I Balcani hanno patito decenni di guerra ininterrotta. Fu l’incidente di Sarajevo, nell’attuale Bosnia-Erzegovina, a dare il via alla Prima Guerra Mondiale. Negli anni Novanta, dal 1991 al 2001 – ossia dalla secessione slovena all’insurrezione albanese nella Repubblica di Macedonia – tutta una generazione si è formata in mezzo a guerre religiose e animate dal nazionalismo. Bratislav Zivkovic fa parte di questa generazione.
“Il popolo dei Balcani non ha conosciuto altro che la guerra. Noi serbi abbiamo combattuto in tutto il mondo. Tutte le nostre generazioni sono state in guerra. Non abbiamo vissuto una pace più lunga di 50 anni, qui nei Balcani. Per noi è normale,” racconta a VICE News il quarantenne combattente cristiano ortodosso.
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Zivkovic si sente erede di un’antica tradizione di guerrieri serbi che ha combattuto contro il dominio ottomano: gli hajduk e gli uskok. La milizia da cui prende il nome, i cetnici, ha origine nei primi anni del ventesimo secolo, al momento in cui i serbi avevano armato un gruppo a sostegno dei rivoluzionari macedoni.
Avevano avuto un ruolo di primo piano nella Seconda Guerra Mondiale, ma sono arrivati ai giorni nostri attraverso le successive guerre balcaniche, dopo aver subito la persecuzione del socialismo jugoslavo. Dopo quelle guerre, i cetnici cessarono di essere un’organizzazione armata e diventarono un movimento politico ultranazionalista.
Nel 2014, nella penisola di Crimea, un gruppo guidato da Bratislav Zivkovic ha però ripreso questo nome. Sarebbero, secondo lui, la prima linea di combattimento panslavico ortodossa nei Balcani: ad oggi, per loro, il più grande nemico è l’Islam.
A 16 anni, questo serbo nato in una piccola città della Serbia centrale dice di essersi arruolato nelle cosiddette unità di difesa del territorio, che hanno combattuto contro i musulmani bosniaci, senza il sostegno del governo jugoslavo. Poi sarebbe entrato nella Sessantatreesima Brigata Paracadutisti, un corpo d’élite dell’esercito serbo. Con loro avrebbe combattuto in Croazia, Bosnia e Kosovo, al quale si riferisce con il nome usato prima della dichiarazione d’indipendenza: Kosovo e Metohija.
In seguito, fu la volta delle operazioni militari in cui avrebbe guidato da solo la sua gente. Zivkovic dice di aver comandato i cetnici oltre che in Crimea, nei territori della repubblica separatista a maggioranza russa di Lugansk, in Ucraina, e in diverse zone di conflitto della Russia, e sostiene di essere stato sul punto di entrare nella regione di Nagorno-Karabakh, al momento in cui scoppiarono conflitti tra questo stato di fatto – a maggioranza armena – e l’Azerbaijan, lo scorso aprile.
Lui e i suoi uomini non si sono lasciati sfuggire la possibilità di entrare in guerra. Bratislav Zivkovic sta cercando di organizzare insieme al bulgaro Jivko Ivanov una fratellanza ortodossa con legami in Russia, Grecia, Bulgaria, Serbia, Montenegro – che lui chiama Crno Gore, affrettandosi a dire che sarebbe parte della Serbia – e Armenia.
Ma chi finanzia questo gruppo?
“In Ucraina ci sono combattenti ceceni che ricevono una tariffa giornaliera ben al di sopra del salario medio in Russia,” ha spiegato a VICE News Marta Ter, ricercatrice dell’Osservatorio Eurasia. Si riferisce agli uomini di Ramzan Kadyrov che combattono al fianco delle truppe pro-russe, l’unico presidente di una repubblica della Federazione Russa con un esercito proprio, che porta a combattere altre guerre per soldi.
Il rapporto di questo oligarca con la Russia è complesso: l’anno scorso ha emesso un’ordinanza in cui stabiliva che non era possibile entrare nei servizi di sicurezza russi senza il suo permesso, e che – se questo fosse avvenuto – le sue truppe avrebbero avuto il diritto di sparare e uccidere.
“Kadyrov agisce come il braccio armato di Putin. Condiziona la loro fedeltà al pagamento delle tasse,” aggiunge Nicolas de Pedro, ricercatore presso il Centro per gli Affari Internazionali di Barcellona (CIDOB) in materia post-sovietica. Ma sia Tre che Pedro concordano sulla difficoltà di dimostrare che gruppi come quello di Zivkovic siano incaricati dal Cremlino.
Senza dubbio, senza l’aiuto del governo russo sarebbe impossibile per loro entrare in paesi come l’Ucraina.
“Quando entrano a Lugansk o a Donetsk hanno [l’approvazione] del Cremlino, perché altrimenti non potrebbero introdurre i loro soldati. Le entrate attraverso Rostov sul Don sono tutte controllate dal Cremlino. Un’altra cosa è poi il fatto che abbiano una certa autonomia”, spiega il ricercatore del CIDOB.
Concorda con questa tesi anche Abel Riu, specialista in Politica e Studi Internazionali presso l’Università di Uppsala e membro del Centro di Studi per la Pace Delàs, che chiarisce come l’autonomia di queste organizzazioni sia permanente.
“È possibile che all’inizio l’azione militare dei diversi gruppi fosse più decentralizzata. Soprattutto nel Donbass. Ma ora sono sorpreso del fatto che non avessero alcun tipo di autonomia operativa. È stata molto accentrata, e chi non si è adeguato alla nuova linea di comando se n’è andato o è stato fatto sparire direttamente per via civile o militare. Ci sono state anche alcune esecuzioni sospette,” continua Riu.
I ricercatori concordano con le dichiarazioni di Bratislav Zivkovic sul sostegno straniero.
“Riceviamo l’aiuto dei nostri fratelli per comprare i biglietti per partire. E quando andiamo in Russia, i nostri fratelli cosacchi ci fanno entrare in Ucraina: lì troviamo le armi per le nostre unità,” dice il leader ultra-ortodossi.
I cosacchi sono un corpo paramilitare ausiliario sotto il controllo dello stato russo. In Ucraina sono state proclamate ‘diverse repubbliche’, cosa che ha portato a rappresaglie da parte dei separatisti russi stessi, che si sono poi concluse con il loro ritiro su ordine del Cremlino.
In ogni caso, le simpatie di Bratislav Zivkovic verso i cosacchi non si estendono agli uomini di Kadyrov, indicando che le motivazioni della lotta sono molto più ideologiche che economiche.
“Non voglio musulmani vicino a me. Capisco che la Russia e Putin e Kadyrov abbiano buone relazioni, ma io non ho buoni rapporti con loro. Sono arrivati a Lugansk un giorno e ho detto che non volevo vederli lì. Mi hanno detto che eravamo fratelli e ho risposto: ‘No. Non siamo fratelli.’ Ci sono tante regioni in cui combattere in Ucraina, è inutile stare nella stessa,” ricorda Zivkovic.
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Le cose stanno cambiando in Russia, la più grande roccaforte del cristianesimo ortodosso del mondo. Il governo Putin ha messo in atto cambiamenti significativi in tutta la struttura organizzativa di polizia e forze di sicurezza, e questo significa che i cosacchi svolgono un ruolo più o meno importante.
“Ha abolito gli ordini precedenti e ha concentrato tutto sulla chiamata della guardia nazionale, che dipende direttamente da lui. Ci sono anche forze degli Interni, e i Cosacchi: chiunque abbia una certa responsabilità di sicurezza o intelligence”, ha detto Abel Riu.
Cosa che non sembra disturbare Zivkovic.
“In Russia tutto è sotto controllo. Lo so. Ero lì a Ekaterinburg, in Daghestan, Cecenia … In Russia hanno i cosacchi. Fanno pattuglie con l’esercito, la polizia … tutti controllano tutti. Sono stato in Russia con alcuni musulmani. Vogliono solo vivere, lavorare e fare soldi. Ci sono solo un paio di idioti estremisti che vogliono fare del male”, dice.
In un gioco del gatto col topo con la NATO, la Russia può concedere un ruolo sempre più importante a queste organizzazioni paramilitari.
In quali paesi gli ortodossi sarebbero a rischio, secondo lui?
“La Macedonia è in guai seri. Molto grave. Non so cosa può succedere, perché questa è una colonia americana, come il Kosovo e Metohija. Parli con un albanese in strada e chiedi, ‘Può fare qualcosa il Kosovo senza l’America?’ Tutti ti diranno di no”, dice Bratislav.
Se le sue previsioni si rivelassero vere, potremmo vedere lui e i suoi cetnici andare in azione. Le guerre nei Balcani, nel Caucaso e in Europa orientale sono sempre minacce che vanno prese sul serio.
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