Come la curiosità, la fortuna e un pulsante salvarono l'Apollo 12
​Immagine: NASA

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Come la curiosità, la fortuna e un pulsante salvarono l'Apollo 12

Nel novembre del 1969, per un attimo interminabile, l'Apollo 12 fu il parafulmine più alto e veloce della storia.

La pioggia batteva imperterrita su Cape Canaveral il mattino del 14 novembre 1969, mentre il secondo viaggio dell'umanità verso la Luna stava decollando con a bordo una serie di esperimenti scientifici e tre astronauti; il presidente Nixon assisteva. Sette anni dopo che il suo predecessore lanciò l'intero progetto, e dopo non troppi mesi dal primo atterraggio dell'uomo sulla Luna, l'Apollo 12 era diretto verso la zona occidentale della Luna, chiamata l'Oceano delle Tempeste.

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"Che decollo stupendo," disse Charles "Pete" Conrad, il comandante trentanovenne della missione Apollo 12, agli altri due astronauti a bordo della navicella chiamata Yankee Clipper, Alan L. Bean e Richard Gordon. "Niente male!"

Poi, circa trentasei secondi e mezzo dopo il decollo, Conrad ha visto un accecante flash bianco e ha sentito la sua navicella tremare. Sulla registrazione audio è possibile sentire un disturbo statico. "Cosa diavolo era," ha detto.

SENZA CHE NESSUNO LO SAPESSE, IN QUEL PRECISO MOMENTO, LA LORO NAVICELLA ERA DIVENTATA IL PARAFULMINE PIÙ ALTO E VELOCE DELLA STORIA

Come molte altre cose, un fulmine cerca il suo percorso dove trova meno resistenza, ed è piuttosto efficente in questo lavoro. In queste circostanze piuttosto temporalesche di quella mattina in Florida, il percorso del fulmine corrispondeva al sentiero altamente ionizzato che il razzo stava generando lungo la sua via verso lo spazio.

Mentre gli astronauti sfrecciavano attraverso la tempesta, più veloci del suono, la carica elettrica delle nuvole aveva preso il suo posto. Si scoprì in seguito che un fulmine, che trasportava fino a cento mila ampere e cento milioni di volt di elettricità, aveva colpito la capsula e attraversato il metallo esteriore del razzo, indirizzando la sua furia altamente ionizzata fino alla terra. Senza che nessuno lo sapesse, in quel preciso momento, la loro navicella era diventata il parafulmine più alto e veloce della storia.

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E, sfatando il vecchio mito sui fulmini, stava per succedere di nuovo. Più o meno tutti gli avvisi luminosi presenti sui pannelli si sono improvvisamente illuminati come un albero di Natale. A quanto pare, la corrente principale per lo Yankee Clipper era saltata. "Le lucette si sono accese, più lucette di quante io ne abbia mai visto in un simulatore," ha ricordato Bean in un documentario del 2003 di History Channel. Nessun test—ne hanno fatti per centinaia di ore—li avrebbe mai preparati per quello scenario, qualunque cosa fosse.

Al cinquantaduesimo secondo, mentre il razzo viaggiava a quasi 500 metri al secondo, un altro fulmine ha colpito la nave. L'attitude indicator "8-ball" cominciò a girare incontrollatamente e le luci sul pannello strumenti smisero di lampeggiare. Erano morti.

Il primo pensiero di Alan Bean era che la capsula si fosse staccata dal razzo; ma la forza gravitazionale contro il suo corpo non diceva la stessa cosa. "Non so cosa sia successo qui, tutto ciò che poteva succedere è successo!" dice Conrad alla radio, a Houston.

"Roger!" risponde il Mission Control, non avendo nient'altro da aggiungere. Il flusso di dati che arrivava dalla capsula era confuso. E senza quei dati non c'erano molte informazioni per capire cosa stesse succedendo.

La confusione colpì il Mission Control. Il razzo sembrava volare correttamente, bruciando circa tredici tonnellate di carburante al secondo. L'impianto elettrico di backup si era avviato, ma gli ingegneri sapevano che sarebbe durato solo un paio d'ore. Se la nave avesse continuato la sua rotta e fosse finita in orbita, ritornare a terra con poca energia sarebbe stato… difficile. (la NASA dovrà aspettare Apollo 13, missione in cui un serbatoio di ossigeno è esploso a bordo, per affrontare questo problema)

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Gli astronauti che si stavano avvicinando allo spazio e gli ingegneri a terra avevano novanta secondi per decidere se fermare o meno la missione. In quel caso gli astronauti sarebbero stati separati dal razzo e, nella migliore delle ipotesi, sarebbero atterrati nell'oceano, dove sarebbero stati soccorsi.

I secondi passavano, il tempo rallentava. (per gli astronauti, secondo Einstein, il tempo stava letteralmente rallentando)

Per un'eternità durata venti secondi, secondo le trascrizioni ufficiali, il Mission Control tacque. Un silenzio spaventoso.

Grandi progetti come il lancio di uno shuttle spaziale richiedono spesso capacità di pensare rapidamente con una quantità limitata di informazioni e con il peso di una pressione assurda.

Mettici dentro anche una delle incognite più grandi di un volo spaziale—le condizioni climatiche pericolose come ventate di freddo e fulmini—e hai la ricetta per una catastrofe indotta da piccoli errori.

Visto che il Mission Control non aveva accesso ai dati della capsula, la risoluzione al problema era, in parte, in mano agli astronauti.

La mano di Conrad si avvicinò alla leva per lo stop della missione. Le procedure prevedevano che in caso di assenza di energia, gli astronauti potessero fermare la missione da soli. Potevano provare, nella speranza che le cose tornassero come prima. Ma comprensibilmente, mentre erano lì al buio, non sono riusciti a trovare una soluzione.

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"Una delle regole dei voli spaziali è che non giochi con i comandi elettrici a meno che tu non abbia un buon motivo per farlo," Bean ha spiegato."Se non hai energia, puoi provare ad accendere qualche switch e vedere cosa succede. Se hai energia e sta funzionando tutto, non vuoi svegliare il can che dorme. Non avevo idea di cosa fosse successo. Non sapevo niente di ciò che stava succedendo fuori dalla nave. Pensavo a qualcosa nel sistema elettrico."

Miglia sotto, John Aaron, un ingegnere ventiquattrenne, guarda sul monitor quei dati confusi. In quanto ingegnere EECOM doveva di sapere tutto sui sistemi elettrici della nave.

Circa cinquanta secondi dopo, ha tranquillamente suggerito ai suoi colleghi del MIssion Control: "Provate lo SCE to Aux."

Un anno prima, per una strana coincidenza, Aaron era casualmente nel Mission Control durante una simulazione di lancio. E quella notte si era ricordato di aver visto una combinazione di risultati simili sullo schermo, "dei numeri piuttosto singolari," come ha detto in un'intervista alla NASA.

Aveva capito che il voltaggio della capsula era crollato per errore. Questo cambio di voltaggio, aveva poi scoperto, aveva influenzato un dispositivo chiamato SCE, Signal Conditioning Equipment, che era responsabile per la conversione del segnale della capsula a normali voltaggi così che le informazioni potessero risultare leggibili e inviate a Houston. Impostando lo SCE in modalità ausiliara—Aux—Aaron ha ricordato che lo SCE avrebbe continuato a lavorare in condizioni da basso voltaggio, e gli strumenti avrebbero ricominciato a risultare leggibili. A quel punto, gli impianti carburante potevano essere riavviati.

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"SCE spento?" ha detto qualcuno. Lo switch era così oscuro a tutti che nemmeno i suoi capi sapevano di cosa stesse parlando.

"Cosa diavolo era," ha sbottato Gerald Carr, che aveva il compito di comunicare con la capsula. Nemmeno il novello direttore di volo, Gerry Griffin, lo sapeva.

Erano passati sessanta secondi dal primo fulmine. Nessuno sapeva cosa fare. La chiamata per l'annullamento della missione si avvicinava in fretta.

Infine, Carr ha dato malvolentieri l'ordine con un tono ben più pacato.

"Apollo 12, Houston, provate a impostare SCE su Ausiliario, passo."

Ora era il turno di ragionare per gli astronauti, Conrad e Gorgon non sapevano che fare. "FCE su Ausliario—che diavolo è?" ha risposto Conrad. "NCE su ausiliario…" "SCE, SCE su ausiliario" l'ha corretto Carr. C'erano più di cento switch, nessuno sapeva quale fosse.

Ma Bean, che era seduto al sedile destro, di fronte allo switch, si ricordò dell'ultima simulazione. Si butta. "SCE to AUX," riferisce. Sul modulo di comando, le luci sul pannello si calmarono. Al Mission Control il flusso di dati sembrava essere tornato alla normalità. Aaron ora poteva vedere tutto chiaramente: le celle carburante erano disconnesse. Un paio di secondi dopo, il Mission Control dice a Bean di riavviarle. Torna l'energia. Il lancio continua come se niente fosse successo.

"Ce la stiamo cavando qui," dice Conrad. "Non so cosa sia successo. Non so se non siamo stati colpiti da un fulmine. Penso dovremmo fare un po' più di test sulle condizioni meteorologiche. "Oh cavolo," risponde Houston. Conrad ridacchia. "Questa è una delle simulazioni migliori, fidati." "Abbiamo avuto un paio di arresti cardiaci qua sotto, Pete."

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"Non c'è stato tempo per quello quassù," ha risposto. E poi Conrad è scoppiato a ridere. "Se l'è risa per tutta la salita," ricorda Aaron.

"Gesù Cristo!" Gordon ha esclamato. "Non ci siamo divertiti, piccola?" "Ce la stavamo ridendo tutti su queste luci," ha detto Bean. "Ce n'erano così tante che non riuscivamo a leggerle. [Lunga pausa]" "Ti dirò una cosa," ha detto Conrad, "questo è un volo di prima classe, Houston."

Ma c'era ancora qualche decisione da prendere. Nonostante l'energia e i dati leggibili, Mission Control non conosceva ancora i danni alla navicella. Se il Modulo di Comando fosse stato danneggiato da un fulmine, non ce l'avrebbero mai fatta ad arrivare fino alla Luna, in quel caso un ritorno alla Terra sarebbe stato più che ottimo. Ma se il paracadute della capsula fosse stato danneggiato, un ritorno sicuro alla Terra sarebbe stato impossibile.

Mission Control doveva farlo: entrate in trans-lunar injection e muovetevi verso la Luna, o annullate la missione. Chris Kraft, il vice direttore del Johnson Space Center si è rivolto a Griffin, il direttore di volo. "Non dimenticatevi che non dobbiamo andare sulla Luna proprio oggi."

"Continuiamo a spuntare la lista di cose da controllare," ricorda Griffin, "e quando arriviamo alla fine ci diciamo tutti, 'Non sappiamo da dove arrivi tutta questa corrente libera che abbiamo nella cabina, ma tutto ciò che controlliamo sembra a posto. C'è qualche ragione per non andare avanti?'

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"Ci siamo guardati e abbiamo detto, 'assolutamente no, andiamo!'"

"Whoop-ee-doo!" ha risposto Conrad. "Siamo pronti! Non aspettavamo altro." "Non siamo stati addestrati per fare altro, Pete," ha detto Carr. "Ti dirò, Jer," ha detto Gordon, "ci stavamo chiedendo se siamo stati addestrati per questo lancio."

La Nasa analizzerà la fotografie più tardi, e determinerà che non solo uno, ma ben due fulmini avevano colpito la capsula a venti secondi l'uno dall'altro.

L'intero incidente verrà inscenato nel video From the Earth to the Moon dell'HBO, ma a me piace come è stato rappresentato nel documentario di History Channel Failure is Not an Option: ovviamente c'è di più.

LO STRAZIANTE RITORNO

L'Apollo 12 toccherà la superficie lunare il 19 novembre 1969, guidato da un radar e un computer e atterrerà un paio di metri dall'Oceano delle Tempeste, dove la vecchia navicella robot Surveyor 3 era atterrata sulla Luna due anni prima. Tutto procedeva fantasticamente.

Ma i manager NASA avevano un costante dubbio sul ritorno di Apollo 12 sulla Terra: se i paracadute erano danneggiati, infatti, la capsula si sarebbe schiantata nell'Oceano Pacifico e l'equipaggio sarebbe morto sul colpo.

Bean, oggi ottantaduenne, apprese in seguito di più sui calcoli che stavano effettuando al Mission Control durante il lancio, partendo dal presupposto che il fulmine avesse distrutto parte della capsula o i suoi paracadute. Parlò così della cosa all'NPR:

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Se avessimo fatto tornare subito gli astronauti sulla Terra sarebbero morti subito, molto prima che se li avessimo fatti andare avanti, mandati sulla Luna, e poi fatti tornare a Terra dieci giorni dopo. E se i paracaduti non avessero funzione, ecco… Almeno si sarebbero fatti dieci giorni sulla Luna.

Visto che non c'era modo per capire se il sistema del paracadute fosse stato danneggiato—non aveva alcun senso—non c'era motivo di essere spaventati. Non c'era tempo per esserlo. "Se non riuscivi ad avere quel tipo di atteggiamento non potevi fare quel lavoro, dunque ce lo facevamo andare bene. Qualunque cosa fosse, andava bene… Lavoravo su una lista di cose da fare su determinati lassi di tempo, ed ero stato addestrato per quello, per ottimizzare ogni minuto passato sulla luna," dice Alan. "Nessuno dice quanto costi un minuto sulla luna—milioni e milioni di dollari—dunque bisogna cercare di rendere ognuno di questi produttivo."

Circa un'ora prima che gli astronauti entrassero nell'orbita della Terra, "Pete, Dick o io dicemmo: 'Bene, chissà come stanno i paracadute?' E poi qualcun altro ha detto… "Lo scopriremo tra 55 minuti!'"

La capsula atterrerà senza problemi. Dopo essere stato tenuto in quarantena per 21 giorni, per paura di malattie lunari, l'equipaggio visiterà il Kennedy Space Center per ringraziare il team di lancio personalmente. "Mi spiace per i meteorologi, ma se dovessimo ripetere il lancio, lo rifarei nelle stesse identiche condizioni." ha detto Pete Conrad.

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FULMINI E PENSIERI FULMINEI

La NASA spenderà i dieci anni successivi a studiare e a prepararsi per tempeste di fulmini alle sue piattaforme di lancio—un problema che, nonostante il sistema di prevenzione fulmini, non è ancora risolto. Un fulmine ha sabotato almeno altre due missioni NASA. Durante un lancio il 26 Marzo 1987, un fulmine ha colpito la navicella priva di equipaggio Atlas Centaur 67, che trasportava un satellite di comunicazione Naval. La corrente, a quanto pare, ha alterato la memoria nel computer di controllo del volo, il che ha portato ad un'eccessiva virata, "un grande carico dinamico e, infine, la rottura del veicolo."

Incredibilmente, durante un altro lancio nel 1987, due razzi presenti sulle piattaforme NASA di Wallops Island sono stati lanciati prematuramente a causa di un fulmine. "I fulmini sono una cosa molto difficile da misurare accuratamente perché il fenomeno a essi associato tende a danneggiare le strumentazioni e a corrompere i dati di analisi," spiega nel 2011 Gary Snyder, un tecnico del team NASA. "Sistemi più vecchi hanno prodotto dati errati e si sono rotti nei momenti peggiori, a causa dei fulmini."

Se non fosse stato per la velocità di pensiero di John Aaron (e il consiglio di Alan Bean), uno di questi guasti dovuti al fulmine avrebbe potuto demolire l'intero programma lunare, ed infine causare tre morti.

In un report NASA chiamato "What Made Apollo a Success," stilato dopo che il programma si concluse nel 1972, gli autori conclusero che la disciplina fu l'ingrediente cruciale, specie nel caso dei problemi coi fulmini.

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"La rapida risposta al guasto dell'Apollo 12 non arrivò da un colpo di fortuna, ma da una accurata pianificazione, un corso di addestramento, ed uno sviluppo dell'equipaggio, delle procedure, delle tecniche di visualizzazione dati effettuato dai responsabili del controllo volo," recita.

Da un capitolo sull'Apollo 12, in un report del 1972 della NASA chiamato "What Made Apollo a Sucess"

DIPENDE TUTTO DA QUESTA CURIOSITÀ NEL COMPRENDERE MEGLIO COME FUNZIONANO LE COSE E COME INTERAGISCONO TRA LORO

Aaron parlò di un altro ingrediente nel caso fulmine, e nel suo intervento fulmineo, ed era uno di quegli ingredienti che sembrava contraddire le ricerche NASA.

"La fortuna gioca un bel ruolo," ha detto. "Ora, non è stata tutta fortuna che io avessi visto quella simulazione di lancio e che in quella simulazione una procedura fosse stata portata avanti erroneamente, la fortuna è che quella cosa accadde durante la fase di lancio, e che in quel momento io ero il controllore di volo. Se ci fosse stato qualunque altro EECOM lì, non avrebbe visto il quadro generale della situazione. Dipende tutto da questa curiosità nel comprendere meglio come funzionano le cose e come interagiscono tra loro, è ciò che mi ha portatao a diventare un buon controllore di volo."

La curiosità di Aaron e una quantità incredibile di fortunata lo aiuteranno un anno dopo, quando sarà chiamato a salvare la quasi-condannata missione Apollo 13. Aaron aveva sviluppato una innovativa sequenza che permetteva al Modulo di Comando di tornare a Terra con molta poco energia, e salvare un altro gruppo di astronauti.

In quel periodo, il metodo "SCE to Aux" di Aaron era già diventato una leggenda nel mondo NASA, e gli fece guadagnare il nomignolo più nerd dell'agenzia: "steely-eyed missile man."

In qualche maniera, quel nome non rende nemmeno lontanamente giustizia all'uomo che salvò Apollo dalla furia di Zeus.