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Charlie Brooker parla di Black Mirror, paura e futuro

In quello strano incubo che è il 2016, Black Mirror è una serie ancora necessaria e profetica o è stata superata dalla realtà? Abbiamo incontrato il suo creatore, Charlie Brooker, per parlare di questa e di molte altre cose.

Riflettere qualcosa di così sfuggente come il presente è un'impresa degna di Sisifo. Eppure è incredibile quanto è cambiato il nostro pianeta dal 2011, solo cinque anni fa, quando sulla tv inglese è andata in onda la prima stagione di Black Mirror di Charlie Brooker. In tre puntate, ognuna delle quali si presentava come una rappresentazione ipotetica delle possibili conseguenze dell'interazione tra tecnologia e società, la serie ha dipinto un futuro prossimo che era allo stesso tempo oscuro, avvincente, sconcertante e plausibile.

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Eppure adesso, in quello strano incubo che è il 2016, è difficile dire se Black Mirror è una serie ancora più necessaria o se è diventata completamente superflua. Che senso ha sbattersi a immaginare un incubo se la realtà è ancora peggio?

Mentre mi sedevo in attesa di Brooker al tavolo di un ristorante di Soho non sapevo se aspettarmi una persona cinica e disillusa. A essere sincero, non mi sembrava implausibile. Una delle critiche che si possono muovere a Black Mirror, in particolare dal punto di vista dei "millennial egoriferiti" che compongono una vastissima fetta del suo pubblico di riferimento, è che col tempo le sue profezie rischiano di diventare l'equivalente dei vecchi che guardano i lavori e se ne lamentano. Si tratta ancora di critica sociale o è diventata una serie in cui i quarantenni si lamentano di noi giovani che stiamo sempre attaccati a Instagram?

Charlie Brooker. Foto via Flickr/Chris Jones

"Certamente faccio parte di una generazione che per sua natura guarda con sospetto il livello di impegno richiesto dai social media," ha ammesso Brooker quando gliel'ho chiesto. "Sono abbastanza vecchio da pensare che i selfie siano un po' strani, ma posso capire che probabilmente sono anche una cosa più interessante da guardare a distanza di tempo—per vedere come si è cambiati negli anni—rispetto alle stupide foto di tramonti che scattavo io nel 2006."

Detto questo, secondo lui la serie non dà alcun giudizio sui tempi che corrono né intende condannare il nostro rapporto con la tecnologia. "In generale non sono contrario alla tecnologia—semplicemente mi preoccupo per tutto. Mi preoccupo anche di scottarmi con questo tè o di darmi questo cucchiaino nell'occhio," mi ha detto, prendendo il cucchiaio e avvicinandoselo all'occhio a una velocità preoccupante.

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Ma se c'è altro in gioco oltre al cinismo dispotico, Black Mirror è un progetto incompreso? Ad esempio, non lo sconvolge il modo in cui il titolo della serie è diventato una specie di espressione idiomatica per designare qualsiasi evento sinistro riguardi la tecnologia? "Non mi sconvolge per niente, è tutta pubblicità—ogni volta che succede qualcosa di pazzo nel mondo la gente cita la serie," mi ha detto. "Se Samsung fa uscire un telefono che esplode, la gente dice, 'Oh, che cosa da Black Mirror.' Siamo arrivati al punto che se una cosa è un male per il mondo probabilmente sarà un bene per la serie!"

Ride, ma è impossibile non riconoscere una sfumatura di frustrazione nella sua voce quando gli parlo della visione comune di Black Mirror, quella che la vuole una serie sui "lati oscuri della tecnologia." "A volte, specie quando ne fanno una parodia, penso che la gente non capisca quanto questa serie è cosciente di se stessa," mi dice. "Sa perfettamente che a volte è un po' stupida."

Uno still dalla terza stagione di Black Mirror

È una distinzione importante, vista l'irrefrenabile e quasi inconoscibile ondata di progresso portata dal 21esimo secolo. L'idea che la serie voglia criticarci o rieducarci per il fatto che ci comportiamo in un certo modo è decisamente riduttiva. In realtà, e questo è cruciale, Black Mirror non si è mai posta come obiettivo il far sembrare stupide le persone; piuttosto, la sua intenzione è sempre stata quella di farle sembrare persone. Persone imperfette, rotte e prive degli strumenti per affrontare le minacce e le opportunità dell'era digitale.

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Prendete ad esempio "Be Right Back," probabilmente il miglior episodio della seconda stagione se non di tutta la serie. È una puntata in cui una giovane donna clona il marito recentemente scomparso usando le tracce della sua identità sparse nella sua attività sui social. L'episodio non è una lezione: i personaggi sono confusi e pieni di conflitti morali, e lo stesso saranno gli spettatori alla fine. È questo ciò in cui la satira si deve trasformare per continuare a esistere in un mondo sempre più estremo e complesso? In qualcosa di così intimo e personale?

"Può darsi," mi dice Brooker annuendo."Non ci avevo pensato da questo punto di vista, ma forse sì, è in quella direzione che devi andare se la realtà inizia a superare la finzione."

Questo sorpasso, ovviamente, si riferisce specificamente alle "profezie" nei primi episodi di Black Mirror—"The National Anthem" della prima serie e "Waldo Moment" della seconda, che descrivono eventi simili in modo preoccupante ad altri realmente successi nel mondo politico: la vicenda di Cameron e del maiale e l'ascesa di Donald Trump. E però, se i paralleli funzionano, gli episodi sono il frutto di una mente autoriale che teme l'oclocrazia e l'erosione della democrazia. Gli ho chiesto da dove venga questa paura.

"Quanti anni hai?" mi chiede.

"25," rispondo.

"Io ne ho 45, esattamente 20 più di te, caro," esclama. "Guarda, una delle esperienze più formative che ricordo è quando la guerra nucleare sembrava a un passo dal diventare realtà. Nei primi anni Ottanta sembrava che ci stessimo preparando alla guerra nucleare, come se fosse una cosa certa. C'erano documentari che ne parlavano, piéce che ne parlavano, e io mi aspettavo di morire così, come vittima della tecnologia e del progresso. Credevo che sarei morto in una palla infuocata. È un pensiero abbastanza tragico—che resta con te—e penso che esca fuori in Black Mirror."

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Brooker lo dice esattamente con quella sorta di disprezzo che ha perfezionato in anni di Screenwipe e comparaste in programmi tv. È una specie di scuotimento di spalle verbale, con parole complesse, che farebbe apparire qualsiasi apocalisse come una semplice macchia di caffè su una camicia pulita.

"È questo che mi spaventa quando penso ai miei figli," ride, anche se è seriamente preoccupato di quello che i suoi bambini di due e quattro anni potrebbero dover affrontare." Non ho paura che nel 2030 perdano il senso di realtà a causa della realtà virtuale o che mangino ologrammi o che. Ho più paura delle testate nucleari che aspettano solo che qualcuno le spari."

Dato che è così terrorizzato dalla politica, o per lo meno diciamo che non ha alcuna fiducia nella poltica, sono curioso di sapere se è attivo in politica. "Sono cresciuto in una famiglia laburista, quindi sono decisamente orientato a sinistra," dice. "Ma penso che, invecchiando, sono sempre meno convinto, sempre meno certo delle mie opinioni."

Il clima politico attuale inglese, mi dice, gli fa rimpiangere i giorni semplici di Cameron e Clegg. "Mi manca quel momento, un paio di anni fa, in cui era tutto 'meh'—quando i politici erano tutti uguali e e tutto era noia abitudine e immobilità," scherza. Più ci pensa e più si fomenta. "Sembra che quelli attuali siano tempi molto movimentati," continua. "Da tutte le parte nascono figure carismatiche, o mostri—dipende dal tuo punto di vista. Poi arriva uno come Corbyn, che potrebbe essere un musicista indie, uno che ha i suoi fan che gli vogliono anche bene ma non sfonderà mai. Lo ammiro, ma la mia parte noiosa e pragmatica pensa, 'Davvero? Davvero pensate che possa funzionare?'"

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Uno still dalla terza stagione di Black Mirror

E quindi ha cominciato a lavorare sulla scia degli avvenimenti del 2016? "Mettiamola così," dice. "Normalmente il primo meeting tra autori per una serie che parte a fine anno sarebbe stato ora, e invece quest'anno l'abbiamo fatto a luglio."

Mentre ci salutiamo, penso al suo Nathan Barley, che si dibatte sotto il guscio fallace di ironia. Dice molto di Brooker stesso—non perché la sua ironia sia fallace, ma perché è uno scrittore spesso indicato come cinico, che in realtà sta cercando di comunicare quello smarrimento che tutti sentiamo. Non che lui l'abbia detto, ovviamente.

Per metterla come la dice lui, "Sarebbe arrogante da parte mia pensare che la gente può cambiare idea dopo aver visto un'opera di finzione. Cioè, sono sicuro che possa succedere, ma non sono sicuro che possa succedere per merito mio."

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