Che non sia il momento migliore per cercare lavoro è purtroppo noto a tutti. Con interi comparti in difficoltà o completamente fermi a causa della pandemia di COVID-19, l’offerta di lavoro è diminuita drasticamente, mentre il numero dei disoccupati è aumentato significativamente. Dato che la fascia giovanile è la più colpita dal crollo del tasso d’occupazione, esiste qualche suggerimento per chi è impegnato nella ricerca di un lavoro? Me lo sono fatto spiegare da due esperti nella selezione del personale.
Guido Penta è recruiter nel mondo IT e formatore nel campo della ricerca lavoro. Secondo lui le attuali difficoltà dei giovani nell’affacciarsi al mondo occupazionale si sommano ad altre, croniche. Ci sono ovviamente i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano, ma a suo parere un tema non abbastanza dibattuto è il livello dei servizi di placement universitari e di master. Se molti tra questi ultimi non offrono colloqui di lavoro o stage nelle aziende partner a fronte di migliaia di euro investiti, le università sembrano più che altro incapaci di stare al passo coi tempi.
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A dimostrazione, Penta cita i tanti neolaureati convinti che basti l’Europass. Un formato, puntualizza il recruiter, “necessario solo se espressamente richiesto nella job description, cosa ormai sempre meno frequente—eppure ti viene insegnato a usarlo di default. Ed è così che ricorri a uno strumento anonimo, datato e controproducente, visto che nel 99 percento dei casi un CV ha lo scopo esattamente opposto, farti emergere dal mucchio.”
Ricerca di lavoro e pandemia: da dove iniziare
Ma chi si trova fermo durante la pandemia, da dove dovrebbe iniziare? Secondo Delia Simone, team leader in una delle più grandi società di ricerca e selezione del personale in Italia, in questa fase va avanti chi non ha sottovalutato formazione, aggiornamento e specializzazione: “uno dei pochi aspetti positivi della pandemia è che abbiamo più tempo, sul web possiamo trovare migliaia di video e contenuti, ci sono piattaforme di e-learning e master, puoi migliorare l’inglese o imparare a usare SAP, UI design o un altro software.” Per Simone è importante anche osservare molto: “Leggetevi le job description su Linkedin e provate a capire quali sono le conoscenze maggiormente richieste dal mercato. Insomma aggiornatevi, le competenze acquisite dieci anni fa sono obsolete.”
Penta è un po’ più cauto: “Sei un avvocato, al momento sei fermo e decidi di specializzarti in contenziosi aziendali? Ottimo. Ma se poi scegli di cambiare tutto buttandoti sul marketing, sono competenze molto diverse, metti poi che hai 35 anni, chi ti prende a lavorare senza esperienza?” Il recruiter consiglia semmai di approfittare di un altro mutamento nel mondo lavorativo ai tempi del coronavirus: “Chi conosce le lingue può cercare aziende estere che consentano di lavorare dall’Italia.” Molte compagnie si sono rese conto che il dipendente in ufficio non è più fondamentale, a seconda del settore, e “si può lavorare da ovunque, secondo me è una strada decisamente da esplorare.”
Dove cercare lavoro online
Negli ultimi trent’anni vari progetti nazionali che aspiravano a far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro sono miseramente falliti. Ma secondo Penta, non è che quelli generalisti siano più utili: “prendiamo Indeed, Monster, ma il discorso è valido anche per la sezione Lavora con noi di un sito aziendale. Gli annunci vengono spesso sparati in maniera automatizzata e i CV scremati dagli ATS, dei software appositi. Al fine di restringere la rosa dei candidati si usano filtri anagrafici, geografici o di altro tipo che potrebbero penalizzare.”
“Per via di questa logica perversa che privilegia il risparmio di tempo e l’ottimizzazione dei risultati, un curriculum verrà frequentemente cestinato da una macchina in meno di un secondo, senza essere mai stato aperto da un essere umano.” Penta aggiunge che questi portali sono pensati soprattutto per monetizzare e hanno tutto l’interesse a tenere le offerte di lavoro postate a lungo, anche se per quel ruolo non si cerca più del personale.
Forse alla luce di questa informazione non stupisce che, secondo l’Istat, una buona parte dei giovani trovi lavoro attraverso relazioni personali, amici e familiari—proprio per questo, anche se spargere la voce potrebbe non venire spontaneo a molti, farlo potrebbe essere più produttivo che inviare CV a raffica.
Come usare Linkedin per lavoro
Delia Simone invita ad avere un approccio proattivo anche nel mondo virtuale, magari con un portfolio online, un blog interessante, o un profilo Linkedin. Usato dai più per cercare offerte di lavoro, Linkedin è secondo lei il luogo ideale per attirare l’attenzione delle aziende e dei recruiter. Questo social funziona diversamente da Facebook o Instagram, non si crea una bolla ma tutti vedono tutto, per questo i like o i commenti hanno una visibilità impossibile in altre piattaforme.
Sia Simone che Penta consigliano di essere intraprendenti, aggiungere senza problemi contatti e influencer del proprio settore, gli HR e i recruiter, o addirittura contattare i manager. In altre parole, sorpresa sorpresa, bisogna mettere in pratica uno dei consigli preferiti dei boomer: mandare la candidatura spontanea. Penta cita giovani che hanno scritto direttamente ai CEO per raccontare i risultati raggiunti o i problemi risolti nei precedenti posti di lavoro e questo spirito d’iniziativa è stato premiato con l’assunzione. “Ovvio che devi imparare a farlo, ma la candidatura spontanea è il futuro. Anche quando non va a buon fine, puoi ottenere un sacco d’informazioni utili da usare in seguito.”
Gli errori da non fare nel curriculum
Tra i suggerimenti universali e validi in ogni momento, indifferentemente dalla pandemia, Penta torna sul curriculum: “Ti candidi per un posto da grafico? Il ruolo di barista per cinque anni non va inserito. Ma se non hai esperienza lavorativa e vuoi farmi capire che ti sai dare da fare, spiegami bene che facevi lavori part-time per pagarti gli studi. Ogni voce nel CV dovrebbe avere un senso, non esistono i riempitivi.”
Altri consigli che sembrerebbero banali, ma che dalla sua esperienza non lo sono affatto, riguardano le foto (niente immagini prese dai social), gli indirizzi mail utilizzati (che dovrebbero essere una variante di nome.cognome), e, ancora una volta, il formato: “bruciate l’Europass e prendete un template figo da Canva.”
Per Delia Simone è fondamentale trovare una chiave per distinguersi ed emergere dall’anonimato. “Anche se non hai esperienze significative, concentrati sui piccoli risultati raggiunti all’università o fuori, le sfide che hai affrontato, cose utili a far capire perché saresti la persona più adatta per quel ruolo.” A suo parere paga di più mandare poche candidature ragionate e molto curate che spammare tutti con lo stesso curriculum.
Se poi si è invitati a un colloquio, suggerisce di preparare un racconto di sé che sia fatto per la posizione, “i recruiter vogliono sentirvi pronunciare le parole chiave, i requisiti e i valori che stanno cercando per quel ruolo. Potete anche essere i candidati ideali per quel lavoro, ma prima dovete essere i candidati giusti per il colloquio e sta a voi dimostrarlo.”
Alla fine della nostra chiacchierata, confesso a Penta che l’espressione personal branding, che aleggia come un fantasma nei suggerimenti raccolti finora, mi mette un po’ a disagio. Il recruiter mi fa notare che il personal branding lo facciamo anche quando mandiamo un curriculum, “se vuoi che ti assuma mi devi convincere che sei la persona giusta per quella posizione. Non è la stessa cosa?” Secondo lui bisogna cambiare la propria mentalità e accettare che i tempi sono mutati: “è un momento storicamente unico, c’è una pandemia, poco lavoro e tanti che lo cercano. Può non piacere, ma va avanti chi saprà ‘vendere’ meglio le proprie competenze e adattarsi”.
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