Tecnologia

Secondo questi segnali, potremmo essere alle soglie di una grande 'estinzione di massa'

Per Chris Mays e il suo gruppo di ricerca, stiamo assistendo a inquietanti analogie tra la "Grande Moria" del Permiano-Triassico e il nostro presente.
Moria di pesci in Florida
Moria di pesci in Florida. Foto di Andrew Lichtenstein via Getty Images.

La proliferazione di alghe e batteri nocivi sulle rive è una realtà per fiumi d’acqua dolce e laghi. Ora, una nuova ricerca la classifica come un indicatore del vero e proprio disastro ecologico in corso—una situazione che ricorda piuttosto da vicino la più grossa estinzione verificatasi nella storia del nostro pianeta.

Facciamo un passo indietro: 251 milioni di anni fa, l’estinzione di massa del Permiano-Triassico conosciuta anche come “La Grande Moria” ha spazzato via quasi il 90 percento di tutte le specie terrestri, rendendola di fatto la più pesante perdita di vita e biodiversità nella storia della Terra.

Pubblicità

Purtroppo, secondo Chris Mays, ricercatore e paleobotanico presso il Museo di Storia Naturale a Stoccolma, stiamo assistendo a inquietanti analogie tra quel momento di cambiamento radicale e il nostro presente.

Gli studiosi hanno scoperto che quelle alghe e batteri tossici della “Grande Moria” hanno molte similitudini con la recente proliferazione microbica rinvenuta nei laghi e nei fiumi—un fenomeno legato alle emissioni di gas serra (in special modo CO2), la deforestazione e l’erosione del suolo.

“Non siamo ancora a quel punto,” specifica Mays. “Durante l’estinzione di massa del Permiano-Triassico l’anidride carbonica è aumentata probabilmente di sei volte, mentre oggi i livelli non sono ancora raddoppiati rispetto all’era pre-industriale.”

“Tuttavia, con il rapido aumento attuale rischiamo di ritrovarci con quegli stessi valori di C02,” avverte. “In contemporanea, aumenta il rischio di subire eventi legati alla proliferazione di microbi dannosi, insieme a molti altri aspetti e sfaccettature di un cambiamento deleterio per la nostra specie (tra i quali inondazioni, incendi e uragani).”

La correlazione tra questa forma di proliferazione e le estinzioni di massa “è un segnale preoccupante,” scrivono i ricercatori in uno studio pubblicato su Nature Communications. In effetti, ci sono diverse prove che suggeriscono che potremmo essere nel mezzo di un’altra estinzione di massa, causata dalla nostra specie.

Pubblicità

Secondo il gruppo di ricerca, queste fioriture microbiche trasformano gli habitat di acqua dolce in vere e proprie “zone morte” che possono soffocare diverse specie e accelerare la gravità della situazione, e inoltre potrebbero persino ritardare il risanamento di un ecosistema per milioni di anni.

Mays e colleghi hanno raggiunto questa conclusione analizzando i dati relativi ad alcuni fossili risalenti al periodo prima, dopo e durante l’estinzione del Permiano-Triassico vicino Sydney, in Australia.

Benché il meccanismo esatto dietro la “Grande Moria” sia ancora materia di dibattito, in parte è stato determinato da un intenso periodo di eruzioni vulcaniche che hanno scatenato una violenta impennata delle temperature globali e delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra. Incendi, siccità e altri fenomeni hanno sconvolto le superfici boschive, causando un collasso della vita vegetale e una deforestazione diffusa.

L’improvvisa perdita delle foreste, che funzionano da bacini carboniferi, ha provocato un’evidente “intervallo del carbone” durante questo periodo, e una lunga sospensione dell’assorbimento del carbonio. Il suolo e le sostanze nutritive che un tempo venivano metabolizzate da questi ecosistemi botanici si sono insinuate nei vicini habitat di acqua dolce, rafforzando quelle fioriture microbiche che stavano già prosperando per colpa delle alte temperature e del carbonio nell’atmosfera.

Pubblicità

Queste comunità microbiche sono in effetti una parte essenziale e integrante degli ecosistemi di acqua dolce. Tuttavia, gli effetti del cambiamento climatico causato dalle attività umane—compresi gli incendi, la deforestazione, l’erosione del suolo e la siccità—stanno provocando un aumento sconsiderato.

“I tre ingredienti principali di questa sorta di ‘zuppa tossica’ vengono amplificati dalle emissioni di gas serra, dalle alte temperature e dall’abbondanza delle sostanze nutritive,” conferma Mays. “Durante l’estinzione del Permiano-Triassico, nonché altri eventi simili, le eruzioni vulcaniche hanno fornito i primi due ingredienti, e l’improvvisa deforestazione il terzo. Nello specifico: quando sono scomparsi gli alberi, il suolo è finito nei fiumi e nei laghi, assicurando così ai microbi tutti gli elementi nutritivi a loro necessari.”

“Oggi come oggi, la nostra specie sta garantendo in abbondanza tutti e tre gli ingredienti,” sottolinea. “Il diossido di carbonio e il riscaldamento globale sono il risultato dell’utilizzo dei combustibili fossili, senza contare che abbiamo fornito abbondanti nutrimenti ai microbi grazie all’agricoltura e alla deforestazione. Questo miscuglio ha portato a un brusco aumento di tossicità nelle acque dolci.”

Di questo passo, il rischio è diffondere le melme tossiche e creare quelle stesse pericolose zone morte che hanno contribuito alla crisi ecologica, e alla successiva lentissima ripresa, della “Grande Moria.” Il gruppo di Mays ha avanzato molti paragoni tra la proliferazione di quel periodo e quello che sta accadendo oggi. Paragoni che includono persino la struttura filamentosa, la composizione, la forte fluorescenza e le alte concentrazioni di queste colonie batteriche o alghe.

Pubblicità

“L’alta concentrazione delle alghe durante l’estinzione del Permiano-Triassico era uguale a quella che noi stessi possiamo testimoniare in molti casi odierni,” rilancia Mays. “Però il fenomeno contemporaneo è dovuto all’intervento della specie umana.”

La squadra di studiosi sottolinea anche che “l’intervallo di temperatura ottimale per la crescita” di questi microbi è compreso tra i 20 e i 32 gradi, che corrisponde alla stima relativa alle temperature estive agli inizi del Triassico (il periodo immediatamente successivo al Permiano), ed è anche entro i limiti previsti alle medie latitudini arrivati al 2100, secondo lo studio.

“La bellezza di poter guardare a questi eventi preistorici è che ci forniscono delle indicazioni chiare e pulite delle conseguenze del cambiamento climatico,” constata Mays. “Quello che i fossili e le pietre ci mostrano sono i risultati del riscaldamento senza le influenze aggiuntive degli esseri umani, quali ad esempio i nutrienti derivanti dall’attività agricola, la deforestazione attraverso il disboscamento e l’estinzione dovuta alla caccia o alla pesca eccessive,” e via dicendo.

“Abbiamo scoperto che si possono causare diverse estinzioni di specie semplicemente permettendo il rilascio di molti gas a effetto serra in un breve lasso di tempo,” spiega. “Non importa da dove arrivano questi gas―vulcani, aeroplani, centrali a carbone: i risultati potrebbero comunque essere gli stessi.”

Pubblicità

Chiaramente, non è incoraggiante osservare le stesse tendenze che si erano verificate durante la peggior estinzione di massa sul nostro pianeta. Seguire l’emergenza nella acque dolci potrebbe aiutare gli scienziati a prevedere i costi ambientali della crisi climatica, che potrebbero anche includere una ripresa estremamente lenta degli ecosistemi perduti e trasformati in zone morte.

Mays e colleghi hanno anche in programma di studiare il ruolo degli incendi incontrollati, così come la distruzione di importantissimi bacini carboniferi come quelli delle aree umide in Sud America o le torbiere in Siberia.

“Come abbiamo potuto osservare dai reperti fossili, senza queste zone che ‘prelevano’ il diossido di carbonio, il mondo potrebbe diventare insopportabilmente caldo,” sottolinea Mays. “Benché gli incendi incontrollati giochino un ruolo importante in alcuni ecosistemi, credo che la maggior parte degli scienziati sarebbe d’accordo nel prevenire la distruzione di questi bacini carboniferi e di considerarla una priorità globale, se vogliamo minimizzare l’impatto a lungo termine del riscaldamento.”

“A differenza delle specie che in passato hanno subito le estinzioni di massa,” conclude, “abbiamo l’opportunità di evitare questa proliferazione tossica mantenendo i nostri corsi d’acqua puliti e arginando le emissioni di gas serra.”