I The Body non hanno mai voluto essere un gruppo metal. Fin da quando hanno messo il naso fuori dalle paludi malsane della mostruosa scena noise di Providence, Rhode Island, intorno a inizio millennio, il duo ora di base a Portland è stato sempre frainteso. Il chitarrista/cantante Chip King e il batterista Lee Buford sono stati giustamente lodati per le loro strumentali inacidite, per la loro visione, e per la loro prolificità—hanno fatto uscire tre full-length l’anno scorso e ne hanno due in programma per questo mese—ma i critici e i fan tendono tutti a ignorare l’ampiezza degli interessi e delle influenze della band.
Come ammette Buford in una recente telefonata, suonano lenti e suonano potenti, ma ultimamente il mondo musicale dei The Body ha subito una svolta ulteriore verso impulsi digitali. Su I Shall Die Here del 2014, hanno collaborato con the Haxan Cloak per squartare le loro estenuanti composizioni con un martello di sub-basse e uno scalpello free-noise, e recentemente sono passati a inserire casse giganti di 808 tra le percussioni alla codeina di Buford e i barriti di chitarra quasi-sintetici di King. La loro tavolozza è ben più ricca di quella di tutti gli altri bestioni con il bong perennemente in mano che fanno musica doomeggiante che si avvicina alla loro—il loro approccio compositivo è un promemoria che, invece di dipingere solo con il nero e il grigio, mescolare ogni colore a tua disposizione ti darà lo stesso effetto di squallore e morte.
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Appena la settimana scorsa Buford e King hanno pubblicato No One Deserves Happiness per Thrill Jockey, e il 25 marzo faranno uscire un LP in collaborazione con il gruppo powerviolence di Baltimora Full of Hell su Neurot. I due dischi gemelli mettono in evidenza il loro materiale più avventuroso e onnicomprensivo di sempre, che condensa cori da zombie, urla di strumenti elettronici sotto tortura e drum machine sfonda-monitor in melmose composizioni da mal di mare.
Al telefono, durante una pausa del tour a Los Angeles, Buford si è preso un momento per ricordare cinque dischi elettronici—da Pretty Hate Machine dei Nine Inch Nails a 3 Feet High and Rising dei De La Soul—che hanno influenzato l’approccio poliglotta dei The Body alla musica. Come dice Buford, crescere ascoltando questi album fondamentali gli ha insegnato una lezione importante: “È possibile buttare un milione di cose diverse dentro una canzone. Il difficile è farle funzionare.”
1. Nine Inch Nails, Pretty Hate Machine
Il primo CD che ho comprato è stato Pretty Hate Machine quando è uscito. Avevo uno stereo portatile e quello e un Greatest Hits della Steve Miller Band in un vecchio longbox. Avevo quindici anni. Quello fu il mio primo contatto con la musica pesante. Sono cresciuto in Arkansas per cui era difficile trovare le cose. Avevo visto il video [di “Down In It”] su 120 Minutes. Non avevo mai sentito nulla di simile. Avevo quindici anni. Le hit di Pretty Hate Machine erano delle bombe. Ai tempi ho pensato “questa è roba da matti, è troppo cupa, anche se non la capivo del tutto. Cerco sempre di scoprire ogni dettaglio di una cosa che mi piace e così mi sono addentrato in questo lungo sentiero di altra roba, arrivando a Ministry e Skinny Puppy.
2. Ministry, Psalm 69
Ero a scuola guida, a quindici anni, e c’era un altro ragazzo che aveva scritto Ministry e Hüsker Dü e altra roba sulle scarpe. Per cui ho pensato, oh, questo è un figo. Per cui siamo diventati amici e ho formato la mia prima band con lui. Quando vieni su in un posto come quello e cerchi musica diversa ti aggrappi a qualunque cosa. Psalm 69 fu un disco importante per me. È davvero pesante. Un assalto costante.
Li ho visti al secondo Lollapalooza e fu pazzesco, uno degli show più folli che abbia mai visto. Hanno questo aspetto da freak totali ed è tuttora il concerto col volume più alto che mi sia mai capitato di vedere nella mia vita. Quando hanno iniziato ero nei pressi dei bagni, dall’altra parte del posto, ed era anche all’aperto, e comunque ho detto: “Oh mio dio, che cazzo di volume! Che cazzo!” Poi li ho visti l’anno scorso ed è stato il peggior concerto che abbia mai visto.
3. De La Soul, 3 Feet High and Rising
Da ragazzino ascoltavo un po’ di metal ma non molto. Ascoltavo un sacco di punk, ma gran parte della mia infanzia l’ho passata ascoltando hip-hop, ne ero ossessionato. Era l’epoca di Yo MTV Raps! e io ci stavo attaccato tutti i giorni, per cui è da quello che viene il mio amore per le macchine. Anche quando suono la batteria più che altro cerco di suonare i beat hip-hop. C’è stato un periodo in cui l’hip-hop ha fatto un po’ schifo, tipo nei primi anni Duemila, ma ora è di nuovo esaltante. È diventato molto cupo, tipo Travis Scott, Future. Molto deprimente. È bello sentire questi tizi ricchissimi dire “eh, la vita fa schifo lo stesso”. Anche musicalmente si stanno spingendo oltre, cosa che il resto della musica non tende molto a fare. La scena metal è la peggiore da quel punto di vista, voglio dire, dai ragazzi, non potete continuare a fare sempre ‘sta roba.
3 Feet High and Rising è uno dei miei dischi di emergenza. L’ho sentito quando ero molto giovane. Mi sono detto Gesù, questa roba è pazzesca, solo i sample sono infiniti. È incredibile quanti cazzo di sample ci facevano stare. Questa amalgama di centinaia di tipi di musica in una cosa sola è senza dubbio quello che fa per me. È molto musicale e molto pop. 3 Feet High and Rising dall’inizio alla fine è concettualmente conciso, tutto scorre molto bene. Mi ha ispirato tantissimo. Crescere ascoltando questo tipo di cosa si può dire che mi abbia dato il permesso di fare quello che mi pareva. È possibile buttare un milione di cose diverse dentro una canzone. Il difficile è farle funzionare.
4. Work/Death, Phone About To Ring
Abbiamo conosciuto Scott [Reber, la mente dietro Work/Death] quando vivevamo a Providence. È inconcepibile quanto poco Scott sia conosciuto. Avere un tale accesso alle proprie emozioni e riuscire a controllarle durante un set di trenta minuti… non so come faccia. È una cosa fuori di testa. Su ogni uscita sa esattamente dove colpire. È davvero impressionante. È anche frustrante per me, che la gente lo definisca noise. Ma è un vero compositore.
Il nostro approccio è più a tentativi, non abbiamo il talento musicale di Scott. Facciamo dischi in uno stile più hip-hop. Scott decide: “Farò questa cosa ed ecco come procederò”. Noi invece facciamo più: “Boh, abbiamo un’idea, vediamo cosa riusciamo a tirarne fuori”. Sperimentiamo, nulla più.
5. Yoshi Wada, Earth Horns With Electronic Drone
Quando l’ho sentito per la prima volta, sarà stato cinque anni fa, la prima cosa che ho pensato subito è che c’è un sacco di gente che dice di amare il drone, tipo i Sunn O))) e tutta quella roba, ma questo tizio lo faceva decenni prima. L’abbiamo visto dal vivo due settimane fa ed è stato sconvolgente. C’era uno che suonava due grancasse, suo figlio suonava un armonium e [Wada] aveva tutte queste campanelle da scuola e sveglie sparpagliate per la sua galleria. Poi ha cominciato a suonare la cornamusa accompagnato da due ragazzine adolescenti vestite in abiti tradizionali scozzesi. È stata un’esperienza intensa.
[È frustrante] vedere qualcuno fare una cosa che viene ripetuta così tante volte nella musica senza mai darle credito. E per di più in maniera molto meno significativa. Voglio dire, dai cazzo, studia un po’. I Sunn O))) sono solo due tizi che suonano la chitarra ad alto volume. Questo è quello che mi comunicano. Nient’altro. E poi indossano queste tonache eccetera. Non capisco se lo fanno per prendere per il culo o cos’altro. Che facciano quello che vogliono, ma la gente che li ascolta pensa che siano il massimo. E invece c’è questo tizio che è molto meglio [e ha iniziato quarant’anni fa].
Veniamo etichettati come questa band sludge brutale e pesante, ma non credo che lo siamo affatto. La gente si attacca all’intensità, ma non al motivo dietro l’intensità. Tutti i testi vengono da una situazione di solitudine e tristezza eccetera. La gente pensa che sia una cosa macho, ma non è assolutamente quello a cui puntiamo. Penso che veniamo associati a un sacco di roba metal con cui non abbiamo nulla in comune, a parte il fatto che suoniamo a volume alto e a volte andiamo lenti. La gente dice in continuazione “questa roba è pesantissima”, ma dipende da che cosa intendi per pesante. Ci siamo sempre visti più che altro come un gruppo noise.
Questa intervista è stata tagliata e rivista per motivi di chiarezza.