È il cinquantesimo anniversario della Summer of Love e i suoi maggiori protagonisti ci hanno ormai lasciato. Jimi Hendrix, Jim Morrison e Janis Joplin sono entrati nel Club 27, John Lennon s’è preso una revolverata, le migliori menti della loro generazione sono distrutte dalla follia (Brian Wilson?) e i migliori corpi dall’osteoporosi (a parte Mick Jagger).
Se sono sempre i migliori che se ne vanno, questa volta è toccato al peggiore di tutti, colui che il sogno hippie americano l’ha strangolato, accoltellato, fatto a pezzi e lanciato in un torrente dopo aver scritto “All Pigs Must Die” sul muro con il suo sangue. Charles Manson, in caso non vi fosse giunta voce, è morto questa mattina a 83 anni.
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Il problema di Manson (Charlie per gli amici) è che a differenza, per esempio, della marijuana (un altro pilastro del Male di quei tempi) su di lui l’opinione pubblica non è mai cambiata. Figlio di Satana era allora, e figlio di Satana è rimasto – anche sulle prime pagine dei nostri giornali di oggi. Ma non siamo qua per parlare dei suoi crimini, frutto non, ci spiace deludere Rai News, di un’influenza demoniaca, ma di una mente rovinata da famiglia, istituzioni, sistema carcerario e dosi ciclopiche di medicinali e droghe.
Siamo qua per insegnare un po’ di musica a Repubblica.it, che nel suo anti-coccodrillo di oggi scrive:
Charles Manson. Carismatico come il demonio. Gli occhi da pazzo, intelligente, dicono, certo manipolatore e psicopatico ma in grado dopo la metà degli anni ’60, nei suoi sprazzi di vita da libero, di attirare intorno a sé uomini e donne di tutti i tipi. Fricchettoni incoscienti, esaltati intellettuali, ragazzini di diversi gruppi sociali. Reginette del ballo, attori, musicisti dai sogni infranti. Per loro Manson è una figura paterna, un punto di riferimento, un amante, un mentore. La cura. Lsd l’ispirazione e la forza. Sono la ‘Famiglia’. Credono in Scientology e in Satana, odiano i neri. Usano la bellezza di una canzone come Helter Skelter dei Beatles per manipolarne l’ideologia. Manson ci legge l’avvicinarsi di una guerra tra ‘razze’. Il caos. Si crede un talento musicale, non lo è.
Si crede un talento musicale, non lo è. Il procedimento logico qui sembra: hai fatto ammazzare delle persone? Beh, la tua musica fa cagare, coglione. Gne gne.
È odioso e impossibile trarre giudizi sulle persone da un semplice articolo, quindi non mi cimenterò in questa impresa. Ma una cosa posso dedurla: Katia Riccardi, autrice dell’articolo, è una normie musicale. Nulla di male: è tautologico constatare che è una cosa perfettamente normale. La bellezza di cui parla in riferimento a “Helter Skelter” non l’ha constatata, le è stata insegnata. Sono i critici che ormai somigliano più a tassidermisti, chiusi in uno studio a impagliare miti per chi vuole sentirsi appassionato di musica senza doversi sforzare a effettivamente ascoltarla.
Per il normie la musica bella è un criterio oggettivo, è scritto sui libri. La musica bella ha venduto milioni di copie e scosso le coscienze. Questo è il talento: qualcosa che si realizza in uno studio, che una persona in giacca e cravatta ha approvato, il talento firma in calce a un contratto con una stilografica e viene fermato per strada dai fan adoranti. Ma invece quello è il successo.
Il talento è una cosa sporca e puzzolente che la gente tiene dentro di sé, come la cacca e la bile. E non è l’unica cosa che serve per diventare musicisti di successo: servono l’immagine giusta, la sicurezza in se stessi, l’impegno, la volontà di scendere a compromessi o la capacità di lasciarsi guidare da persone più esperte. A volte questi fattori sono anche più importanti del talento, ed è così che nascono certe pop star che sono gusci vuoti.
Charles Manson era un individuo profondamente disturbato, troppo disturbato per una carriera musicale che, per come si configurava all’epoca, l’avrebbe probabilmente masticato e sputato come ha fatto con altri individui profondamente disturbati come Syd Barrett, Kurt Cobain, Michael Jackson. La direzione che ha preso è stata tragica, ma questo non ha nulla a che fare con il suo talento.
Esaminiamo il suo unico vero album, che consiste di una raccolta di demo registrati prima di essere incarcerato, dietro incoraggiamento di Dennis Wilson, suo amico ed estimatore del suo songwriting, tanto da adottare una delle sue canzoni con la propria band, i Beach Boys.
La storia del disco è nota: esce autoprodotto a cura di Phil Kaufman il 6 marzo 1970, mentre Charles Manson, Susan Atkins e gli altri responsabili delle stragi Tate-LaBianca sono in attesa di giudizio. Le copie stampate sono 2000 e in copertina riportano la prima pagina dedicata a Manson daLIFE magazine, ma al titolo del giornale viene tolta la lettera F. È così che l’album finisce per intitolarsi LIE: The Love and Terror Cult.
È un album affascinante, ovviamente sgangherato, e rivestito di una patina sinistra che fa spiccare in controluce i proclami pacifisti pronunciati con gioia da Charlie e dai giovani della Family. Ma anche se non fosse collegato a una delle storie di sangue più affascinanti e discusse della storia statunitense, ci troveremmo davanti un documento impressionante di una mutazione unica della cultura hippie californiana. Vediamolo traccia per traccia.
“Look At Your Game Girl”
La prima canzone è anche la più famosa, coverizzata da quei pupazzi dei Guns N’ Roses nel loro The Spaghetti Incident. È anche la più pop del lotto, con quel ritmo un po’ latino che ricorda i Love di “Alone Again Or”. Volendo muovere una critica: quando l’autore dell’album è in carcere, accusato di aver convinto un gruppo di donne, dopo averle sedotte, a commettere due orrende stragi, forse aprire la tracklist con un pezzo che accusa una ragazza di mentire con aria tra il paternalistico e il minaccioso non è la scelta migliore.
“Ego”
Qua finalmente si mette la testa sotto e ci si immerge nell’atmosfera della Family. C’è una tampura in sottofondo, archi che stridono, si parla di liberarsi dell’ego che fa diventare avidi, crudeli, ossessionati, violenti. Solo l’amore ti può salvare. E un botto di droga, a giudicare da quanto tutti vanno fuori tempo.
“Mechanical Man”
Qua si incontrano su un tavolo da dissezione i Pink Floyd di Barrett, i Fugs e… non so, dei bambini che giocano nel fango in un trailer park? Tre minuti e venti di anarchica e liberatoria confusione che sembra anticipare lo spirito giocoso da sala prove di punk artistoidi come Swell Maps e Devo (che hanno una canzone dallo stesso titolo).
“People Say I’m No Good”
Ora dovrebbe essere chiaro perché tutti quelli che lo sentivano suonare rimanevano affascinati e finivano a vivere con lui e ammazzare la gente a suo comando. Pochi accordi di chitarra, una melodia vocale super romantica, da crooner, e un testo che parla di una società che si rifiuta di comprendere i giovani e di accettare il loro bisogno di essere diversi. “Scendi dallo scaffale / Non appartieni a nessuno”.
“Home is Where You’re Happy”
Un altro dei grandi singoloni pop di Manson, “Home is Where You’re Happy” funge anche da inno di reclutamento nella Family mansoniana. “Taglia tutti i ponti / Lasciati la vita alle spalle / Puoi fare tutto quello che vuoi / Perché la tua mente è forte”. Ovviamente intendeva “devi fare tutto quello che voglio io perché la tua mente è debole”, ma chiamiamola licenza poetica. Anche qua la voce di Charlie è ipnotica, mentre il semplice ritmo pop beatlesiano ti sigilla il pezzo in testa per bene.
“Arkansas”
Ok, qua entriamo nella zona davvero inquietante dell’album. Preceduta da un intro che in alcune versioni è intitolato “Struggle”, che consiste semplicemente nelle voci di alcune ragazze della Family che parlano di lottare con sé stesse, probabilmente per resistere alla tentazione di fare del male a dei gattini, “Arkansas” è un pezzo country-folk sporcato di raga-rock alla Byrds che narra la storia di un pover’uomo di campagna che deve piegare il proprio stile di vita libero alle grigie usanze del Governo e di quell’altra gentaglia lì. S’interrompe di botto con un effetto psichedelico da Alice nel Paese delle Meraviglie e viene subito seguita da…
“I’ll Never Say Never To Always”
… che è forse la registrazione più spaventosa e al contempo più dolce che esista. Ascoltatela: un coro di voci bianche che recita una filastrocca nonsense da lavaggio del cervello. Sono abbastanza sicuro che Genesis P-Orridge la cantasse alle proprie figlie mettendole a letto.
“Garbage Dump”
Per fortuna arriva l’allegro country da portico del Sud di “Garbage Dump”, un’ode al vivere sulla strada e cibarsi dei rifiuti dei ricchi, sempre perché se io e la mia Family siamo dei rifiuti della società allora vi dimostreremo che i rifiuti non hanno nulla che non va, o qualcosa del genere. A livello di messaggio di giustizia sociale è naturalmente trenta volte superiore a qualunque cosa Bono abbia mai scritto.
“Don’t Do Anything Illegal”
Con una band alle spalle questa sarebbe potuta diventare un’ottima canzone hard rock alla MC5. La metafora dell’aquila del governo americano che strangola i propri cittadini è perfetta. Street rock’n’roll al meglio da parte di uno che, prima di passare il segno e diventare un vero e proprio psicopatico criminale, aveva subito la repressione sulla propria pelle tra riformatorio e carcere giovanile.
“Sick City”
A quanto pare è la preferita di Marilyn Manson, il che è una garanzia di qualità.
“Cease To Exist”
Qui abbiamo la perfetta metafora della storia di Manson in una semplice canzone. Funziona così: il pazzo psicopatico figlio di Satana scrive una canzone sulla sottomissione, esortando una ipotetica ragazza a “cessare di esistere” e fondersi con il proprio uomo. Dennis Wilson e i Beach Boys decidono di inciderla, ma siccome il testo è troppo estremo, cambiano due paroline qua e là per farlo sembrare meno aggressivo. Il concetto è sempre quello, ma invece di “cessare di esistere” la ragazza deve “cessare di resistere”, e scompare il verso “la sottomissione è un dono / dallo al tuo fratello”. Ecco, Charlie, vedi, basta un poco di zucchero.
“Big Iron Door”
Un’altra canzone che parla di galera tramite le onomatopee dei rumori metallici che accompagnano la vita grama del carcerato. In dieci in una cella, il continuo clang bang clang e il cibo scadente farebbero impazzire chiunque, dai.
“I Once Knew a Man”
“I Once Knew A Man” è frittissima. Djembe suonati completamente a cazzo, rumori e mugolii di gente completamente fuori di melone accompagnano questa triste nonché delirante ballata che dev’essere stata registrata all’alba dopo giorni di party selvaggio.
“Eyes of a Dreamer”
Questa è forse la mia canzone preferita di Manson. Le sue doti vocali sono in grande spolvero, il suo tipico stile ritmico incalzante non molla un secondo e il tutto è punteggiato da una chitarra elettrica che cuce un arazzo psichedelico che è la versione astratta di uno slow rock da balera. E soprattutto, con uno sguardo come quello di Charlie in copertina, questo verso assume un sapore tutto particolare: “È tutto negli occhi di un sognatore / Tutto negli occhi dell’uomo / Tutto quello che hai fatto nella vita / E tutto quello che progetti di fare”.
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