Com’è possibile che il catalogo premi di un supermercato sia più allettante della vetrina di una boutique?
Quand’ero bambina, a casa eravamo dei forzati delle raccolte punti: facevamo quella della pasta Barilla, grazie alla quale abbiamo nel tempo accumulato un set da 18 di piatti in ceramica con una farfalla in altorilievo; quella del Mulino Bianco per la radio a forma di… Mulino Bianco (sic), mentre a metà degli anni ‘90 ricordo una maratona particolarmente estenuante per il piumino Cacharel del Gran Premio Grandi Marche.
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Se il Duemila non è stato proprio il futuro in cui speravamo, quantomeno abbiamo smesso di ritagliare bollini dalle confezioni dei biscotti e dalle bottiglie d’acqua per incollarli con il biadesivo sulle schede; e mi ero convinta che il concetto stesso di “raccolta punti” fosse stato consegnato alla storia insieme all’URSS.
Poi tre anni fa ho fatto una figlia, mi sono trasferita nella semiperiferia di Milano, il lunedì so già cosa mangeremo per cena il giovedì, ogni settimana ricevo a domicilio una cassetta di verdura biologica e per il resto faccio la spesa all’Esselunga vicina a casa. CHOOSE LIFE!
Tra le molte scoperte di questa nuova fase borghese della mia vita c’è lo slancio degli indigeni per l’Esselunga, che – breve spiegazione per chi vive altrove – è la cosa più simile che i milanesi hanno all’amor di patria: clienti “altamente fidelizzati”, come si dice in gergo.
Le raccolti punti sono una voce di spesa per le catene: ed Esselunga continua a investire molto nel suo programma loyalty, a differenza di molti competitor, che negli anni hanno progressivamente ridotto il loro investimento
Esistono varie ragioni, in parte storiche: nel 1957 Esselunga fu uno dei primi supermercati ad aprire in Italia, ed oggi è un marchio “di famiglia”; in parte legate alla cultura aziendale, che ha sempre messo al centro al cliente, riproducendo sulla scala del supermercato una dinamica “di bottega”; e infine – eccoci – è merito del suo programma fedeltà, la Carta su cui si accumulano Punti Fidaty – che molti chiamano ancora all’antica, “Punti Fragola”.
La prima volta che ho consultato il catalogo non avevo alcuna aspettativa. Invece ho scoperto, sorpresa, di volere quasi tutto: cominciando dalla lampada TeTaTeT di Davide Groppi, quella portatile che i camerieri dei ristoranti di tendenza accendono sornioni su ogni tavolo come una candela (9000 punti + 99€, gratis con 18900); ma anche la caraffa Chemex, feticcio di ogni appassionato di caffè third-wave (2200 punti + 29€, gratis con 5100), senza dimenticare la cantinetta Cavist da 18 bottiglie che fa subito scannatoio, però di classe (6000 punti + 119€, gratis con 17900).
Dato che il catalogo prevede la possibilità di integrare i punti con una somma in denaro, molti sono convinti che le catene di supermercati ci guadagnino: ma questo è impossibile.
Ma com’è possibile che il catalogo premi di un supermercato sia più allettante della vetrina di una boutique? Per scoprirlo, ho interpellato uno dei massimi esperti in Italia di programmi loyalty, che preferisce rimanere anonimo: nel settore da vent’anni, il suo ruolo è fare scouting per trovare nuovi prodotti e brand da candidare.
Come prima cosa, gli ho chiesto se fosse corretta la mia sensazione, cioè che Esselunga abbia un programma loyalty di livello superiore rispetto alla concorrenza: «È così. Dato che il catalogo prevede la possibilità di integrare i punti con una somma in denaro, molti sono convinti che le catene di supermercati ci guadagnino: ma questo è impossibile, perché la normativa vigente, ripresa nel D.P.R. 430/2001, vieta al promotore di richiedere un contributo superiore al 75% del valore normale di un bene, per evitare che si possa configurare “una vendita mascherata da premio”».
Le raccolti punti, insomma, sono una voce di spesa per le catene: ed Esselunga continua a investire molto nel suo programma loyalty, a differenza di molti competitor, che negli anni hanno progressivamente ridotto il loro investimento: con il risultato che «i premi diventano meno belli, i consumatori preferiscono i buoni spesa, il catalogo diventa sempre meno appetibile e i marchi più prestigiosi non vogliono più essere presenti – è un circolo vizioso».
Esselunga ha chiaramente l’obiettivo di avere i brand più rinomati – la grattugia è Microplane, la griglia per il barbecue Weber, la planetaria KitchenAid – e di tenere un profilo alto: la selezione di oggetti di design curata dalla gallerista Rossana Orlandi, santa patrona di tutte le sciure milanesi, ha pezzi meravigliosi, come il calendario perpetuo Timor di Enzo Mari (andato a ruba tra i miei amici che lavorano nel Quaternario) e le lampade Bilia di FontanaArte, disegnate da Gio Ponti.
Del resto, il catalogo si modella sui gusti di uno specifico Responsabile d’Acquisto: le donne tra i 25 e i 35 anni, le più attente alle tendenze in ambito casa e design.
Dunque: come mai questi marchi di fascia alta non temono di danneggiare il percepito del brand partecipando a una raccolta punti? «Fino a 10 o 15 anni fa convincere aziende come Bellora o Alessi a entrare in catalogo era difficilissimo, anche perché le boutique che vendevano questi marchi storcevano il naso. Ma negli anni è diventato molto più semplice: una cosa è il catalogo a premi, un’altra è il Fidaty».
Per le piccole aziende, invece, è la promozione in Serie A: già solo comparire sul catalogo – stampato in milioni di copie – è un potente veicolo pubblicitario: e siccome i clienti Esselunga sono molto fidelizzati «se in catalogo trovano un brand che non conoscono, pensano automaticamente “certamente è un buon prodotto”».
Troppo pochi punti per un premio? Da un minimo di 100 i punti possono essere donati ad associazioni benefiche che in queste settimane li stanno facendo convergere su specifiche tessere per trasformarli in buoni spesa
Mi riservo un ultimo paragrafo per le informazioni di servizio: i punti Fidaty accumulati fino al 21 marzo scadono l’11 aprile, quindi svaniranno come se non fossero mai esistiti.
Se non aveste ancora scelto il vostro premio, prendetevi un po’ di tempo per analizzare quali siano più o meno convenienti confrontando punti richiesti e valore di mercato effettivo – questo varia, perché a seconda dei singoli negoziati alcuni oggetti sono particolarmente appetibili (mio vertice personale: la libreria Ptolomeo, 10mila punti + 379€ di contributo, in natura costa circa 1000€). Il sito UltimoPrezzo, a dispetto della sua grafica primi anni Duemila, è in realtà aggiornatissimo: qui trovate un’ampia disamina della tecnologia nel catalogo Esselunga, e relativa convenienza (spoiler: conviene quasi tutto, con alcune eccezioni, come la GoPro e la TV Samsung).
Troppo pochi punti per un premio? Da un minimo di 100 i punti possono essere donati ad associazioni benefiche che in queste settimane li stanno facendo convergere su specifiche tessere per trasformarli in buoni spesa: c’è la Fondazione Scalabrini di Como che aiuta le persone in emergenza abitativa, la Caritas di Garbagnate, il Canile Fusi di Lissone, solo per fare qualche esempio.
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