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Macro

Come i giovani italiani sono rimasti fregati

Se è vero che "il mondo lo prendiamo in prestito dai nostri figli," i nostri padri ci hanno tirato una grandissima fregatura. I giovani italiani sono più poveri di quanto non fossero vent'anni fa, e a quanto pare lo diventeranno ancora di più.

Un giovane italiano nella sua casa. Foto di

Niccolò Berretta

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

Non si sa chi abbia detto per primo che "il mondo non lo ereditiamo dai nostri padri ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli," ma era di sicuro qualcuno che non aveva ben chiare le implicazioni finanziarie della cosa.

Come tutti sanno, infatti, un prestito viene concesso con un tasso di interesse: se ti presto una somma x, dopo un certo numero di anni mi devi restituire x moltiplicato per (1+r), dove r è il tasso di interesse e rappresenta il "costo" del prestito. Ma può anche succedere che il prestito abbia un tasso d'interesse negativo, per cui alla fine del periodo viene restituita una cifra minore rispetto a quella prestata, oppure che il debitore sia insolvente e che il prestito non venga mai ripagato.

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In questi scenari, il creditore soffre una perdita netta e avrebbe fatto bene a pensarci due volte prima di dare qualcosa in prestito a quel particolare debitore. E in Italia oscilliamo proprio tra questi due scenari: se davvero il mondo è un prestito dai figli ai padri, abbiamo decisamente scelto il debitore sbagliato.

A dimostrarlo è un'analisi svolta da Giuseppe Ragusa—economista dell'Università Luiss di Roma—per Pagina99, sulla base dell'indagine sui bilanci delle famiglie italiane pubblicata ogni due anni dalla Banca d'Italia. Secondo Ragusa, i dati parlano di una "disfatta economica e sociale." Prendendo in considerazione sei parametri—occupazione, condizione abitativa, titolo di studio, condizione coniugale, redditi e ricchezza—tra il 1993 e il 2012, emerge il ritratto di due generazioni molto diverse tra loro—l'ultima nata negli anni del benessere e la prima nata in quelli del declino italiano. Negli ultimi vent'anni abbiamo infatti assistito a un progressivo "peggioramento delle condizioni dei giovani che hanno dai 27 ai 29 anni."

Insomma, non c'è più il futuro di una volta—e su questo punto, il primo indicatore da considerare è quello relativo al reddito. Nel 2012, l'ultimo anno i cui dati sono disponibili, gli italiani tra i 27 e i 29 anni guadagnavano in media 11.711 euro l'anno. Nel 1993, i loro coetanei guadagnavano in media 15.308 euro l'anno. L'analisi è fatta a "prezzi costanti," ovvero ricalcolando i due valori prendendo come riferimento un anno specifico (in questo caso il 2010) in modo da permetterne la comparazione. Per cui, si tratta di una caduta del reddito del 25 percento in termini reali.

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"Una diminuzione delle capacità di reddito che è ancora più preoccupante se la si mette in relazione con la crescita reale del PIL, che nello stesso periodo è stata del 20 percento circa. Questo significa che i più giovani in Italia hanno perso costantemente terreno non solo rispetto ai loro coetanei di 20 anni fa, ma anche rispetto alle altre classi d'età: una vera e propria ridistribuzione intergenerazionale della ricchezza, dai più giovani ai più vecchi," scrive Ragusa nella sua analisi. Altro che "il mondo in prestito"—se davvero si trattasse di un prestito, il tasso di interesse restituito ai giovani italiani sarebbe un bel po' negativo: meno 23,5 percento, per la precisione, o un meno 1,17 percento annuo. Insomma, per farla breve, ci hanno fregato.

I dati raccolti dalla Banca d'Italia permettono anche di vedere che ne è stato dell'equilibrio tra le generazioni, i cui divari non hanno fatto che acuirsi durante la crisi economica. In questo caso, la chiave è il confronto per classe d'età del reddito equivalente—una misura che stima in modo più preciso il benessere economico individuale in relazione al resto della popolazione.

Ne viene fuori che negli ultimi due anni il reddito equivalente dei pensionati è aumentato in maniera significativa, passando dal 95 al 114 percento rispetto alla media nazionale. Anche per coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni la posizione relativa migliora sensibilmente, di oltre 18 punti percentuali. Invece, le cose vanno malissimo per i giovani e per la generazione mediana: la maggiore incidenza di contratti a tempo determinato, l'alta disoccupazione e l'assenza di ammortizzatori sociali hanno portato a una diminuzione del 15 percento dei redditi equivalenti delle persone tra i 19 e i 35 anni, e del 12 percento di quelli di chi ha tra 35 e 44 anni.

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Ma il dato più preoccupante è quello relativo alla ricchezza netta, che è letteralmente precipitata. Nel 2002, la ricchezza netta dei nuclei familiari in cui il capofamiglia ha meno di 34 anni era pari all'80 percento rispetto alla media nazionale. Nel 2012, lo stesso valore è sceso sotto il 20 percento della media. Una perdita dei tre quarti della ricchezza posseduta, quantificabili in circa 180mila euro per nucleo familiare.

Nel 1993, la ricchezza—l'insieme di reddito e beni posseduti—media dei giovani tra i 27 e i 29 anni era pari a 156.852 euro. Nel 2012 era crollata del 49 percento, attestandosi a 77.408 euro. Ancora una volta si tratta di un crollo più che proporzionale rispetto alle altre fasce d'età, visto che la ricchezza media delle famiglie italiane è calata del 14 percento tra il 1993 e il 2012. Un risultato negativo che riflette l'influsso degli anni di scarsa crescita economica del paese, ma che è comunque un risultato positivo rispetto all'andamento dei patrimoni dei giovani.

A pesare particolarmente in questa dinamica è la casa, bene-rifugio per eccellenza degli italiani. Secondo Ragusa, se nel 1993 erano sufficienti 7,2 anni di reddito medio per acquistare una casa, nel 2012 ne servivano più di 12. È anche per questo che sempre più ventenni vivono con i genitori: il 60 percento nel 2012—un aumento del 16,9 percento rispetto al 1993, quando erano solo il 43 percento. Allo stesso tempo crollano i nuovi nuclei familiari, con gli sposati che passano dal 48,8 percento al 22,9 percento del totale.

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Proprio come nella favola di Fedro in cui la cornacchia vive mille anni sulla schiena della pecora che non può fare nulla per scacciarla, i ventenni e i trentenni italiani si trovano in un limbo prolungato all'infinito in cui non sono più "giovani" ma non possono nemmeno definirsi e agire come "adulti." L'età in cui una volta ci si vedeva sistemati con un lavoro e una famiglia adesso è un periodo preoccupante e privo di riferimenti, mentre la società ha smesso da tempo di scommettere sui giovani destinandoli a mortificanti prospettive di insicurezza.

Tra il 1993 e il 2012 è diminuita la quota di disoccupati, dal 62 al 57 percento. E questo nonostante l'ultima generazione sia senza dubbio la più istruita nella storia italiana, con il 28 percento di laureati—una crescita circa del 20 percento rispetto al 1993. Eppure, la disoccupazione giovanile—quella fascia di giovani dai 15 ai 24 anni che pur cercandolo non trovano lavoro—è al record del 44,2 percento.

In più, a giudicare dall'andamento dei redditi, i numeri indicano un proporzionale abbassamento della qualità delle opportunità lavorative, con contratti sempre più flessibili quando non apertamente precari. Una situazione che contribuisce alla perdita dell'indipendenza: se nel 1993 un occupato su cinque era un lavoratore autonomo, la quota cala all'11 percento nel 2012. E diminuisce anche la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, che cala quasi del 4 percento (dal 52,3 al 48,9 percento) mentre continuano ad esistere le casalinghe, anche tra le ventenni: nel 2012 erano il 15,9 percento, in diminuzione rispetto al 27,9 percento del 1993.

"Bisogna porre rimedio a questo declino generazionale," conclude Ragusa. "Per farlo bisogna capire quello che non ha funzionato. Il fatto che non sia soltanto l'Italia a essere afflitta da questo problema, ma che sia una problematica comune a buona parte dell'Europa, non ci solleva dalle nostre responsabilità. Anche la crisi economica degli ultimi anni è solo parzialmente responsabile del peggioramento delle condizioni economiche delle generazioni più giovani—anche se è vero che ha creato le condizioni perché la prossima generazione di giovani subisca un deterioramento delle proprie condizione simile a quello sperimentato nel periodo 1993-2012."

Insomma, la situazione è grave, ma sembrerebbe proprio che il fondo sia ancora lontano.

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