Siete alla ricerca di un modo perfetto per rovinare un’amabile cena con amici? Ecco, vi basterà intavolare un discorso sulla caccia alle foche in Canada.
Volete sapere quanto possano scaldarsi le persone nel parlare di caccia alle foche? Il famoso cantante Morrissey una volta, nel 2014, ha dichiarato che l’allora Minister of Fisheries and Oceans (il Ministro canadese dell’Industria Ittica e degli Oceani) avrebbe meritato una pallottola in testa per non aver abolito la caccia. Lei, dal canto suo, aveva risposto a tono dicendo che Morrisey avrebbe bisogno di trovarsi un hobby e che i suoi discorsi venivano da decenni di “lavaggio del cervello”. Nel mentre, le foche continuavano a essere cacciate nelle coste ghiacciate atlantiche del Canada del Nord. A oggi la carne di foca è anche molto più disponibile nei ristoranti di tutto il paese e, se c’è una cosa che il dibattito Morrisey vs Ministra ci ha insegnato, è che ci sono ancora parecchie informazioni discordanti e poco chiare da entrambe le fazioni.
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Per cercare di capire cosa stia succedendo davvero, ho lavorato insieme a MUNCHIES alla produzione e realizzazione di un documentario che potesse raccontare accuratamente l’intera situazione. Abbiamo parlato sia con i cacciatori di foche del Nunavut, del Newfoundland e del Quebec, sia con le organizzazioni che da tempo si oppongono alla caccia, come la PETA e l’IFAW (il Fondo Internazionale per il Benessere Animale), e i singoli leader dei vari movimenti per i diritti degli animali.
Questo nostro viaggio ci ha anche portati a bordo di motoslitte e motoscafi adibiti alla caccia alle foche, alla volta di spedizioni limite nel gelo degli angoli più remoti e freddi della Terra. Abbiamo anche raggiunto il Primo Ministro canadese Justin Trudeau a un banchetto a base di carne cruda, tenutosi a Iqaluit durante la sua campagna elettorale.
La popolazione Inuit canadese fa affidamento sulle foche come risorsa di sostentamento da millenni
Quella della caccia alle foche è una questione politica estremamente complessa, persino per quelli che cercano di sviscerarne le problematiche da un punto di vista imparziale. I gruppi di animalisti hanno passato decenni a rafforzare l’idea che la stagione di caccia contro le foche sia uno degli atti più barbari e raccapriccianti gli esseri umani abbiano mai intrapreso, e il loro messaggio era ed è rafforzato dal fatto che le foche sembrino degli adorabili cuccioli di cane e ucciderli sia quindi brutale e insensato.
Guarda il documentario: “Caccia alle foche: la controversa pratica canadese”
Chi vive realmente vicino alle foche vede però le cose da un altro punto di vista.
La popolazione Inuit canadese fa affidamento sulle foche come risorsa di sostentamento da millenni, utilizzandole inoltre per tutto ciò che riguarda il cibo, l’abbigliamento e il carburante. In pochi, al di fuori dell’Arcipelago Artico, capiscono quanto realmente sia cruciale questo tipo di risorsa per l’economia e la vita di tutti i giorni nell’Artico. A oggi gli abitanti di Nunavut continuano a cacciare, mangiare e vendere carne e pelle di foca, così come fanno i vicini abitanti del Newfoundland e delle Isole della Maddalena nel Quebec, a prescindere da tutte le proteste pubbliche, campagne e sanzioni contro la caccia a questi animali. Ora che però questa loro forma di mercato sta diminuendo e pian piano sparendo, in molti contestano il fatto che il movimento “salviamo le foche” abbia distrutto i loro mezzi di sostentamento primari.
Il mio interesse per questa storia è iniziato quando uno chef della mia città natia, Montreal, ha iniziato a servire patti di poutine e lombo di foca nel suo ristorante, lo Au Cinquième Péché. Benoit Lenglet, questo il nome dello chef, è stato solo il primo di tanti, poiché poco dopo anche altri del settore hanno iniziato a proporre simili piatti, incluso il Maison Publique sempre a Montreal, e il Côté Est a Kamouraska (quest’ultimo serve anche un hamburger chiamato Phoque Brigitte Bardot Burger, il cui nome gioca ironicamente sull’ omofonia di phoque, che in francese significa “foca” e in inglese suona come “fuck”, e il fatto che Brigitte Bardotte sia stata una delle prime celebrità a opporsi alla caccia alle foche). Ho anche sentito di simili menù in alcuni ristoranti del Newfoundland, come il Raymonds e il Mallard Cottage.
Organizzazioni vegane come la PETA spesso coordinano proteste contro gli chef che usano carne di foca, come questa di gennaio, in cui gli attivisti vestiti da foche agonizzanti in piscine di sangue finto si erano ritrovati davanti a un ristorante di Vancouver, reo di aver servito pappardelle al ragù di foca (la cui origine era etica).
Nonostante molti degli chef canadesi che cucinano carne di foca si ritrovino in realtà a dover affrontare regolari minacce di morte da parte di gruppi di attivisti per la liberazione animale, rimangono irremovibili nella loro posizione, convinti del fatto che la vendita e il consumo di una carne di foca organica e sostenibile, cresciuta non in cattività e localmente, valga molto di più i un trucchetto “attira attenzione”. Soprattutto se le foche vengono comunque allevate per il loro pellame.
Quando abbiamo iniziato a filmare il nostro documentario, abbiamo scoperto che una regista di Iqaluit stava girando un documentario (Angry Inuk), il cui scopo era quello di mettere sotto i riflettori i devastanti effetti delle proteste degli attivisti nei confronti della comunità locale. Alethea Arnaquq-Baril, questo il nome della regista, ha poi finito il documentario (è disponibile adesso), vincendo anche premi prestigiosi al Santa Barbara International Film Festival, al Canada’s Hot Docs Festival, e al TIFF’s Top Ten Film Festival. Premi a parte, questo documentario ha dato finalmente il via all’agognata discussione sulle questioni davvero rilevanti alla caccia alle foche. Il successo di Angry Inuk ha persino portato alcune figure centrali di alcuni gruppi per la tutela dei diritti animali non solo a rivedere le proprie politiche associazionistiche, ma anche a riconoscere i danni arrecati.
I film in generale hanno giocato un ruolo cruciale in quella che è la discussione sulla caccia alle foche. Il movimento internazionale contro la caccia alle foche si può addirittura far risalire a un film del 1964, Les Grands Phoques de la Banquise, più volte mandato in onda sia in Europa che in Canada dall’emittente Canadian Broadcasting Corporation. Sensazionalistico e in bianco e nero, Les Grands Phoques de la Banquise aveva falsificato scene di tortura animale, portandole a degli estremi difficili da digerire persino oggi. Organizzazioni internazionali per la protezione degli animali si erano attivate alla vista di quelle scene, fra le quali si annovera un filmato manipolato di una foca scuoiata viva.
Parlando con i veterinari abbiamo scoperto che il modo più umano per uccidere gli animali sia farlo il più in fretta possibile, così come fanno i cacciatori professionisti di foche. Loro eseguono una procedura specifica di tre passaggi per ridurre al minimo o del tutto la sofferenza dell’animale ucciso.
Sebbene fosse importante cambiare l’industria della caccia alle foche all’epoca, poiché si trattava di animali in via d’estinzione, tutte le controparti ora concordano sul fatto che le varie specie di foche non rischino ora di estinguersi né nell’Oceano Atlantico, né nella zona dei Grandi Banchi di Terranova. Stando all’organizzazione governativa canadese Fisheries and Oceans Canada, il cui scopo è anche quello di monitorare la caccia alle foche, “la popolazione dell’esemplare di foca della sella canadese consta di circa 7,4 milioni di esemplari, un numero di sei volte maggiore a quello degli anni Settanta.”
Le ondate di movimenti per la salvaguardia degli animali sono state così efficienti nel proteggere le specie, che queste hanno continuato a crescere di numero, ostacolando i tentativi dell’industria ittica di proteggere le conseguenti specie di pesci a rischio nelle stesse acque. Basti pensare al fatto che un esemplare adulto di foca grigia possa arrivare a mangiare in un anno, approssimativamente, due tonnellate di altre specie marine per capire le preoccupazioni dell’industria ittica. I merluzzi, i cui banchi sono particolarmente a rischio, formano il 50% della dieta di una foca. E quindi ci chiediamo: è possibile discutere onestamente di come la salvaguardia di una specie possa metterne a rischio un’altra?
Perché mangiare burger di carni d’allevamento intensivo è socialmente accettabile, ma consumare carne di foca allevata sostenibilmente no?
Più esaminiamo la questione della caccia alle foche, più ci ritroviamo con domande da porre a noi stessi. Per esempio, data la nostra insaziabile tendenza all’onnivorismo (nei soli Stati Uniti tra l’87 e il 96.3% della popolazione mangia carne, a seconda del sondaggio), gli animali selvatici allevati eticamente, sono da preferire a quelli domestici? Perché mangiare burger di carni d’allevamento intensivo è socialmente accettabile, ma consumare carne di foca allevata sostenibilmente no?
Parlando con i veterinari abbiamo scoperto che il modo più umano per uccidere gli animali sia farlo il più in fretta possibile, così come fanno i cacciatori professionisti di foche. Loro eseguono una procedura specifica di tre passaggi per ridurre al minimo o del tutto la sofferenza dell’animale ucciso. (Per saperne di più potete leggere qui). Ironicamente parlando, la caccia di oggi è meno crudele di quella che avviene giornalmente nei macelli, dove vengono portati i comuni animali d’allevamento.
Come spiegato nel 1978 da Paul Watson, ex attivista Greenpeace ora a capo della Sea Shepherd, e ammesso da altri enti, “raccogliere fondi con la lotta alla caccia alle foche è molto più facile”. Le foche da sole hanno generato profitti enormi a specifici gruppi, e lo hanno fatto per decenni. Questo a discapito delle comunità che invece, da queste campagne “salviamo le foche”, ci hanno solo perso.
Stando a quando detto dalla Ontario Federation of Humane Societies, “la foca della sella non è a rischio estinzione, ed è assolutamente assurdo insinuare lo sia. È altresì spregiudicata la campagna di odio e discriminazione perpetrata confronti delle comunità del Newfoundland a seguito di queste campagne, il cui scopo primario è quello di raccogliere fondi”.
Il nostro film si pone quindi un semplice obiettivo, che all’interno dell’importante lotta contro la sofferenza animale chiede di non perdere di vista non solo i diritti animali,ma anche quelli per gli esseri umani.
Aaju Peters, avvocato Inuik e fashion designer che lavora la pelle di foca, contesta il fatto che gli animalisti abbiano consapevolmente preso di mira i mezzi di sostentamento Inuk inducendo i vari governi mondiali a proibire l’import di prodotti di foca. Sebbene i cacciatore di foche del Nunavut utilizzino ogni parte dell’animale, così come hanno sempre fatto, quello che ora si ritrovano è un mercato in cui è impossibile vendere pellami. Gruppi come la PETA e l’IFAW hanno ricavato fortune dalla protezione di queste specie non a rischio mentre le comunità Inuit si sono ritrovate vittime di una povertà endemica e instabilità alimentare (sebbene siano circondati da un bene completamente sostenibile e abbondante nei suoi numeri: la foca).
“Abbiamo passato 250 anni a convincere gli Inuit e le Prime Nazioni a cacciare secondo il modello industriale europeo, in quello che era un tentativo di convincere le comunità aborigene a smettere di cacciare in base ai propri bisogni per focalizzarsi invece sui nostri,” spiega John Ralston Saul, autore e intellettuale canadese. “Li abbiamo obbligati a riorganizzare le loro comunità su di noi. E poi, tutto d’un tratti, i grandiosi bisnipoti di quegli stessi europei si sono alzati, hanno impuntato i piedi e hanno dichiarato a gran voce che tutto ciò fosse abominevole, gli aborigeni esseri terribili e tutta la faccenda in generale terribile. Abbiamo detto loro di non voler avere più nulla a che fare con questo tipo di caccia.”
Il nostro film si pone quindi un semplice obiettivo, che all’interno dell’importante lotta contro la sofferenza animale chiede di non perdere di vista non solo i diritti animali, ma anche quelli per gli esseri umani. Come spiegato dalla regista Alethea Arnaquq-Baril, “la nostra voce viene raramente ascoltata. Vorremmo raccontare la nostra versione”.
Il lato della loro storia sta finalmente venendo ascoltato, e tutto questo sta succedendo ora, in un’epoca in cui le comunità urbane sono così staccate da chi il cibo lo fornisce, che chiunque è consapevole del fatto che il bacon per la colazione nasce dall’uccisione di maiali veri.
Le foche mangiano e vengono mangiate, a prescindere dalla nostra posizione sulla questione.
Le società industriali hanno qualche problema ad accettare il fatto che sia possibile avere cura degli animali e ucciderli per ricavarne cibo, abbigliamento o altro. Eppure questo dualismo, come notato da John Berger in Why Look at Animals, è “alla base del rapporto uomo-animale. E il rifiuto di tale dualismo sarà probabilmente un fattore cruciale nella nascita di una forma di totalitarismo moderno”. Stando sempre a quanto sostenuto da Berger, nel momento in cui l’essere umano inizia a dimenticare le leggi della natura, arriva a perdere gradualmente la capacità di riconoscere altre verità. Ogni forma di vita esistente trasforma altre forme di vita in energia. Il lupo non piange prima di mangiare la pecora appena cacciata.
Al giorno d’oggi gli unici animali a cui teniamo sono quelli domestici, dimenticandoci come siano gli altri animali (così come gli uomini) allo stato brado. Le foche non sono animali domestici, sebbene possano risultare così tanto adorabili da trarci in inganno. Le foche sono sia predatori che prede acquatiche. Non sono fatte per essere coccolate, sono animali senzienti che uccidono e vengono uccisi. Le foche mangiano e vengono mangiate, a prescindere dalla nostra opinione sulla questione.
Noi stessi siamo dei predatori, abbiamo solo trovato diversi modi per meccanizzare e anche un po’ nascondere il processo della caccia. Il nostro io razionale e urbanizzato fatica a realizzare che gli umani uccidano. Disponiamo anche di una coscienza che ci rende naturalmente predisposti a provare compassione verso la natura, così come ad atteggiarci da suoi protettori anche se in realtà la stiamo distruggendo.
Per addentrarci meglio in questa relazione con lo stato brado, forse dovremmo dare ascolto a chi vive realmente nelle sue prossimità. Gli Inuit e i cacciatori di foche della costa Atlantica Canadese hanno sempre condiviso il proprio habitat con i mammiferi marini e, dato anche il cambiamento climatico impellente, non taceranno sulla questione ancora a lungo. In qualsiasi modo ci si voglia definire, la verità è che noi tutti, foche incluse, dobbiamo uscire da questa situazione insieme.
Questo articolo è apparso originariamente su MUNCHIES nel giugno del 2017.