Siamo andati a vedere se via Padova è davvero la nuova Brooklyn di Milano

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Siamo andati a vedere se via Padova è davvero la nuova Brooklyn di Milano

Secondo un recente articolo di D Repubblica, la zona intorno a via Padova potrebbe essere il prossimo polo giovane e creativo di Milano. Siamo andati a farci un giro e sentire l'opinione di residenti, artisti e associazioni.

Via Padova. Tutte le foto di Guido Borso.

A Milano da un po' di tempo succede così: appena un quartiere che fino a qualche anno prima non si filava nessuno arriva a costare troppo, iniziamo a guardarci intorno alla ricerca della nuova zona in cui consigliare a chi ce lo chiede di muoversi—in un senso o nell'altro—perché "è la prossima Isola".

Negli ultimi tempi le puntate erano tutte su Giambellino o Ripamonti, almeno finché su D Repubblica non è uscito un articolo su NoLo—North of Loreto, secondo D che l'ha a sua volta mutuato dai grafici di La Tigre. Ovvero quella zona di Milano racchiusa tra viale Monza e via Padova fino a Crescenzago, solitamente nota alle cronache come una nebulosa periferia nordorientale in cui succedono cose come spaccio/transessuali/scippi/immigrazione/case occupate che oltre a presidiare il territorio hanno anche ottime intuizioni come mandare a fare in culo Salvini.

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A partire dal sommario—"bivio tra degrado e miracolo," "giovani creativi," "designer," richiamati più avanti da riferimenti a Brooklyn e alla gentrificazione—l'articolo lasciava a intendere che la trasformazione fosse già in pieno corso. Che si parlasse di "terza migrazione", di "là dove una volta c'era il Trotter ora c'è North of Loreto"—mentre il resto della cittadinanza ancora si rifiuta di valicare i confini della piazzetta che segna il confine tra "l'inizio" e il "poi" di via Padova—mi pareva troppo bello per essere così patinatamente vero.

Proprio per questo motivo ho deciso di fare un giro in via Padova e dintorni con Guido—che qui è nato e cresciuto—per cercare di intercettare il cambiamento nella vita quotidiana del quartiere e di chi ci vive da tempo.

La ferramenta storica di via Padova.

Per un certo periodo della mia vita ho lavorato in una traversa particolarmente losca e particolarmente in fondo di via Padova, perciò i miei ricordi erano certo un po' falsati—ma la prima cosa di cui mi rendo conto oggi è che a considerarla una zona buia di Milano sono soprattutto i non residenti. "Per la percezione comune è un po' la Baggio di tanti anni fa," dice Barbara, commessa di un ferramenta storica. "Sinceramente io tutta questa paura di via Padova non l'ho mai avuta né percepita."

Quello che il "turista" in media percepisce nella zona, infatti, è più lo stato di abbandono esteriore spesso definito degrado che dipende da un'altra particolarità della zona, quella di essere da sempre poco aiutata dalle istituzioni. "Il comune di Milano non sta facendo nulla per via Padova in sé, o almeno io non vedo niente," continua Barbara, "più che mettere i parcheggi blu che non servono a niente e di sicuro non aiutano il commercio non fa. A portare il cambiamento sono le azioni spontanee, dal basso." Spesso grazie all'iniziativa dalle associazioni sul territorio sono infatti nate palestre a prezzi popolari, laboratori di teatro e reading di poesia; inoltre, la storica scuola Trotter è sempre frequentatissima e riflette il radicamento dei cittadini nel quartiere.

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Quando le autorità decidono di intervenire, ci spiegano diversi residenti, mandano l'esercito e le pattuglie e militarizzano la zona. Ma sul lungo termine, poco è stato fatto e così, pur sporadicamente, gli accoltellamenti continuano anche se le insegne stanno cambiando e su FB è comparso il gruppo Yolo in NoLo.

Laura, maestra della Trotter.

"Non so cosa sia NoLo, io abito in via dei Transiti," dice Teresa, che gestisce un laboratorio teatrale e vive in zona da 30 anni "ma di un cambiamento mi sono accorta anche io: riguarda l'integrazione innanzitutto." Un aspetto fondamentale della zona, un tempo abitata da immigrati del sud Italia che durante gli anni Novanta sono stati sostituiti da latinoamericani, nordafricani e orientali. "È come se la famosa integrazione che sembrava obbligatoria e calata dall'alto abbia avuto modo di realizzarsi a poco a poco, nelle modalità e nei tempi spontanei, quindi c'è meno aggressività e meno tensione," continua Teresa.

Ma spesso si tende a dimenticare che in questa zona ci vivono ormai da decenni molti milanesi della classe media e medio-alta per cui la commistione culturale è sempre stata un plus. "In questo pezzo di via Padova c'è di tutto: dal cingalese al filippino al kebab dei disperati alla pizzeria Partenopea, che è un pezzo di storia e ha anche il suo prezzo," aggiunge Teresa.

Teresa e Libera.

Se è innegabile che delle situazioni poco piacevoli ogni tanto si creino, molti ci hanno raccontato che il problema degli scippi e delle faide è ormai secondario rispetto a quello meno violento ma comunque preoccupante del consumo di alcolici. "L'unico grande problema che abbiamo ce l'abbiamo da tempo ed è i ragazzi che si ubriacano, soprattutto i sudamericani. Poi li trovi per strada che fanno i loro bisogni, anche le ragazze in mezzo alle macchine ma proprio in mezzo alla strada, alla luce del sole," racconta Gennaro, proprietario della pizzeria Partenopea. "Per il resto, non è che ci sia mai stata troppa criminalità—cioè, come nel resto di Milano, senza eccezione. Io non cambierei questo quartiere con nessun altro."

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Concorda con lui Francesco, residente per decenni in via Padova che, giusto per precisare che il problema non è solo dei "sudamericani," si avvicina dicendoci che "ho sentito che il gestore del bar vi ha detto che la via è tranquilla e non ci sono mai problemi se non che la gente beve troppo, e io ho bevuto troppo."

Francesco fuori da un bar di via Padova noto per vendere solo cose da bere e rimanere aperto tutta notte—motivo per cui è anche il bar fuori dal quale succede la maggior parte delle risse.

Oltre e forse probabilmente grazie all'integrazione e alla percezione di una maggiore tranquillità della zona, "ormai sono due o tre anni che sempre più giovani si spostano qui, sembra che stiano tornando per il fatto che gli affitti sono un po' più bassi," spiega Barbara. Anche Teresa ci ha fatto caso: "Sono giovani italiani gli ultimi ad arrivare nel quartiere e creare le cose di cui hanno bisogno: per esempio qui è stato aperto il bar Cara Pina che non vende alcolici, e questo già è una selezione. Senza affettazioni e pretese hanno creato una realtà."

Quando chiedo ai residenti se non temono che un'idea di rivalutazione possa portare nel futuro alla nascita di una bolla, sono abbastanza sereni. "Tu hai ragione, se esce un articolo di questo tipo significa che c'è un messaggio di rivalutazione che se da un lato sarà un messaggio positivo e porterà magari a migliorie, ricordiamoci che le migliorie saranno tutte apportate dai singoli padroni di casa, per dire, solo per aumentare i prezzi," riflette Teresa. "Ma io sono contenta, non voglio tirarmela che vivo nella nuova zona hip ma meno male che cambiamo. Però è importante che avvenga nella condivisione e nei limiti."

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Hamir, macellaio di viale Monza.

Un'altra realtà da molti riconosciuta come centro d'incontro tra il vecchio e il nuovo della zona è l'Osteria Crespi, che sorge appunto in via Crespi e i cui gestori sono stati veicolo del cambiamento e presidio del quartiere in questo periodo."Noi siamo arrivati qui sei anni fa, e nel quartiere qualche criticità c'era, anche se la stampa gli affibbiava solo lo stigma delle criticità—parlando solo di trans, di furti e di extracomunitari," racconta Benedetto, il co-proprietario. "Questo da un certo punto di vista è stato un bene perché ha mantenuto i prezzi bassi e quindi i 30-40enni liberi professionisti hanno cominciato a viverci con la famiglia e comprare casa, e già per questo il quartiere si è modificato." Poi, qualche anno fa, hanno cominciato ad aprire gallerie e showroom, e adesso piano piano "tutti vogliono venire in questo quartiere."

Benedetto, co-proprietario dell'Osteria Crespi.

Il rischio che diventi la prossima zona gentrificata secondo Benedetto c'è eccome; anzi "è quello che succederà: costa meno, arrivano, diventa il quartiere figo della minchia e invece che continuare a essere il posto di gente normale diventa la nuova Ticinese. È inevitabile, ricordati che anche Montenapoleone era un posto di poveretti che lavoravano al mercato del Verziere." Per il momento però dice che il fatto che aprano nuove attività non può che fare bene alla sua, perché "mi fanno circolare un sacco di gente e se oggi vanno là a mangiare una pizza poi vedranno e verranno di qua a bere un po' di vino."

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Lucia, 27enne residente in via Padova.

Dopo aver dunque parlato con chi vive la nuova ondata giovane di via Padova come un fenomeno positivo ma esterno, ovvero chi non è né giovanissimo né creativo nell'accezione milanese, era il momento di incontrare i giovani che vivono qui per scelta e capire che cosa li entusiasma della zona. "Sono rimasta qui quando i miei sono andati a vivere in corso Buenos Aires. È una casa comune in cui arrivano coinquilini da tutto il mondo, e sono cinque anni che non ho un buco nell'affitto: la zona è ben servita, c'è il parco, gli affitti sono bassi," spiega Laura, 27 anni. "Certo, non è tutto rose e fiori dato che una zona di spaccio e di prostituzione lo resta, io che vado in giro di notte lo vedo, ma quando non mi sento al sicuro perché sono una ragazza non posso fare a meno di pensare che sia una cosa mia, un pregiudizio: a me non è mai successo niente e ci vivo da quasi 30 anni."

Ma lei, che è giovane e conosce tutti gli artisti della zona (il designer falegname Giacomo Moor, i ragazzi di Fanta Spazio, la Carrozzeria Novecento, la Salumeria del design etc)—ha mai sentito parlare di NoLo? "Sì, l'hanno inventato i grafici di La Tigre, ma la cosa più importante è che il processo c'è, anche se è solo agli inizi. Si sente un po' una nuova dimensione di quartiere con spazi di condivisione, ma è un quartiere abbastanza duale: i giovani, l'arte, gli hipster da una parte e dall'altra il rischio che, come ora, il processo non coinvolga mai i vecchi abitanti di via Padova—il processo per ora si limita a un target specifico."

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Murales di Pao in via Padova.

Insomma, il rischio è sempre quello della gentrificazione bieca che vede aprire ovunque le ciclofficine che vendono le bici Cinelli, i bar vegani con i prezzi fuori dal comune e la gallerie d'arte che ignorano il contesto culturale in cui si trovano. "Certo, per me è un cambiamento enorme avere le gallerie o le feste di fianco a casa mentre prima dovevo attraversare Milano. Ma d'altra parte c'è da capire se queste attività hanno intenzione di inserirsi nella zona; secondo me, un vero dialogo non l'hanno ancora trovato."

E in questo l'attenzione mediatica potrebbe non aiutare, poiché crea hype intorno a un quartiere dove il cambiamento è per adesso spontaneo e quasi impercettibile a chi non ci vive tutti i giorni, come potrebbe però essere anche un bene: "Il fatto che ci sia più copertura mediatica su questo argomento potrebbe evitare che sia una colonizzazione dell'élite culturale che spinge gli abitanti di qui ad andarsene."

Anche Giacomo, uno studente che è venuto a vivere in zona un anno e mezzo fa dopo aver vissuto in mezza Milano, per il momento si gode la calma: "Il prezzo del pane alla panetteria qua di fronte è esattamente la metà di quello che pagavo in corso Genova. Gli affitti a stanza sono intorno ai 400 euro in generale, che non è poco ma non è tanto se conti che puoi avere una stanza bella grande. L'unico posto che costa meno è Gratosoglio." E la questione dei prezzi è ovviamente centrale anche per i "creativi" incriminati, coloro che per primi hanno portato l'attenzione sulla zona.

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"È proibitivo acquistare locali per un'attività come la nostra in qualunque altra parte di Milano," mi spiega Aurelie Callegari, responsabile delle pubbliche relazioni per la falegnameria design di Giacomo Moor di via Clitumno, una via che Lucia stessa ha definito "hardcore" prima di spedirmici. "Ma non è solo questo: anche prima di aprire qui noi amavamo la zona, perché la multiculturalità e la vivacità offrono condizioni ottime per chi svolge un lavoro artistico."

Nella migliore delle tradizioni di via Padova, comunque, le attività creative non solo vi si trasferiscono e creano il loro ambiente, ma paiono essere decise a coinvolgere i residenti—certo, quelli nel loro target—nelle proprie iniziative. È il caso delle Fanta Feste organizzate negli spazi del Mercato Comunale di viale Monza, tra gli altri, dai ragazzi del Fanta Spazio, anch'essi innamorati del contesto etnicamente ricco della zona.

Sul 56, l'autobus che percorre tutta via Padova da Loreto a Crescenzago.

Tutti gli elementi, insomma, fanno pensare che la zona stia vivendo un momento di transizione molto delicato: è appena uscita dai moti di assestamento multiculturale e deve già riuscire a proteggere la propria identità, così pericolosamente varia, dalla nuova "aggressione" esterna. Ma lo strumento principale perché tutto vada a buon fine sembra averlo, ed è il dialogo tra le varie parti. "Quando è uscito l'articolo di D e abbiamo capito che il tipo di attenzione alla zona stava cambiando, abbiamo subito convocato un 'blitz' in cui i vecchi residenti del quartiere si incontravano con i nuovi," mi racconta Dominique Kuroyangi dell'associazione culturale-agenzia di ricerca T12-lab, da otto anni con base in via dei Transiti. "Hanno discusso insieme l'uso del termine NoLo, è stato un dibattito animato ma fondamentale."

Le chiedo se non ha paura che l'equilibrio così particolare della zona venga snaturato. "Succederà," mi risponde, "non vivo da tanto a Milano ma se senti la gente, è già successo a Brera, è successo con zona Tortona, succederà forse anche qui. Ma la cosa che noi possiamo fare per impedirlo è continuare a operare come associazioni, rimanere radicate nel territorio, far dialogare le parti."

Forse via Padova sarà il prossimo quartiere hip, ma intanto chi ci viene a vivere e ci apre gallerie e ciclofficine deve fare i conti con associazioni di quartiere agguerrite, una cinquantina di etnie diverse, un parchetto dove i transessuali della zona si incontrano con i propri clienti e vie "belle hardcore" come via Arquà. Fortunatamente.

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