“È una troia come sua madre.”
I compagni di classe parlavano di Laura in terza persona, fingendo che non fosse tra i membri della chat di gruppo su WhatsApp. Quando poi hanno deciso di eliminarla, hanno iniziato a mandarle messaggi con gli screenshot degli insulti collettivi.
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“Perché a me? Cos’ho che non va?”. Laura non vedeva l’ora di andare al liceo, ma un gruppo di ragazzi aveva individuato nelle sue origini straniere un punto debole da colpire senza pietà.
Mara, invece, prima di iscriversi alla scuola di estetica aveva frequentato un liceo dove era stata bullizzata a lungo senza che i professori la proteggessero.
Cambiare istituto non era servito a nulla: un gruppetto di ragazze più piccole aveva cominciato a deriderla su Facebook.
“Ma che mani hai? Sono tozze, un’estetista non può avere delle mani così brutte.”
Il Centro
Laura e Mara—i nomi sono di fantasia—fanno parte dei circa 1200 ragazzi accolti ogni anno dal Centro multidisciplinare sul disagio adolescenziale della Casa Pediatrica Fatebenefratelli.
Il Centro, unico nel suo genere in tutta Italia, è il punto di riferimento a livello nazionale per il trattamento di casi di bullismo e cyberbullismo.
Nell’ottobre 2015, la Casa Pediatrica ha stipulato un protocollo pluriennale con il ministero dell’Istruzione per ampliare la sezione dedicata alla prevenzione e alla cura di questo tipo di problemi.
In totale, nel 2016 (fino all’inizio di novembre) i pazienti del Centro sono stati 1112, con un incremento dell’otto per cento rispetto al 2015, quando i casi giunti alla struttura sono stati 1030.
Ad oggi l’ottanta per cento dei casi presenti nel Centro coinvolge—in qualche modo—internet, e di questo il 35 riguarda il cyberbullismo.
I pazienti hanno per lo più dagli otto ai 16 anni, età che scende anche a quattro o cinque anni per quanto riguarda episodi di bullismo ‘classico’, senza web.
“I dati sul bullismo e, in particolare, sul cyberbullismo sono in aumento,” spiega a VICE News Luca Bernardo, direttore della Casa Pediatrica Fatebenefratelli.
“Questo significa che qualcosa non sta funzionando. Quello che manca è un incontro tra famiglie, scuola e istituzioni sul piano della prevenzione.”
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La struttura si estende per 1500 metri quadrati nel centro di Milano, a due passi dai Bastioni di Porta Nuova e da Piazza della Repubblica.
L’accesso all’edificio è situato in via Fatebenesorelle. Le pareti, dominate dalle tinte pastello, sono coperte dalle opere di celebri artisti internazionali—come i supereroi del palermitano Domenico Pellegrino, che tappezzano i muri esterni della struttura.
“Fra le varie cose, facciamo anche studi di fattibilità online sulle sette sataniche, infiltrandoci nei forum che utilizzano gli adepti,” continua Bernardo.
“Un progetto molto importante riguarda inoltre i cosiddetti adolescent foreign fighter. Siamo convinti che i terroristi del futuro saranno proprio gli adolescenti, facilmente coercibili e poco visibili. La rete può essere un mondo estremamente pericoloso, abitato anche da adulti abilissimi a manipolare i più giovani.”
Per comprendere la gravità del fenomeno e i possibili modi per contrastarlo, abbiamo avuto accesso alla Casa Pediatrica.
Non è stato possibile parlare con i ragazzi in maniera diretta, ma abbiamo raccolto le loro storie e parlato con chi lavora nel centro per capire come opera e quanto sia utile.
Cyberbullismo
Come nel caso di Laura, anche in quello di Fabio (altro nome di fantasia) c’entrano le chat.
Gli scattavano fotografie di continuo, che poi gli inviavano corredate di commenti crudeli.
“Guarda che naso!”, “Ma non ti vergogni ad andare in giro vestito così?”.
Lui aveva minacciato di denunciarli. “Ma perché? Noi lo facciamo per il tuo bene, per farti rendere conto dei tuoi problemi.”
Alla fine Fabio ha rinunciato a reagire. Era già stato aggredito e isolato alle Medie: “Non c’è nulla da fare. Sono così, la mia vita non cambierà mai.”
In base a quanto si legge nel relativo ddl—ora all’esame del Senato—per cyberbullismo si intende “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione e […] qualunque forma di furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica.”
Secondo una ricerca Ipsos per Save the Children, “i due terzi dei minori italiani riconoscono nel cyberbullismo la principale minaccia che aleggia sui banchi di scuola, nella propria cameretta, nel campo di calcio, di giorno come di notte.”
Uno studio condotto dall’Università di Firenze e dall’Università “La Sapienza” di Roma riferisce che il 12 per cento degli intervistati (su un campione di 3300 studenti) è stato vittima di cyberbullismo.
Carolina Picchio, 14enne novarese, ne è considerata la prima vittima in Italia.
È morta suicida nel gennaio 2013 dopo che era stato fatto circolare un video in cui veniva molestata da un gruppetto di coetanei. Suo padre, Paolo, ha contribuito alla stesura del ddl sul cyberbullismo e al lancio del progetto pilota.
Il primo centro nazionale contro il cyberbullismo e le attività illegali in Rete dovrebbe aprire ufficialmente all’inizio del 2017. Sarà intitolato proprio a Carolina.
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Il protocollo prevede che intorno al futuro centro contro il cyberbullismo si crei una “rete di prossimità”: in sostanza, in ogni regione dovrà esserci un centro simile a quello che presto verrà inaugurato alla Casa Pediatrica Fatebenefratelli, con lo stesso tipo di equipe e di regole—mettendo così fine al via vai sanitario a cui sono costrette migliaia di persone.
“È fondamentale innanzitutto formare le famiglie, gli insegnanti e il personale Ata, ossia i bidelli,” ci spiega il direttore della Casa. “Nella metà delle scuole italiane si verificano episodi di bullismo o di cyberbullismo ogni giorno.”
La prevenzione e la cura—sottolinea Bernardo—devono essere svolti da centri specializzati, evitando di sanzionare o punire i ragazzi.
L’evoluzione del bullismo e le sue vittime
Il Centro multidisciplinare sul disagio adolescenziale è nato nel 2008, e fino al 2012 si è occupato solo di vittime di bullismo—che costituiscono l’80 o il 90 per cento dei pazienti.
“Molti di questi ragazzi sono depressi, hanno disturbi dell’alimentazione, presentano un comportamento autolesionista o eterolesionista—i due killer della Columbine, per esempio, erano stati bullizzati per anni,” aggiunge Bernardo.
“Spesso le vittime smettono di andare a scuola, si isolano. Una percentuale fra l’1,5 e il 2,5 di loro tenta il suicidio. Nella Casa Pediatrica abbiamo una stanza dedicata al ricovero di chi ha provato a suicidarsi, è un’abitazione verde acqua, spoglia, con una telecamera di sorveglianza. Dal 2012 al 2015—continua—abbiamo seguito 113 ragazzi che avevano tentato di togliersi la vita.”
Secondo quanto riferisce il direttore della Casa Pediatrica, negli ultimi cinque anni i bulli sono diventati più aggressivi e si è creata una condizione di parità tra maschi e femmine—oggi un bullo su sei è di sesso femminile. iI ruolo degli ‘spettatori’, contestualmente, ha assunto maggiore centralità.
“Basta un like per passare dalla parte del torto,” afferma Francesca Maisano, una delle due psicologhe cliniche del Centro.
“Per i cyberbulli ricevere parecchi like è gratificante. I ragazzi hanno scoperto che in rete hanno molti più spettatori che a scuola e che possono muoversi senza farsi identificare, in modo da non rischiare guai con la legge. Il problema è che esistono paesi stranieri che non prevedono l’obbligo di eliminare video o immagini offensivi, che così rimangono in circolazione per sempre.”
Il percorso
Il lavoro mirato alla ‘guarigione’ dei bulli—che rappresentano tra il 10 e il 20 per cento dei pazienti del Centro—è fondamentale.
“La maggior parte dei giovani bulli da adulti tendono a prendere la strada della delinquenza,” afferma Bernardo.
In genere vengono affidati in prova al Centro dal Tribunale: entro breve l’istituto ospiterà i cinque imputati di un processo importante. Uno dei ragazzi è stato condannato a oltre due anni di carcere.
All’interno della Casa Pediatrica si trova una palestra di autostima e autodifesa, l’unica al mondo all’interno di un ospedale, dove l’istruttrice del milanese training center KMIT Gabrielle Fellus insegna il krav maga, un metodo di combattimento israeliano.
Tra gli istruttori della palestra c’è anche Luca (nome di fantasia), una ventina d’anni.
“Da adolescente era un ragazzo violento,” spiega il direttore. “È riuscito a incanalare la rabbia nel krav maga e a utilizzarla per aiutare altre vittime.”
Il percorso di cura può durare da sei mesi a un anno e mezzo. “Come prima cosa incontriamo i genitori per ricostruire la storia,” specifica Bernardo. “Poi parliamo con i ragazzi e infine decidiamo insieme il piano progettuale.”
“Spesso svolgiamo attività di gruppo con scuole e lavori pratici di vario tipo,” che comprendono anche una zona per la pet therapy—con la presenza di cani-robot per chi è allergico al pelo—e programmi di arteterapia.
“Molti bulli—conclude—sono affetti dal disturbo da deficit di attenzione/iperattività. L’obiettivo principale è ridurre l’aggressività del ragazzo, e in alcuni casi è necessaria una terapia farmacologica.”
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