Ne Il gabinetto del Dottor Caligari il presunto omonimo dottore sfrutta il sonnambulismo dell’internato in manicomio Cesare per i propri fini omicidi; a spingerlo non è un’intenzione criminale ma un desiderio di conoscenza che sfocia in follia. Per quanto scientificamente forse inesatto, il film centra due parti fondamentali del rapporto della cultura occidentale con il sonno. Che ci spaventa perché non solo siamo privi di controllo su quello che succede intorno a noi, ma siamo anzitutto privi di controllo su di noi; e d’altra parte proprio per questo ci affascina.
Se a differenza del Cesare del Caligari i disturbi del sonno non hanno sulla maggior parte di noi conseguenze così drammatiche, e finiamo per abituarci a rimanere con lo stordimento e gli sbalzi di umore che seguono una nuova notte insonne, ci sono anche casi in cui l’intervento medico si fa necessario. Per esempio il sonnambulismo che spinge a buttarsi dalla finestra, la narcolessia, l’insonnia alla The Machinist.
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Da circa un secolo, i colleghi ed epigoni del dottor Caligari cercano di spiegare e curare i cosiddetti disturbi del sonno e di scindere quello che interessa la scienza medica da quello che interessa romanzieri e paurosi. La medicina del sonno è una scienza dunque giovane, che unisce neuroscienza, psichiatria, epilettologia e medicina interna. Solo in Italia nel corso degli ultimi anni sono nate decine di centri, ciascuno con la propria impronta e la propria specializzazione, tra cui uno dei più recenti è il Centro Regionale per l’Epilessia – Medicina dell’Ospedale San Paolo di Milano. Ed è proprio dalla dottoressa Elena Zambrelli, tra i dirigenti medici del centro, che mi sono diretta per farmi piazzare qualche elettrodo in testa e parlare dei problemi notturni più diffusi—e dei miei.
Appena arrivata, pongo la domanda che mi ronza in testa da quando ho scoperto questa scienza: se quello che sappiamo del cervello è di per sé così poco, cosa possiamo affermare di conoscere del cervello che dorme? “Non abbastanza, direi, anche ci stiamo muovendo nella direzione giusta e la collaborazione sta dando grandi risultati.” Per prendere in considerazione solo Milano, il San Raffaele si concentra, tra le altre cose, sullo studio dell’insonnia approfondendone gli aspetti psicologici; l’Auxologico studia la relazione del sonno con il metabolismo e il sistema cardiaco; il Niguarda è l’unico centro italiano a utilizzare elettrodi intracerebrali. “È l’epilessia che ci ha involontariamente permesso di approfondire il sonno come fenomeno: non si possono posizionare elettrodi intracerebrali sulla semplice indicazione di una patologia a decorso positivo come la malattia del sonno,” mi spiega la dottoressa, “ma in contesti particolari come un’epilessia farmacoresistente, si può fare.”
In ogni caso, il cervello non dorme mai, funziona solo in modo diverso. “Passiamo dalla veglia al sonno in un modo molto dinamico—il cervello lentamente sintonizza le sue frequenze su un altro modo di funzionamento.” Alcune aree si disattivano perché non servono—per esempio i circuiti legati alle afferenze visive o prima ancora l’ippocampo, che regola la memoria e “addormentandosi” in anticipo ci rendedimentichi, al risveglio, delle ultime pagine che abbiamo letto la sera. Semplificando, “la corteccia si spegne ed entrano in funzione meccanismi più antichi e profondi, sottocorticali.” Perciò, al netto dei possibili disturbi, mentre dormiamo il nostro cervello va comunque avanti senza di noi: in effetti il sonno è tradizionalmente considerato il regno dell’assenza di coscienza. Ma anche il concetto di coscienza notturna è più complesso di quanto sembri.
Lo so perché mi capita di notte di svegliarmi e non riuscire a muovermi: la sensazione è quella di stare in una busta per il sottovuoto da cui sia stata aspirata tutta l’aria. “Le paralisi del sonno sono un fenomeno di dissociazione, di confusione nel nostro cervello tra sonno REM e veglia.” La paralisi fisiologica del sonno REM talora interessa anche la respirazione, dandoci l’illusione di soffocare. Poiché la fase REM è anche la fase in cui sogniamo più “coscientemente”, un’altra caratteristica delle paralisi del sonno è l’allucinazione: la proiezione nel mondo della veglia dei nostri sogni.
In effetti il sonno è tradizionalmente considerato il regno dell’assenza di coscienza ma—come dimostra il fatto che quando vorrei essere incosciente nel mondo dei sogni sono invece cosciente della mia impossibilità di anche solo aprire gli occhi—la realtà è più complessa di quanto sembri. I gradi di coscienza durante il sonno sono fisiologicamente variabili: quando ci svegliamo dal sonno non REM siamo confusi e disorientati, per esempio, mentre quando ci svegliamo dal sonno REM siamo vigili e ricordiamo i sogni. Ma “anche quando siamo svegli la nostra vigilanza non è sempre uguale, dopo pranzo o nelle situazioni noiose tende a calare e probabilmente se avessimo l’elettroencefalogramma in testa vedremmo che stiamo veramente dormendo, o almeno il nostro cervello sta dormendo.” Con le patologie del sonno, quella che potremmo chiamare coscienza intrinseca del nostro cervello fa confusione tra le aree cerebrali che dovrebbe mantenere “addormentate” e quelle che dovrebbero essere “sveglie”. È quando c’è una “intrusione di una fase di veglia o di sonno in un contesto inappropriato” che si verifica il fenomeno della dissociazione, alla base dei disturbi più affascinanti e più spaventosi del sonno: le parasonnie.
Quando gli interruttori on-off delle varie regioni cerebrali vanno in tilt durante il sonno REM, come nel caso della paralisi del sonno, serbiamo memoria del sogno e dei nostri atti al risveglio. Ma pare che un’esperienza alla Arte del sonno di Gondry ci aspetti tutti al varco, sotto forma del disturbo comportamentale in sonno REM. “Nel sonno REM dovremmo essere paralizzati, ma per una dissociazione scatenata da sogni con contenuto emotivo forte smettiamo di esserlo e cominciamo a correre dietro ai sogni stessi—che non è una promessa fantastica, semplicemente cominciamo a muoverci.” Il contenuto del sogno è spesso una colluttazione per difendere i più indifesi tra i cari del dormiente, solo che la colluttazione da onirica si fa reale e coinvolge il compagno di letto: “Spesso arrivano in ambulatorio perché la moglie si trova con le mani del marito strette al collo.” Tra le parasonnie del sonno non REM, e che quindi non verranno ricordate al risveglio, c’è invece il sonnambulismo. Anche in questo caso si verifica una dissociazione: un failure dell’addormentamento del sistema corticale, che rimanendo attivo collega la visione onirica con il conseguente atto fisico.
Purtroppo per la drammaticità di questo articolo comunque non tutti i disturbi del sonno sono scenografici: la maggior parte si limitano a essere una grande scocciatura. Tant’è che il sintomo numero uno dei disturbi del sonno è la banale, eccessiva sonnolenza diurna. “Più la patologia comporta una frammentazione del sonno, più ci sono conseguenze diurne importanti,” mi dice la dottoressa Zambrelli, “che compromettono funzioni cognitive, memoria, concentrazione, umore, capacità di avere un lavoro e mantenerlo.”
Oltre alle parasonnie ci sono infatti altre sei categorie di disturbi “primari” del sonno, tra cui i disturbi respiratori (“una cosa molto più ‘meccanica’ rispetto alle parasonnie che dipende un po’ dal decubito, un po’ dalla differente modulazione del respiro e un po’ dall’ipotonia che accompagna alcune fasi del sonno”), i disturbi del ritmo circadiano (da quelli momentanei dovuti al jet lag a quelli endogeni: “si parla di allodole e di gufi, le prima si alzano presto e vanno a letto presto, i secondi viceversa”) e le ipersonnie. Tra queste ultime e particolarmente debilitanti, la più nota è la narcolessia. “Ci possono essere attacchi cataplettici—cedimenti muscolari— allucinazioni all’addormentamento e al risveglio, paralisi da sonno, oltre che forte sonnolenza durante la giornata.”
Tutte queste patologie sono come dei mattoncini componibili: Giuseppe Plazzi, ipnologo dell’Università di Bologna, è riuscito a filmare un episodio cataplettico all’interno di un disturbo comportamentale del sonno REM: durante una fase REM disturbata l’individuo sogna qualcosa di particolarmente forte a livello emotivo e cade in uno stato di atonia muscolare. “Valga anche come risposta alla tua prima domanda,” mi dice la dottoressa Zambrelli, “quello che sappiamo è quasi niente, ma ci stiamo provando.”
La dottoressa e la tecnica mi accompagnano a questo punto nella stanza di monitoraggio per la polisonnografia. Qui i pazienti passano la notte con gli elettrodi in testa per l’elettroencefalogramma e su varie parti del corpo per studiare la reazione muscolare—tra cui un paramento che misura la tensione dell’apparato muscolare antigravitario e altri elettrodi per i movimenti oculari rapidi. “Gli elettrodi registrano differenze di potenziale e creano una traccia sullo schermo da cui riusciamo a dedurre una ‘stadiazione di sonno’.” Mentre sento il freddo della gelatina per gli elettrodi tra i capelli, capisco perché diagnosticare una malattia del sonno sia così complesso: la malattia non è lì da vedere, una macchia sulla pelle o un osso rotto. È un fenomeno che deve verificarsi, una crisi da aspettare. E per quanto il materasso della stanza di monitoraggio sia davvero comodo e i tecnici dietro la tenda discreti e simpatici, non è facile dormire con una telecamera a infrarossi puntata addosso e degli elettrodi attaccati ovunque, in una stanza di pochi metri quadrati. Per questo ai pazienti viene chiesto di registrarsi anche a casa.
Inoltre, spesso è un disturbo che magari il paziente nemmeno sa di avere e il cui sintomo più evidente è la stanchezza diurna. Quando, dopo essere passato per la trafila di rimedi naturali e rimedi della vicina di casa, arriva al centro, i medici cercano anzitutto di capire se il disturbo del sonno è primario o è la conseguenza di un altro disturbo. “Mi è capitato di trattare pazienti con un ipertiroidismo che erano stati curati con farmaci per l’insonnia—ma il problema da risolvere non è l’insonnia, che rientra correggendo il problema ormonale.”
Comunque, al netto della mia esperienza di quasi paziente di oggi, viste le liste d’attesa di quasi un anno e l’imbarazzo che mi provoca stare davanti alle telecamere la maggiore prova del mio disturbo rimarrà che so raccontarlo. Ma se un disturbo viene accertato, cosa si fa? “A volte niente: se da sonnambulo una volta ogni tre mesi mi alzo e faccio il giro del letto, non è un problema. Se invece succede tutte le notti, infilo la finestra e mi butto di sotto, il trattamento diventa indispensabile. Ma è più per la conseguenza che per il disturbo in sé.” Tra i trattamenti ci sono le dieci regole dell’igiene del sonno, “consigli ragionevoli” nonché la prima terapia offerta nel caso di insonnie e parasonnie; c’è poi una rassegna di vari marchingegni, come il ventilatore a pressione positiva continua per le apnee del sonno; la terapia comportamentale; la melatonina per il ritmo circadiano. A dimostrare quanto ancora resta da scoprire nell’ambito della cura del sonno, le terapie farmacologiche non sono specifiche, ma ‘prese in prestito’: per esempio gli antidepressivi per le insonnie, anche se a dosaggi molto bassi.
Il fatto che vengano usati farmaci psichiatrici è indicativo di un problema che la medicina del sonno deve affrontare: discernere tra il problema piscologico-psichiatrico e quello del sonno. Per esempio, tra un’insonnia come disturbo primario e un’ansia rimuginatoria che causa insonna con problemi nell’addormentamento. Pensandoci, io stessa non saprei dire se non dormo perché sono in ansia o non riuscire ad addormentarmi mi fa andare in ansia. Un altro esempio è lo Sleep Related Eating Disorder, classificato come parasonnia nell’ultima classificazione internazionale dei disturbi del sonno. “Alcuni soggetti arrivano a mangiare pizze ancora congelate durante la notte, totalmente inconsapevoli,” mi spiega la dottoressa. “La diagnosi è molto difficile: conta che spesso le prove sono solo un aumento di peso incongruo o carte di merendine sparse per casa.” Tuttavia questo disturbo del sonno ha un disturbo ‘di controparte psichiatrica’ assolutamente slegato da esso: abbuffate notturne, ma consapevoli. Insomma, psicologia e medicina del sonno sono legate “in infiniti modi.”
Come infinite sono le cose che ancora la scienza non sa. Ma mentre la dottoressa mi dice che sì, dobbiamo ammettere l’esistenza dei sogni lucidi anche se non sappiamo spiegarli del tutto, penso che a volte è meglio così.
Tutte le foto di Alessandro Iovino. Segui Elena su Twitter: @ev_entually