“Quando alzano le dita e le schioccano per richiamare la mia attenzione; quando pretendono un giro di amari offerto; quando vogliono rimanere seduti molto oltre l’orario di chiusura.“
La vita del cameriere può essere dura, soprattutto se lo stai facendo per avere due soldi in tasca e non per una vocazione particolare. Ho fatto il cameriere per un po’ di anni, dai 17 in su, nei contesti più disparati. E quando fai questo lavoro, anche solo per una settimana, cominci a capire il cliente che ti sta di fronte.
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Circa un mese fa, lo scrittore Enrico Galiano ha postato sul suo Facebook uno status in cui sostanzialmente divideva il mondo in buoni e cattivi sulla base di chi passa o meno il piatto al cameriere. Secondo la sua passata esperienza da cameriere, chi facilita il compito del cameriere passandogli i piatti sporchi è una persona più umile rispetto a chi non lo fa: inutile dire che sotto al post i commenti della gente felice di dire fiera che passa i piatti al ristorante erano centinaia. Ora, non stiamo a sindacare se questo gesto possa o meno essere qualcosa che rende una persona migliore di un’altra, perché francamente dividere il mondo il mondo in due categorie non è mai una buona idea.
Quello che invece potrebbe essere molto più interessante sapere è cosa faccia davvero incazzare chi sta in sala e cosa, invece, li riempie di gioia. Le scene peggiori a cui si possa assistere, secondo la mia personale esperienza, sono quelle nei catering, dove lasci appositi tavoli per appoggiare le cose e due ore dopo ti ritrovi a sparecchiare anche i bagni.
Detto questo, ho contattato alcune delle persone che lavorano in sala tra le trattorie contemporanee più famose d’Italia, i ristoranti gourmet e quelli stellati.
Penso che tutti siano d’accordo su una cosa: il cliente che si interessa davvero a quello che sta per mangiare facendo domande è la cosa migliore che gli possa capitare. Di motivi, invece, per farli incazzare, ce ne sono diversi. E il piatto passato è l’ultimo dei problemi.
A volte è più scomodo se loro ti porgono il bicchiere, e allora gli fai capire gentilmente che verso meglio se lo lasci sul tavolo.
“La cosa che più mi fa arrabbiare è l’insistenza da parte del cliente. Soprattutto quando cerca di mettere in discussione quello che dico, con tutta la gentilezza del mondo”, mi racconta Giuseppe Lo Iudice di Retrobottega a Roma.
Retrobottega è un ottima bussola per capire quanta pazienza si può avere in sala per diversi motivi: il fatto che è in centro a Roma, il fatto che i suoi tavoli sono entrambi sociali e che non è la solita trattoria macina coperti per turisti, ma un ristorante che propone una cucina tutta sua.
“Devo dire che non abbiamo particolari clienti che si comportano in modo maleducato, stranieri o italiani che siano. Magari quelli che viaggiano di più sanno meglio come comportarsi, ma non è un problema se mi passano un piatto o mi allungano il bicchiere per facilitare la versata”, continua Giuseppe. “Certo, a volte è più scomodo se loro te lo porgono e gli fai capire gentilmente che verso meglio se lo lasci sul tavolo.”
Capita invece che a essere il più insopportabile non è il cliente seduto al tavolo, ma quello che riesce a esserlo già dalla prenotazione. “Noi abbiamo una saletta privata da sei. Ecco, questa è la cosa che mi fa incazzare di più, forse. Chiamano, prenotano per sei e arrivano in otto: ‘eh, due stanno in piedi dai,’ ti dicono. Lì ti senti preso in giro perché non siamo dal buiaccaro a cui non frega niente di aggiungere due sedie.”
Ci fa molto piacere quando si accorgono che ingombrano troppo lo spazio e si sistemano per agevolarci il passaggio, e ci piace quando i clienti hanno finito, pagato e magari aspettano fuori per congratularsi o salutarci. Sono cose che ci riempiono di gioia.
Trippa a Milano lo conoscono tutti ormai. Ha rivitalizzato la ristorazione milanese con il suo ambiente alla mano e i suoi piatti iconici, come il Midollo alla Brace. Pietro Caroli, che gestisce la sala, ha una storia interessante, quindi ho pensato che potesse vedere i comportamenti dei clienti, nel bene e nel male, amplificati.
“Sono un ex bocconiano laureato in economia, prima manager in una multinazionale del petrolio, ora proprietario, manager e cameriere di una trattoria”, mi dice Pietro. Quindi non sapeva bene a cosa andava incontro quando ha iniziato a lavorare in sala. “In quattro anni di Trippa ho visto in sala migliaia di clienti, di tutti i tipi. Mi relaziono ad ognuno di loro con calma e serena predisposizione, che incontra un limite davanti a tre atteggiamenti: quando alzano le dita e le schioccano per richiamare la mia attenzione o quella dei ragazzi; quando – e forse è il più odiato dai ristoratori – pretendono un giro di amari offerto; quando vogliono rimanere seduti molto oltre l’orario di chiusura. Senza accorgersi che la serranda è abbassata, accanto a loro ci sono sedie sui tavoli e noi abbiamo tutti la giacca addosso. Il fatto per cui in tutti gli esercizi commerciali ci sia un orario di chiusura rispettato e in questo mondo no è uno dei misteri più misteriosi della ristorazione, non riuscirò mai a capirlo.”
E come ci sono questi aspetti sgradevoli, dall’altra parte esistono anche quelli molto piacevoli. Che per Pietro si riassumono in “La scelta dei clienti di dichiarare i propri gusti affidandosi poi a noi su tutto. Questa è la cosa più bella, perché crei un’alchimia delicata e sensibile di empatia e professionalità. Poi ci fa molto piacere quando si accorgono che ingombrano troppo lo spazio e si sistemano per agevolarci il passaggio (in un locale piccolo è un grande gesto) e ci piace quando i clienti hanno finito, pagato e magari aspettano fuori per congratularsi o salutarci. Sono cose che ci riempiono di gioia.”
“La cosa più maleducata e arrogante che mi capita in assoluto è quando mi lasciano il piatto accanto, sul bordo del tavolo. Io lo vedo come un ‘ehi, schiavo, guarda che ho finito, porta via!’
Le trattorie sono il motore pulsante della ristorazione italiana, siano esse antiche e rustiche o moderne e più curate. Come giustamente mi faceva notare il mio amico cameriere, se a lavoro dopo centinaia di persone servite lo aiutano a sparecchiare è solo un guadagno. Però c’è chi si può sentire offeso, come se il suo lavoro fosse poco importante da dover essere pietosamente aiutato. Devo ammettere che nell’ultimo periodo in cui l’ho fatto mi dava parecchio fastidio, anche perché i clienti ti passano la roba, ma non sanno come impilarla, quindi va a finire che prendi i piatti e il coltello vola dritto per dritto sulle scarpe del cliente. Che poi se la prende con te. E tu ti chini e chiedi scusa e nuoti in un mare di piccoli avanzi, polvere e scarpe per recuperarlo. La tipologia di ristorante in cui si è a cena cambia di parecchio il comportamento del cliente.
Ecco perché ho sentito Matteo Zappile, maitre e sommelier de Il Pagliaccio a Roma, unico due stelle della Capitale. Cosa può essere sgradevole da parte di un cliente in un ristorante dove il conto è così importante e l’esperienza pure? Pretende di più o si affida di più? “La cosa più maleducata e arrogante che mi capita in assoluto è quando mi lasciano il piatto accanto, sul bordo del tavolo. Io lo vedo come un ‘ehi, schiavo, guarda che ho finito, porta via’”, mi racconta Matteo. Come se loro non fossero in grado di prendere il piatto di fronte a te senza disturbarti. “Poi ci sono quei clienti che pretendono di avere la ragione per cose assurde: come quando mi hanno chiesto un Brunello vinificato in bianco o un Barolo spumante aggiungendo che dovrei vergognarmi di come faccio male il mio lavoro perché gli ho detto che non è una cosa che esiste. Gentilmente gli rispondi magari con una battuta, magari dicendogli che se lo trovi in cantina glielo porti volentieri.” Matteo, oltre a essere maitre e sommelier, è parte attiva di Noidisala, associazione che unisce i professionisti di sala e cantina. Quindi era interessante capire come, nel loro progetto di formazione, spiegano ai ragazzi il modo migliore di trattare i clienti.
“Quando fai un corso del genere non fai il cameriere per fare due soldi, lo fai perché ti appassiona. Quindi devi essere impeccabile”, continua Matteo. “Una volta ti insegnavano il metodo classico, cioè rigore, precisione e distacco. Oggi è cambiato tutto in meglio: quello che si insegna di più è il buon senso, far stare bene i clienti come se fossero a casa loro. Il cameriere oggi deve saper leggere i tavoli: i tavoli che non vogliono essere disturbati, quelli che vogliono esserlo poco e quelli che ti chiedono dettagli dei piatti. Il livello successivo è non fartelo chiedere e dirglielo tu la seconda volta, questo è leggere il tavolo. Che sia nell’alta o bassa ristorazione. Noi abbiamo 11 tavoli, io li vedo come 11 storie a se stanti.” La differenza tra italiani e stranieri, al contrario di Retrobottega, qui invece è più sentita. “Gli italiani spesso vengono con la loro idea classica di ristorante italiano, mentre gli stranieri hanno più cura e ci scelgono per la nostra cucina dopo essersela studiata. Questa cosa si riflette anche nei complimenti: spesso un italiano ti fa i complimenti a caso, mentre un americano e un francese, per cui la sala è importantissima, ti fanno i complimenti giusti ed è la vera gioia.”
La cosa che mi fa più arrabbiare che trovo maleducatissima è quando i clienti si servono l’olio da soli e ne versano un litro nel piatto. Una volta si sapevano i costi di quest’oro preziosissimo, si faceva una croce d’olio, come una benedizione. Ora lo versano a valanga e poi sai che fanno? LO LASCIANO TUTTO NEL PIATTO
Nel panorama delle neo trattorie italiane ce n’è una abbastanza fuori dagli schemi, che guarda al territorio dove sta in senso così stretto che Francesco e Vincenzo Montaruli, sembrano due alieni della gastronomia. Mezzapagnotta. A Ruvo di Puglia, nelle Murge, in una zona che parla la lingua delle orecchiette e della carne di cavallo, i due fratelli cucinano e servono piatti quasi esclusivamente vegetali di verdure e erbe trovate lì intorno giorno per giorno.
Ah, non fanno nemmeno pasta per staccarsi completamente dagli stereotipi. E mi sembrava una figata chiedere a Francesco Montaruli, che sta in sala, come si comportano i loro clienti in un ristorante così atipico per la Puglia.”La nostra è una cucina strana, anche per la Puglia, è una cucina che segue in pieno il territorio. E i piatti che abbiamo in carta sono cinque, a seconda di quello che abbiamo trovato durante la giornata. Quindi la cosa che mi fa più incazzare è quando viene un cliente senza informarsi con i sui schemi in testa e ci dice ‘ok, ma antipasti, primi e secondi quali sono?’”, mi dice Francesco al telefono.
“Schematizzare la cucina mediterranea per me è un’offesa alla storia della cucina mediterranea. Io dico sempre ai nostri clienti di non avere pregiudizi, di lasciare fare al tuo palato, di ascoltare profumi e sapori.” Otre al cliente che non capisce c’è quello, ancora peggio, che non rispetta cosa ha nel piatto. “In Puglia assaggiare l’olio con un pezzo di pane è religione. L’olio qui lo fa nostro padre. La cosa che mi fa più arrabbiare che trovo maleducatissima è quando i clienti si servono l’olio da soli e ne versano un litro nel piatto. Una volta si sapevano i costi di quest’oro preziosissimo, si faceva una croce d’olio, come una benedizione. Ora lo versano a valanga e poi sai che fanno? LO LASCIANO TUTTO NEL PIATTO. Mio padre quando lo vede dice sempre ‘Torna lì e digli che si sono sbagliati, l’olio va raccolto col pane non lasciato nel piatto’.”
Le cose che non posso sopportare è lo schiocco di dita, sembri uno sguattero. E sì, in effetti potremmo prendercela anche se un cliente si prende da solo il piatto per un semplice motivo: nella cultura giapponese niente è lasciato al caso, nemmeno il verso in cui va servito il piatto
E se invece non parlassimo di trattorie, ristoranti, insomma roba italiana, ma di sushi? Dove ci sono delle regole di servizio ben precise e il cameriere potrebbe offendersi sul serio se gli strappate il piatto dalle mani per porgerlo alla vostra metà? Kunihiro Giuliano, italo giapponese, dirige la sala di Sushisen. “Essendo magari qualcosa di lontano dalle cose tradizionali, è bello quando i clienti ti chiedono informazioni sui piatti e sugli ingredienti particolari. Le cose che non posso sopportare è lo schiocco di dita, sembri uno sguattero. E sì, in effetti potremmo prendercela anche se un cliente si prende da solo il piatto per un semplice motivo: nella cultura giapponese niente è lasciato al caso, nemmeno il verso in cui va servito il piatto. Si mette in un certo modo perché concepiamo il piatto come un giardino zen, dove tutto ha un senso.”
Come i camerieri devono saper leggere chi è seduto al tavolo, credo che anche il cliente debba saper leggere il cameriere. Che può essere stanco, stressato, felice o avere i suoi problemi per la testa. Porgergli un piatto non fa di voi delle belle persone a cui si spalancheranno le porte del Paradiso, così come non vi punzecchieranno le chiappe dei diavoli se vi fate cambiare le posate a ogni portata.
Il cameriere fa il suo lavoro, voi fate il vostro: che è semplicemente comportarvi da persone normali e civili. Non c’è in palio nulla, ma magari una maledizione quando quel ragazzo o quella ragazza tornano a casa ve la risparmiate.
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