare altrove. Kreb e Ro lo precedevano di due passi lungo il corridoio che portava all'area di discesa.

"Questa è una stagione fantastica per le fioriture, sapete? Certi petali hanno dei colori così intensi da far venire il mal di testa. Un vero paradiso. E poi ci sono gli impollinatori. Ci conviene scendere a una latitudine…"

Kreb spinse il corpo dell'uomo contro la parete del corridoio. L'avambraccio gli premeva la gola.

"Chiudi la bocca e ascolta bene."

"Mh."

"Io e il mio amico andiamo a caccia."

"Mh."

"Io e il mio amico decidiamo le coordinate."

"…"

"Tu ci servi solo per la discesa."

I muscoli potenziati del marziano erano freddi e tesi. Le due sfere pallide degli occhi erano sormontate da un tatuaggio del V Dragone di Olympus. Il gruppo d'assalto che aveva preso Cerere senza lasciare cadaveri riconoscibili sul campo. Aveva il sangue sporco di biostimolanti, roba che sul mercato era ufficialmente proibita.

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Appeso al muro Hal evitò lo sguardo di Kreb e fissò le spalle di Ro, come se fossero qualcosa di più rassicurante. Larghe e innestate con un esoscheletro in titanio, erano marchiate con il motto Mars-Mors in caratteri gotici. La testa rasata era avvolta in una neuroplacca. Al netto parlava solo attraverso onde cerebrali, captabili con un ricevitore aurale. L'uomo di Ganimede deglutì appena, mormorando con un rantolo.

"Posso portare la mia attrezzatura?"

La voce metallica che gli risuonò in testa disse di gettare tutto nel cargo. Chiese se aveva altre domande inutili.

"No."

***

Benvenuti sul modulo di discesa TR7453. L'arrivo su Terra è previsto per le ore locali 1849, coordinate 38:40N 34:50E. La temperatura al suolo è di 25 gradi Celsius. In seguito all'atterraggio, assicuratevi di recuperare il cargo. Vi ricordiamo che è severamente proibito introdurre materiale non conforme al Codice della Riserva. Affacciandovi all'oblò, potrete scorgere il continente.

L'altoparlante tornò muto. I tre uomini sedevano in cerchio, allacciati ai sedili avvolgenti del modulo di discesa. Kreb si strofinò il naso con il dorso della mano e fissò lontano, al confine tra l'azzurro e il nero profondo dello spazio. Un guscio di metallo attraversò la fetta di orizzonte visibile dal vetro blindato. Brillò al sole poco prima di schizzare via con una traiettoria divergente.

"Dove sta andando il cargo?"

Ro spalancò gli occhi. La fronte era corrugata, i dati scorrevano attraverso la neuroplacca. La traiettoria del guscio che portava il loro equipaggiamento era stata modificata a pochi minuti dal lancio. Prima che potesse incazzarsi, Ro sentì gracchiare l'altoparlante.

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TR7453, qui dogana. Causa materiale non conforme, il vostro cargo è stato dirottato fuori dalla Riserva.

I due marziani si scambiarono uno sguardo d'intesa. Sbloccarono il pilota manuale e fecero proseguire la discesa del modulo lungo la traiettoria del cargo. Le spie di sicurezza lampeggiarono come pulsar impazzite prima di smorzarsi completamente. I contatti con Luna erano stati chiusi. I due cacciatori pilotarono la capsula attraverso l'atmosfera senza accorgersi che Hal era ancora addormentato.

***

L'atterraggio su Terra fu tanto brusco da rivoltare lo stomaco di Hal. Il modulo di discesa atterrò al centro di un altopiano roccioso perduto nel nulla. Il guscio rinforzato sobbalzò tre volte prima di frenare contro un pendio coperto da chiazze di sterpaglie. Kreb sfondò il portellone con un calcio, inondando l'abitacolo di aria terrestre. L'orizzonte era incendiato dal tramonto. Uno spettacolo sublime, interrotto a tratti dai conati di vomito del gioviano.

"In piedi, scarto di provetta. Abbiamo ancora poche ore di luce."

"Dove andiamo?"

"A recuperare il cargo."

"Che cos'è questo posto?"

"Benvenuto su Terra. Ti aspettavi una corona di fiori intorno al collo?"

"Lo so che è Terra. Ma qui… questa non è la Riserva."

"Non ti si può nascondere nulla."

Ro avanzava alle loro spalle, affondando gli stivali tra le rocce ancora ubriache di sole. I sensori stimavano due ore di cammino per raggiungere il cargo. Il marziano inspirò rumorosamente, inarcando la schiena. Erano decenni che non metteva piede sul pianeta. Terra. Dove tutto era nato, e tutto era morto. O quasi.

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"È pericoloso?"

"Solo se fai arrabbiare Ro."

"Se non sbaglio sei stato tu quello che mi ha attaccato al muro."

"Risparmia il fiato."

Il pendio roccioso dove erano atterrati era sormontato da una cresta frastagliata di rocce scavate dal vento. I tre umani si inerpicarono lungo un sentiero tracciato da un torrente morto al tempo delle ultime piogge. Il sole stava tramontando alle loro spalle. Il panorama era così nudo e banale da sembrare finto.

Dopo circa novanta minuti, Ro indicò una ripida discesa che scendeva a nord dell'altopiano frastagliato verso una valle stretta e buia. Il cargo era atterrato poco più sotto. Kreb affrettò il passo. Ormai era praticamente buio.

"Seguitemi."

Hal notò che il marziano aveva estratto una semi-automatica dalla fondina. A bordo dei moduli di discesa erano permesse solo armi leggere. Ma il gioviano non si era portato dietro nemmeno quelle. Al posto suo, chiunque altro si sarebbe sentito uno stupido. A parte Ro, che sembrava in grado di cavarsela anche a mani nude.

"Sentite, io non ho ancora capito perché stiamo facendo tutta questa strada a piedi."

"Senza il cargo siamo fottuti."

"Ma non doveva atterrare insieme a noi?"

"Cambio di programma."

"Cosa?"

"La dogana si è accorta che trasportiamo munizioni non conformi."

"Che vuol dire non conformi?"

"Lo vedrai presto."

Kreb si bloccò di colpo, indicando qualcosa nell'oscurità. Il cargo era a una cinquantina di metri. Sorrise come un bambino, eccitato dall'idea di mettere le mani sull'attrezzatura da caccia. Ripose la pistola e percorse la distanza che lo separava dal guscio correndo come un ossesso. Si fermò davanti al bozzolo di metallo puntando i talloni nel pietrisco. Intorno a lui c'era una nube di polvere, mentre in cielo brillava solo una manciata di stelle malate.

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"Tutto ok."

Il marziano tastò il cargo per tutti i suoi tre metri di lunghezza per controllare che non vi fossero falle. Posò una mano su un lettore magnetico e fece scattare la serratura del portellone. Aprendolo, il suo volto fu rischiarato da una luce blu. Era come se fosse Natale. Solo con più armi.

"Vieni Ro, corri."

Il grosso marziano scattò in avanti e diede una spallata a Hal, facendolo cadere a terra. Aveva occhi solo per Brenda, il suo fucile automatico a submunizioni pesanti. Kreb, invece, stava già impugnando Thea, una versione d'assalto più leggera ma altrettanto letale. Dentro il cargo c'era un arsenale, metà del quale era ammesso solo ai fronti di guerra al di fuori dalla fascia degli asteroidi. Ecco perché i sensori della dogana avevano sclerato. Hal fissò i due immobile, steso a terra come una lucertola ferita. Non cercò neppure di schivare il borsone che gli piombò dritto in faccia.

"Questa è roba tua."

"Ah, grazie."

"Smettila di fissarci il culo e alzati di lì. Partiamo."

"Partiamo?"

"Certo. Abbiamo le armi, quindi partiamo."

"Per dove?"

"Andiamo a caccia, subnormale. Hai la memoria corta?"

"Ma qui non c'è nulla."

"È per questo che adesso tu ti alzi, ti spari in vena questa spremuta anabolizzante e corri con noi fino alla prima lurida tana abitata."

Kreb sfilò a fianco del gioviano facendogli piovere in mano una siringa monouso. Sulle spalle portava uno zaino tattico dalle chiusure perfettamente ermetiche, mentre Thea gli penzolava a tracolla come una figlia prediletta. Ro aveva molto più carico sulle spalle e una dose di merda targata mercato nero già piantata in vena. Hal li osservò immergersi nel buio come due calamari negli abissi. Capì che era il caso di spararsi la roba in circolo, mettersi il borsone in spalla e non perderli di vista.

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***

La notte era trascorsa senza sorprese. I due marziani avevano camminato fino all'alba, sostando ogni ora per studiare i dati satellitari. Hal li aveva seguiti come poteva. La spremuta anabolizzante lo aveva tenuto in piedi per un po', ma gli effetti svanirono presto. I primi raggi di sole lo investirono in pieno volto. Era al centro di una radura tappezzata d'erba gialla e secca, costellata da cespugli di rovi ormai secchi. La testa era pesante. Fissò l'orizzonte e vide due puntini che si arrampicavano come insetti su una parete rocciosa mille metri più in là. Erano Kreb e Ro. E i loro globuli rossi gonfi come spugne.

Mentre avanzava come un vecchio stordito, il gioviano inciampò su qualcosa di voluminoso. Erano gli zaini dei due cacciatori. Li avevano nascosti in un avvallamento per affrontare la scalata. I fucili non c'erano. Hal scosse la testa e vi si sdraiò sopra. Stropicciò la tela ruvida, passando la mano sulle tasche esterne. Erano piene di siringhe monouso ancora sigillate. Le guardò inebetito. Spostò la testa poco più in là e si addormentò come un bambino.

***

Lo svegliò il rumore di un ramoscello spezzato. Hal spalancò gli occhi. Di fronte a lui c'era un'ombra sottile. Lo stava fissando da almeno cinque minuti. Il gioviano si mise a sedere, molto lentamente. Quando finalmente gli occhi si abituarono alla luce, la prima cosa che riuscì a distinguere furono i capelli biondi. La ragazza doveva avere poco più di dodici anni.

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Si guardarono negli occhi a lungo. In tutta la sua vita, non aveva mai visto un essere più strano. Lo stesso valeva per il gioviano. Là, in mezzo a una radura battuta dal sole, stavano vivendo una sorta di riunione di famiglia dalla latenza infinita. Il loro ultimo antenato comune era morto da secoli. Esodo, speciazione e guerra avevano scavato un abisso tra i due. Un cambio di rotta li aveva riavvicinati.

Hal sorrise. Sorrise anche lei. Nessuno dei due sembrava pericoloso.

Ci fu un sibilo. Il proiettile le attraversò la testa. La ragazza si piegò sulle ginocchia e cadde in avanti. A settecento metri di distanza, il bossolo rimbalzò su un sasso.

"Bel colpo, Ro."

Hal rimase pietrificato di fronte al corpo senza vita. I due cacciatori lo raggiunsero in una manciata di minuti. Marciavano con passo veloce, i fucili in spalla. Erano euforici.

"Hal, sei un'esca perfetta. E Ro è il miglior fottutissimo tiratore del Sistema Solare."

"Perché?"

"Perché l'ha centrata alla testa da settecentoventi metri."

"No, perché fate questo?"

"Siamo a caccia di Ori, cervellone. E abbiamo preso la prima."

Li chiamavano Ori, da originalis, perché non avevano mai abbandonato Terra. Erano fossili viventi, ma non rientravano in nessun piano di protezione della Riserva.

"Era una bambina."

"Già. Ro, apriamola e prendiamo le ovaie. I clonatori le pagano bene. Tu, levati di mezzo."

Kreb calciò l'addome del gioviano scaraventandolo lontano dal suo zaino. L'effetto degli anabolizzanti cominciava a svanire. Il marziano cercò nervosamente nella tasca esterna. Prese due siringhe e se le iniettò nel femore.

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"Bene, al lavoro."

Ro sollevò il cadavere e sfilò davanti al gioviano senza neppure guardarlo. L'uomo strisciava a terra come una larva.

"Dove vai? Resta a goderti lo spettacolo."

Kreb sentiva la merda pompargli nelle vene. Rideva in modo molto sgradevole. In mano stringeva un coltello da battaglia. Fece segno al compagno di passargli la preda. Non ci fu risposta. Ro era stato distratto da qualcosa. In un attimo, anche Kreb entrò in ascolto del messaggio criptato inviato dalla Luna.

Ehi, qui quarantena. Ho registrato questo messaggio solo perché il vostro amico mi ha girato qualche credito. Tobe è morto. È morto davvero male. Perdeva sangue da ogni cazzo di buco. Convulsioni. Gli ufficiali hanno già chiuso il caso. Corpo cremato, ceneri rispedite su Marte. Io di gente morta così male ne ho vista parecchia. Non era un'infezione da criostasi. Ho fatto un controllo sulla roba che aveva nel sangue. Solo due parole: nanomacchine militari. È merda fatta su Giove. Mettetevi subito in contatto con…

I due marziani spararono in direzione di Hal, ma non era più lì. Il gioviano era guizzato dietro una roccia portando con sé il borsone. Ro non staccò il dito dal grilletto, e continuò a martellare la pietra con una salva di proiettili. Oltre la copertura c'era un pendio troppo ripido e scoperto per darsi alla fuga. I cacciatori iniziarono l'accerchiamento. Attraverso la neuroplacca, Ro disse al compagno di coprirlo mentre ricaricava.

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"Merda."

Kreb iniziò a tremare. Le sue braccia non riuscivano più a sorreggere il fucile. La voce del compagno gli rimbombò nella testa, chiedendogli se era ferito. Perdeva sangue dal naso e dalle orecchie. L'orizzonte di Kreb iniziò a vacillare. Durò pochi secondi. Poi il cervello si spense, demolito dall'interno. Crollò in ginocchio, accasciandosi a terra senza vita.

All'improvviso, Ro percepì Hal insinuarsi nella sua testa. Voleva bruciargli la neuroplacca da dentro. Il firewall marziano entrò in azione, congelando entrambi in una stasi muscolare. Il gioviano sapeva che sarebbe durata solo dieci secondi. Hal era comparso nel suo campo visivo, in piedi sulla roccia, pronto allo slancio. I suoi muscoli non erano più atrofizzati, la tuta di nanofibra nera sembrava scoppiare. Gli disse che avevano fatto male a lasciare gli zaini incustoditi. Questa volta la merda, come la chiamavano loro, era dieci volte più concentrata. Li aveva ascoltati fin dall'inizio. La loro crittazione era ridicola. Dieci secondi sono un tempo infinito se ti parli su canali neurali. Hal ci teneva a raccontagli tutto. Prima di farlo a pezzi. Nella mano destra impugnava una lama al plasma. Ecco perché i sensori della dogana avevano sclerato. Ro ascoltava e basta. Non aveva niente da dire. Il firewall avrebbe retto per altri tre secondi. Erano a pochi metri di distanza. I suoi riflessi erano ancora buoni. Prendere il caricatore, inserirlo, premere il grilleto. Prima che lui lo facesse a pezzi.

***

Su Terra stava calando la notte. Guidati dalle stelle, cinque uomini armati di kalashnikov risalivano lentamente un pendio scosceso. Il villaggio aveva deciso di mandarli a cercare la ragazza scomparsa. Avevano già battuto tutti i sentieri conosciuti, ma senza successo. Quando si riunirono in cerchio per decidere se continuare, si resero conto di non essere soli. Dall'alto di uno sperone di roccia, due occhi li osservavano placidi. Appartenevano a un corpo magro, alto e scuro come lo spazio. L'uomo nero parlò in una lingua che una volta si chiamava russo. Conosceva solo tre frasi. Le scandì molto lentamente.

Mi chiamo Hal.

Vengo in pace.

Cerco armi nucleari.

Illustrazione di Giulia Trincardi