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Un pomeriggio alla fiera del funerale

La morte è l'ultimo viaggio per eccellenza, e non ti devi stupire se le dedicano una fiera: siamo stati al Tanexpo di Bologna, “punto di riferimento per l'intero settore funerario e cimiteriale, italiano e internazionale," per scoprire com'è morire nel...

La morte è l'ultimo viaggio per eccellenza, e non ti devi stupire se le dedicano una fiera. La fiera in questione è il Tanexpo di Bologna, un evento biennale che, come recita il sito, è diventato il “punto di riferimento per l'intero settore funerario e cimiteriale, italiano e internazionale."

Ci va sempre un mucchio di gente, e gli espositori arrivano da ogni parte del mondo. Visto che era a due passi da casa mia, e che quel giorno c'era il sole, ho deciso di farmi un tour e scoprire com'è morire nel 2014.

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La Fiera di Bologna è un complesso di cemento che si staglia di fronte a un piazzale molto anonimo, dove l'unica attrazione sono le fermate degli autobus. Sul frontone dell'ingresso principale spiccano una selva di bandiere—come a ricordarti che la morte è un diritto internazionale—e un cartellone che ti invita a entrare al Tanexpo. Prendo un respiro profondo e supero i tornelli di ingresso.

Appena entrato, il primo essere umano che incontro è un intagliatore di bare. Si chiama Giuseppe Catani, siciliano, e lavora da 60 anni nel settore.

Gli chiedo quanto tempo ci mette di solito a terminare un sarcofago su commissione. Mi risponde, “dipende da come si sente il cliente.” Ovvero, se qualcuno ha fretta di andarsene o intende tenere duro un altro po' per apprezzare gli intagli sulla sua stessa bara. In genere, però, Catani finisce di ornare una cassa in circa 15 giorni.

Inizio a capire che qui la gente non va troppo per il sottile. E che i gusti estetici dei morti sono trascurabili.

Dopo avere incrociato più di una volta qualche lapide con papa Francesco mi metto a fotografare, finché non mi imbatto nelle tre sorelle dell'Apostolato Liturgico Pie Discepole del Divin Maestro. All'interno del loro stand mi spiegano che “il mezzo di comunicazione tra noi e Dio è la liturgia. Dal battesimo fino alla conclusione della vita.” In pratica, seguono tutta la filiera del settore.

Hanno un laboratorio di fonderia per oggetti sacri, una rivista specializzata e una bella rete di distribuzione. Ci tengono a precisare di essere le uniche in tutta la fiera a espone una casula, cioè un paramento sacro. Mi mostro oltremodo interessato alla cosa e continuo a farmi gli affari loro.

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A un certo punto, una delle tre sorelle mi chiede se sto scrivendo un articolo. Messo all'angolo spiego che si tratta di VICE. Prendo una penna e scrivo l'indirizzo del sito su una delle loro brochure, utilizzando una grafia così poco comprensibile che sembra quasi lo stia facendo apposta.

Ripeto che è un articolo sul web, e loro rispondono “ce la caviamo lo stesso.” In questo momento penso siano a fare spam da qualche parte.

La gente dentro agli stand è molto attiva; questo venditore per esempio insegna a tutti come sigillare una bara con una pasta collante. Dice che la colla arriva dal settore aerospaziale, dove le saldature sono una vera scocciatura. Lo stesso vale per il settore delle pompe funebri, perché il rivestimento interno delle bare—cioè il guscio metallico che contiene effettivamente il morto—deve essere sigillato a caldo. Solo che i corpi della gente morta hanno il brutto vizio di gonfiarsi, per via dei gas di putrefazione.

Dopo aver capito che la tecnologia ci rende la vita (e la morte) più facili, mi accorgo che è quasi ora del mio appuntamento in un altro stand. Supero gente incravattata, signore eleganti, famiglie con bambini—meglio abituarli da piccoli—e finalmente arrivo alla dimostrazione di tanatoestetica tenuta dal professor Javier Eduardo Chavez Inzunza. Visto che è l'unico workshop di tutta la fiera, deve essere per forza interessante. In effetti, lo è.

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Javier spiega a una cinquantina di presenti che ci sono parecchie cose che si possono fare per migliorare l'aspetto esteriore di un cadavere. C'è tutto un filone di maquillage per i morti che rientra sotto il nome, appunto, di tanatoestetica—in giro per l'Italia ci sono anche dei corsi professionali.

Si tratta di interventi non invasivi che permettono di migliorare l'aspetto della salma, tipo lenti a contatto speciali per impedire alle palpebre di collassare, piccoli interventi di ricostruzione, rasatura, trucco e parrucco. Tuttavia, “la pelle morta non si idrata, perché è morta,” ci tiene a precisare Javier. Sono raccomandati i trucchi a base d'acqua. “Piuttosto che un pennello, è meglio usare un aerografo per applicare il trucco.” Fin qui tutto bene, mi dico.

A un certo punto, però, si inizia a parlare di tanatoprassi. Cioè, tutte quelle tecniche di disinfezione e imbalsamazione molto, molto invasive. Javier assume un tono particolarmente serio: “In Italia, molte cose che hanno a che fare con la salma sono proibite. Molte delle cose che vi mostrerò probabilmente andranno contro la legge.” In effetti, il codice penale punisce il reato di vilipendio di cadavere senza fare troppe distinzioni tra teppisti cimiteriali, necrofili per hobby e imbalsamatori di professione. La linea di confine è molto labile, e la pena può arrivare fino a sei anni di reclusione.

Un attimo dopo, lo schermo piatto alle spalle di Javier si illumina. Ci mostrerà un video di imbalsamazione, e tutti sono pregati di non fare riprese. Il video inizia, e cinquanta paia di occhi si fissano sul cadavere di una ragazza, mentre poco lontano un gruppo mangia pasticcini e beve caffè.

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Il corpo è completamente nudo, tranne che per un panno sull'inguine. Un paio di inservienti con camice e guanti posizionano la ragazza su un tavolo d'acciaio, “in posizione decubita, sempre mantenendo quattro punti di appoggio,” precisa Javier.  Fase uno: disinfezione. Le passano dei batuffoli di cotone nel naso, in bocca e sugli occhi per eliminare i batteri. “Dove ci sono i batteri, c'è cattivo odore,” commenta. “Bisogna fare in modo che la famiglia non senta l'odore. Si può anche avere un bel ricordo di una faccia, ma un cattivo odore è per sempre. Si fissa nel subconscio.”

Fase due: pasta collante. La spalmano sul palato e sotto la lingua, poi ci passano in mezzo un filo metallico per serrare la mandibola.

Fase tre: drenaggio. Aprono il collo con un'incisione e ci ficcano dentro due tubi. Uno nella giugulare, per drenare il sangue, e l'altro nella carotide, per l'iniezione di liquido per l'imbalsamazione. Attendo la fine del video senza fissare lo schermo, ma sembro l'unico. Javier ci risparmia le altre fasi dell'imbalsamazione, “so che non si può fare in Italia, ma è bene che vediate come si fa.”
Nella fuga mi imbatto in un altro trio di parche.

Sono un po' stordito, ma per fortuna il profumo fruttato del deodorante dei bagni del seminterrato mi ridà vigore, anche se poi tutti quelli che incontro finiscono per guardarmi male—sono l'unico in jeans e maglietta di tutta la fiera, sarà per quello. Torno in superficie e sento una voce che tuona da uno stand: “Oggi è il compleanno di Mauro Franchin. Stasera alle 18 offre lui l'aperitivo,” e giù risate. Non ho idea di chi sia, ma ora so con certezza che ho una fame mostruosa. Deve essere un buon segno.

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Dall'alto delle vetrate del punto ristoro ho una vista completa dei padiglioni al piano terra. Ovunque vedo gente in giacca e cravatta che si stringe la mano. Anziani che fanno foto ricordo. Coppie che si baciano vicino alle uscite di emergenza. È una fiera. Nessuno vuole drenarci.

Tornato al primo piano, mentre vago alla ricerca di qualche cimelio memorabile, mi imbatto nel bar. Là dove la morte incontra la torrefazione, vedo una quindicina di persone, tutti impresari di pompe funebri, assiepate intorno a un tavolino. Al centro della composizione c'è un uomo che parla di lavoro. Nessun altro fiata. Tutti lo ascoltano mentre gesticola in modo teatrale.

Decido di fermarmi anch'io, e prendo un caffè al banco per non dare nell'occhio. Non faccio in tempo a versare la bustina di zucchero che mi ritrovo fianco a fianco con il grande oratore. Ha abbandonato il comizio al tavolo per prendersi il caffè. Fa girare la tazzina sul piatto e ricorda a uno dei colleghi che a Roma c'è qualcuno che “deve andare affanculo, lui e tutta Centocelle. Me stanno a fa' la guerra.” Un solo commento, laconico: “Molti nemici, molto onore.” Un paio di teste annuiscono con gravità. Finisco il mio caffè e riprendo il tour.

Mi sono chiesto più di una volta se le persone in questi ritratti fossero veramente morte. Voglio dire, se sei vivo non deve essere bello sapere che qualcuno appende la tua faccia alla fiera del funerale.

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Mi concedo un ultimo tour nella sezione dedicata ai carri funebri di lusso, se non altro perché il pensiero di morire tra le sue braccia è quasi una forma di consolazione.

Tuttavia, l'accostamento “belle ragazze & carro funebre” ha un che di destabilizzante. Anche la colonna sonora della fiera del funerale è fuori fase. Mi aspettavo requiem di Mozart ogni tre per due, invece pare vadano molto gli AC/DC.

A un certo punto una donna a fianco di una bara dorata ricorda al suo collega che alle otto ha un aperitivo. All'inizio penso sia un dettaglio banale, poi, la fulminazione. Da quando sono entrato al Tanexpo la gente intorno a me non ha fatto altro che bere, mangiare e stappare bottiglie di prosecco.

Ok, è la fiera del funerale, c'è di mezzo la morte, la contrizione, eccetera. Però è una fiera per addetti ai lavori, e quindi si può mangiare. Un po' come succede ai convegni scientifici, dove si parla di salute e poi si finisce a trangugiare tartine e affettati come se non ci fosse un domani.

L'aura di sacralità inizia un po' a vacillare. Mi guardo intorno per vedere se incontro qualche espositore ubriaco da fotografare, ma non ho molta fortuna.

Vedo solo urne sportive per gente sportiva. Decido che è arrivato il momento di togliere il disturbo, ma ben presto mi accorgo che non ho la minima idea di dove sia l'uscita. Cerco di orientarmi passando in rassegna gli stand di bare, ma si somigliano tutti.

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A vederle esposte così, mi ricordano un po' la lastra di grafite in cui è intrappolato Han Solo. Ma in una versione più vintage e legnosa. Altrove, invece, ho come l'impressione che sia una gara di sgusci su Tatooine. Le allucinazioni da Guerre Stellari non sono mai un buon segno.

La mia stella polare è una signora dai capelli bianchi che fa la portinaia, sigillata al sicuro dentro il suo casottino ricavato in un sottoscala della fiera. Mi indica l'uscita, nascosta in un corridoio laterale di cui non avevo più memoria. Sono fuori. Mentre ero lì dentro il mondo esterno è mutato. Il sole è quasi tramontato, e l'aria si è fatta più pungente. Mi accorgo di avere freddo. I morti non hanno freddo, e allora capisco di essere vivo. Mi allontano senza mai voltarmi.

Segui Lorenzo su Twitter: @loremann

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