Mi ricordo ancora la prima volta che ho ascoltato Bob Dylan. Avevo 16 anni ed ero sul sedile posteriore di un’auto a noleggio, mentre la pioggia scrosciava incessante fuori dal finestrino. Non riuscivo a immaginarmi Memphis, non sapevo cosa fosse il blues – o almeno non nel senso classico del termine – ma non era importante in quel momento. Nei sette minuti di “Stuck Inside Of Mobile…”, le immagini si susseguono così nitidamente che mi sembrava di aver vissuto intensamente ogni verso, anche se non avevo capito una parola del testo, e forse non l’avrei mai capito davvero.
Tratto da Blonde on Blonde del 1966, il brano rappresenta forse il punto più alto della creatività di Dylan. Pubblicato subito dopo la svolta elettrica e registrato nel periodo in cui Dylan faceva un uso smodato di acidi e anfetamine, Blonde on Blonde fa parte di quella trilogia di album, citata in ogni magazine che parli di folk rock del mondo, prodotti prima dell’incidente in moto che terrà il cantautore di Duluth lontano dalla scena pubblica per circa otto anni.
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Nonostante negli ultimi anni abbia mostrato lati di sé che davvero non ci aspettavamo – dalla rinascita spirituale cristiana, allo spot di Victoria’s Secret – il Dylan che sicuramente tutti noi ricordiamo è rimasto quello degli anni Sessanta, dei capelli fluenti, la sigaretta sempre accesa e i pantaloni stretti. È il Dylan che abbiamo visto nei documentari, in No Direction Home e Don’t Look Back, è il Dylan di “Like A Rolling Stone”, e il Dylan di quegli scatti rock’n’roll che oggi sembra essere svanito.
Tra i fotografi di punta dell’epoca, Jerry Schatzberg ha contribuito a creare questo immaginario a cui tutti siamo legati. Oggi, a oltre 90 anni, ha vissuto una vita artistica che molti di noi possono solo sognare. Oltre ad aver fotografato Dylan per la copertina di Blonde on Blonde, è stato co-proprietario del club Ondine, che ha ospitato davvero chiunque in quegli anni d’oro, dai Beatles, ai Doors, a Jimi Hendrix quando ancora si faceva chiamare Jimmy James; Schatzberg ha diretto diversi lungometraggi, tra cui Panico a Needle Park, che ebbe il merito di presentare Al Pacino al grande pubblico. Scattò delle foto al celebre concerto dei Beatles allo Shea Stadium di New York e fu l’autore della prima (e forse unica) foto dei Rolling Stones travestiti da donne.
In occasione dell’uscita del suo nuovo libro Dylan by Schatzberg, ho chiamato il fotografo per chiedergli come ha iniziato a scattare, come ci si prepara prima di uno shooting con una star e com’era la New York degli anni Sessanta.
Noisey: Hai iniziato a fotografare piuttosto tardi, giusto?
Jerry: Sì, avevo 27 anni, ero già sposato con due figli. Prima lavoravo nell’attività di famiglia, eravamo venditori di pellicce, ma ho sempre odiato quel lavoro. Facevo il minimo indispensabile. Quando avevo del tempo libero, lo passavo nei negozi di macchine fotografiche. Non che fossi un grande esperto, ma era la cosa che mi interessava di più. Ho lavorato lì per quattro o cinque anni, poi ho trovato un annuncio del New York Times in cui cercavano un assistente fotografo. Non sapevo di cosa si trattasse ma ho chiamato, ho parlato con la persona che si occupava della selezione, gli ho raccontato la mia storia e lui, ridendo, mi disse ‘Dai vieni, vediamo cosa posso fare.’
Cosa ti interessava di più della fotografia? Scattavi anche prima?
Molto poco. Avevo una macchina di plastica, facevo qualche foto, alcune erano anche ben fatte. Poi mi sono comprato una 35mm e ho iniziato a fare foto ai miei figli, ma non ero molto interessato alla cosa, non avevo esplorato quasi nulla.
È davvero assurdo che, senza sapere quasi nulla di fotografia, sia arrivato al New York Times . Le foto di moda e il lavoro da Vogue sono venuti subito dopo?
Il primo posto dove mi mandò il NYT fu lo studio di Lillian Bassman. Lei è una fotografa straordinaria ma io all’epoca non la conoscevo. Il suo studio mi aveva folgorato: era tutto bianco e nero, con dettagli rossi e arancioni. Era una novità totale per me. Lei mi fece il primo colloquio al posto di suo marito, che era in Francia. Loro volevano assumermi e anche io ero interessato, ma la paga che offrivano, 25 dollari, era troppo bassa per mantenere la mia famiglia.
Quando hai iniziato a scattare per i magazine di moda?
È stato circa due anni e mezzo dopo, tre al massimo.
So che hai incontrato Dylan grazie a Nico, giusto? Per me è inimmaginabile l’idea di frequentare queste persone. Era normale a New York all’epoca o eri entrato nel giro giusto?
Quando è successo, stavo già lavorando. Avevo lavorato per Vogue, per Glamour e McCall’s. La prima volta che ho incontrato Dylan era il 1965, ma lavoravo con il mio studio dal 1954. Lavoravo principalmente nella moda, e avevo un’agenzia che mi mandava modelle da fotografare. Una di loro era Nico, quindi sì, lei l’ho incontrata per lavoro.
Come sei arrivato a Dylan?
Eravamo amici, io e Nico. Lei e un’altra sua amica erano grandi fan di Dylan. Entrambe mi chiedevano sempre ‘Hai sentito Dylan?,’ e io rispondevo ‘va bene, va bene, lo ascolterò.’ Una volta ero a Parigi e Nico mi chiamò alla reception per chiedermi, di nuovo, ‘Allora hai sentito Dylan?’ Era ormai uno scherzo ricorrente tra di noi. Alla fine lo ascoltai davvero e rimasi sbalordito.
È quasi come un pittore, che usa le parole per creare un ritratto.
Esatto, espressionismo astratto.
Sei stato anche proprietario di un club, giusto? Era diventato il punto di riferimento nella New York anni Sessanta?
Ero co-proprietario di un locale che si chiamava Ondine. Abbiamo avuto molto successo per un periodo. All’epoca, ero molto amico degli Stones e tanti altri musicisti. C’erano Diana Ross, gli Stones, i Beatles, tutti sono passati di lì per divertirsi, perché sapevano che nessuno li avrebbe disturbati.
Come si scatta una foto a un personaggio come Dylan? Come facevi per sentirti a tuo agio?
A quel punto della mia carriera, avevo ormai abbastanza esperienza. Avevo fotografato il Duca di Windsor dopo che aveva abdicato, in pratica l’ex re d’Inghilterra, ormai non c’era nulla di cui preoccuparsi. Poi ogni shooting è diverso, io cerco di comunicare il più possibile per far sentire le persone a proprio agio.
Cos’hai imparato fotografando Dylan?
È difficile da dire. Eravamo amici, uscivamo insieme, andavamo a pranzo e a cena insieme, andavamo in discoteca. La cosa bella è che quando guardano gli scatti, le persone pensano sia stato difficile realizzarli, ma in realtà non è stato così. Eravamo amici. Al Aronowitz, giornalista rock’n’roll e grande amico, mi aveva messo in contatto con lui. E poi anche sua moglie, che io conoscevo da molto prima che si incontrassero, era l’altra ragazza che mi diceva sempre che avrei dovuto ascoltare Dylan.
Qual è la fotografia più significativa di tutto il libro?
Penso che sia la copertina di Blonde on Blonde. Abbiamo iniziato scattando in studio, ma mi sembrava che non stessimo concludendo nulla. Così ho chiesto a Dylan di uscire in strada. Lui indossava una giacca scamosciata leggera. Anche io avevo una giacca leggera. Ma era febbraio e faceva freddo, facevo fatica a tenere la macchina fotografica ben ferma, e così quattro immagini su cinque erano venute sfocate, e una di quelle è proprio quella che scelse lui [per la copertina].
Chissà perché ha scelto quella…
E chissà perché ha scelto quei testi. Ma è Dylan, era attratto dalle cose uniche nel loro genere, e sicuramente non aveva mai visto un’altra copertina come quella, e voleva qualcosa di speciale.
In quelle foto, aveva un look estremamente riconoscibile.
Sì, aveva stabilito uno standard. Tutti cercavano di vestirsi come lui, di assomigliargli. Oggi non riesco a capire perché sia cambiato così tanto e cerchi disperatamente di sembrare un vecchio cowboy.
Parliamo brevemente della foto che hai scattato ai Rolling Stones travestiti, anche questa è nel libro. Com’è nata l’idea?
Un giorno mi ha chiamato il loro manager, avevano un singolo che si intitolava “Have You Seen Your Mother, Baby (Standing In The Shadow)”. Lui aveva pensato di vestirli come le loro nonne, e l’idea mi è subito piaciuta. Non volevo assolutamente che sembrassero nonne britanniche, così ho scelto abiti americani. Loro sono impazziti, ho scattato anche delle foto nel backstage, e loro avevano voluto indossare anche la biancheria, proprio tutto.
Grazie Jerry.
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Dylan by Schatzberg è disponibile da ACC Art Books.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey UK.