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Il tartufo bianco d’Alba sta scomparendo. E la colpa è del cambiamento climatico

Tartufo bianco Alba cambiamento climatico

“La raccolta del tartufo, a causa di deforestazioni, clima secco e caldo inaspettato, dovrebbe calare del 70% nel 2071 e del 100% entro il 2100″

Il Tartufo Bianco di Alba è destinato a sparire. Quel tubero dai prezzi inaccessibili, baluardo dell’alta cucina, sta seriamente rischiando di scomparire per sempre dalle Langhe. E la colpa è ovviamente di quel cazzo di cambiamento climatico.

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Ho scoperto di questa “tragedia” ovviamente nelle Langhe, dove non ero mai stato, e che in qualche modo ho sempre immaginato attraverso le storie di Fenoglio da bambino, con questi colli nebbiosi, un paesaggio melodrammatico e romantico.

“I colori che si vedono non sono quelli giusti. C’è ancora troppo verde. E per noi vedere che la stagione si sta spostando è un grosso problema”

Sono qui per la Fiera Internazionale del Tartufo, che si tiene ogni anno. La gente accorre letteralmente da ogni parte del globo per andare a vedere, annusare e capire le quotazioni del tartufo più pregiato al mondo. Così, a titolo informativo, quest’anno sta sui 200 euro all’etto. C’è una vera e propria borsa che dà le quotazioni annuali: la Borsa di Acqualagna. E se quest’anno può dirsi un’annata abbastanza fortunata, altrettanto non hanno potuto dirlo i trifulau l’anno scorso e soprattutto quello prima, quando le quotazioni erano a 280 euro all’etto circa per il primo caso, e di 500 nel 2017. CINQUECENTO EURO ALL’ETTOGRAMMO PER UN “FUNGO PUZZOLENTE”.

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Per capire meglio la storia del tartufo, la cosa migliore è stata andare in un bosco con un trifulau e il suo cane. Carlo Marenda ha 37 anni e ha come passione (“che non nascondo essere redditizia”, dice) quella di svegliarsi prima dell’alba per andare a cercare tartufi. Ad accompagnarlo, per questa volta, c’è Buc, un cane simpatico un po’ tocco che annusava un sacco. Buc si chiama così perché fa delle buche (risatina, grazie). Insomma, in uno scenario che a me sembrava bellissimo, e pieno di colori autunnali, è iniziata una passeggiata con Carlo, e molte chiacchiere.

“Perché nasca, il tartufo bianco, servono determinate condizioni, servono le stagioni vere: serve la pioggia dell’autunno e la neve dell’inverno. E in questo momento è sempre più difficile.”

“I colori che si vedono non sono quelli giusti. C’è ancora troppo verde. E per noi vedere che la stagione si sta spostando è un grosso problema”, dice Carlo. Il tartufo bianco è solo una delle tipologie che si trovano da queste parti: ci sono anche il nero e lo scorzone, il tartufo “dei poveri”, perché non vale quasi niente e in effetti non sa di niente. Insomma, il bianco è il più pregiato fondamentalmente perché è il più difficile da trovare e perché, a differenza degli altri, non può essere coltivato. Il problema è che negli ultimi anni è evidente come il cambiamento climatico non permetta al tartufo di crescere. “Il tartufo è un fungo ipogeo, cioè sottoterra. Ed è fatto dall’80% di acqua, che viene dall’umidità,” spiega Carlo. “Perché nasca servono determinate condizioni, servono le stagioni vere: serve la pioggia dell’autunno e la neve dell’inverno. E in questo momento è sempre più difficile.” Il periodo di raccolta, secondo il disciplinare, va dal 21 settembre al 31 gennaio. Ma non è da escludersi che in futuro verrà slittato.

Il tartufo bianco è il risultato di spore e radici. È un groviglio di radici che si solidifica grazie alle spore in un terreno grigio. Il problema è che non sappiamo il modo scientifico in cui cresce

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Carlo il trifulau e il suo cane Buk

La storia del tartufo bianco, tra l’altro, non è nemmeno così antica: l’esplosione della vendita di questo tubero risale ai primi decenni del 1900. Prima la figura del trifulau era vista come un rompipalle che bussava alla tua porta cercando di venderti questo coso, e che sistematicamente scacciavi di casa, o te l’avrebbe impestata con la sua puzza. “Mia madre e mia nonna mi raccontano che non ne volevano sapere”, mi dice Lorenzo, un ragazzo della zona. “Nelle famiglie contadine non si voleva sentir parlare di tartufo bianco e spesso ancora oggi gli anziani non vogliono mangiarlo. Era una cosa per banchieri, per gente borghese. Per loro era solo una palletta puzzolente.” E invece una lunga e massiccia operazione di marketing primordiale l’ha portato sull’Olimpo degli ingredienti. Complice anche Giacomo Morra, cuoco di Alba, che si inventò la Fiera del Tartufo per farlo conoscere al mondo. La sua strategia era recarsi a casa delle persone famose e regalargliene un pezzo, così l’avrebbero pubblicizzato. Ha funzionato alla grande.

Considera che qui la maggior parte del business lo fa il Barolo e un ettaro di vigneto costa sui 500.000 euro. Quindi spesso si disbosca per mettere vigne

“Fondamentalmente,” continua il trifulau Carlo, “il tartufo bianco è il risultato di spore e radici. È un groviglio di radici che si solidifica grazie alle spore in un terreno grigio. Il problema è che non sappiamo il modo scientifico in cui cresce. Sappiamo che si trova sotto le querce e i noccioleti selvatici nei boschi. E da quello che mi hanno raccontato una volta lo trovavi negli stessi punti, era più facile. Oggi non si sa dove possa crescere.” Capita che scavando per un bel po’ senza vedere esattamente dove sta questo tartufo, il tartufo stesso si rovini. Ora, sarebbe un bel problema e lo è in termini economici, ma Carlo, che è della nuova guardia, pensa che sia un bene. ” Io ho deciso di spendermi per parlarne e per cercare di aiutare il suolo a ristabilirsi: se il tartufo si spezza non è un male, rilascia le spore che possono generare un altro tartufo. Ci sono circa 4000 trifulau nelle Langhe e più del 50% è composto di anziani (che ne trovano di più perché hanno più tempo libero). Tra qualche anno un’intera generazione di cercatori sparirà e non c’è un ricambio adeguato. Ogni tanto, dopo aver scavato, pianto delle piccole querce, così da rigenerare vita nel bosco. Considera che qui la maggior parte del business lo fa il Barolo e un ettaro di vigneto costa sui 500.000 euro. Quindi spesso si disbosca per mettere vigne.”

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I “tajarin” al burro e tartufo bianco tipici delle Langhe.

“Riconoscerlo è molto difficile: ‘Bisogna prima di tutto sentire l’odore, che deve essere molto molto intenso’, spiega Carlo. Un odore quasi di metano”

Il Tartufo bianco, quello di Alba in primis, è buono, credo che su questo siamo tutti d’accordo. Spesso è quello che ci sta intorno a non esserlo. Il tubero è un esempio di come sia possibile sfruttare prodotti rari fino al midollo, a partire dalla compravendita fino alle tavole, dove la denominazione è frequentemente una semplice scritta sul menù, spesso non veritiera. “I tartufi bianchi di Alba sono molto rari. A volte per prenderne uno è necessario scavare anche un metro sotto terra”, dice Carlo il trifulau. “Per questo motivo sono molto rari e hanno un costo così alto.” Quindi: non ce ne sono molti, ce ne saranno sempre meno e per trovarli devi avere un super cane e una gran voglia di scavare in profondità, contro i 10-20 centimetri delle altre tipologie di tartufi. E quando una cosa è rara, è anche facilmente soggetta a truffe.

Il tartufo bianco d’Alba al tatto deve essere duro e liscio, se è molliccio dentro ci sono delle muffe o non è tartufo bianco d’Alba

Uno dei maggiori problemi del tartufo è la mancanza di una denominazione precisa: essendo un ingrediente da consumare e quindi vendere in fretta, le transazioni vengono fatte per lo più in contanti, senza lasciare traccia. “Non nascondo di vendere il tartufo che trovo in contanti. Non c’è ancora una legislazione chiara su questo alimento, che appena preso va venduto: deperisce in tre giorni, anche meno se non venga curato bene.” E in termini di bolla – quindi di un pezzo di carta che ne dichiara la provenienza – beh, diciamo che è spesso una bolla sulla fiducia. Insomma, riassumendo, non puoi sapere se quello che ti hanno grattato sulla pasta sia davvero tartufo bianco di Alba o tartufo bianco normale. Spesso quello che viene venduto come tartufo d’Alba viene dall’Umbria o dall’Istria, come spiega bene questo articolo della BBC. Anche riconoscerlo è molto difficile: “Bisogna prima di tutto sentire l’odore, che deve essere molto molto intenso”, spiega Carlo. Un odore quasi di metano. E poi al tatto deve essere duro e liscio, se è molliccio dentro ci sono delle muffe o non è tartufo bianco d’Alba. Ma una regola generale non c’è – e anche per questo è così affascinante.

Fascino o meno, la scomparsa del tartufo è innegabile. E non è cosa da niente. Il commercio di questo funghetto puzzolente e umidiccio vale centinaia di milioni di euro. Secondo degli studi fatti dall’Università di Cambridge, il tartufo è destinato a passare dagli attuali 1000 euro circa al kg a 4,5 milioni al kg. E questo nei prossimi 10-20 anni. Secondo il rapporto del dottor Paul Thomas la raccolta del tartufo, a causa di deforestazioni, clima secco e caldo inaspettato, dovrebbe calare fino al 70% nel 2071 e al 100% entro il 2100. Insomma, ha gli anni contati, quindi, se potete, approfittatene. E fatelo nelle Langhe, magari dopo un giro con un trifulau illuminato. Così il rischio di mangiarne uno istriano è minore.

Il Tartufo Bianco d’Alba è qualcosa che o si ama o si odia. A qualunque fazione apparteniate, un cosa è certa: che vi piaccia o meno, sparirà. E la colpa è ovviamente tutta nostra.

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