Com’è continuare a vivere dopo che il tuo ragazzo muore all’improvviso

Avevo 18 anni e lui 19 quando ci siamo incontrati a una festa. Mi ha fatto i complimenti per i capelli e io non riuscivo a smettere di guardare i suoi occhi: in un incidente si era rotto la pupilla e trovavo quel dettaglio meraviglioso. Più tardi ho imparato a conoscerlo meglio. Guidava come un pazzo, sapeva tutto dei Beatles e fumava sempre. Nathan è stato il primo ragazzo a spezzarmi il cuore e a rimetterne insieme i pezzi. Era una persona così. E io non ne ero degna, l’ho capito subito. Mi piacevano le attenzioni, mi piaceva tenermi diverse possibilità aperte, sapere che me ne sarei potuta andare quando avessi voluto e che avrei trovato qualcun altro. Ero una regina, il mondo era ai miei piedi e nessuno mi avrebbe avuta per sé. Questo non voleva dire che non potessi entrare in intimità con qualcuno—al contrario, mi piacevano le serenate, soprattuto mi piaceva riceverle da quante più persone possibile.

Il 1 dicembre 2012 mi ha chiamato un’amica. Tra le lacrime, mi ha detto che Nathan era morto. Il suo cadavere era stato ritrovato per strada a Istanbul e ad oggi non è ancora chiaro come sia andata. Dalle telecamere di sicurezza di un albergo si vede Nathan che si arrampica su un muro alto 20 metri tra la cisterna e il sistema di ventilazione della struttura. Quello che è successo dopo non si sa.

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È difficile descrivere cosa mi è successo dopo, quando mi sono resa conto che Nathan non c’era più. Mi è venuta la nausea e mi sono sentita affogare Respirare è diventato difficile, come se avessi i polmoni pieni di lacrime. Ho sentito un forte dolore fisico, ma allo stesso tempo ero come anestetizzata. Facevo pensieri strani. Pensavo di uccidermi, che forse valeva la pena sacrificare tutti gli altri per rivedere lui.

Ma non funziona così, la morte è ingiusta e casuale e non c’è modo di tornare indietro. Superato lo shock iniziale ho cominciato a contemplare tutti i possibili scenari in cui Nathan non era morto: sto sognando, è uno scherzo macabro, il corpo che hanno ritrovato non è il suo ma quello di un altro ragazzo con la pupilla rotta e l’hanno scambiato per lui. Tutto purché si trattasse di qualcun altro.

Inoltre, nelle prime ore dopo aver ricevuto la notizia, sono stata invasa dai rimorsi per le cose che gli avevo detto e dai rimpianti per quelle che non gli avevo detto.

Due settimane dopo la sua morte, il corpo di Nathan è stato riportato in Belgio. Abbiamo avuto solo pochi giorni per vederlo prima che fosse necessario seppellirlo. Insieme alla sua famiglia, sono andata all’obitorio. È stata la prima volta che ho visto un cadavere e sul momento ho sentito il bisogno di urlare. Prima hanno fatto entrare i familiari, uno a uno. Li sentivo bisbigliare e singhiozzare. Poi è stato il mio turno.

Nathan era sdraiato su un tavolo. Il suo corpo era molto più grande di quanto mi ricordassi. Mi faceva paura. Ho deciso di prendergli la mano e di baciarla per l’ultima volta, ma la pelle era fredda e dura. È stato orribile eppure dopo mi sono sentita sollevata, come se l’attesa fosse finalmente finita. Non era uno scherzo né un sogno: era morto davvero.

Solo allora ho realizzato veramente che non c’era più, che tra la morte e la vita non c’è una fase intermedia e che Nathan stesso non era più consapevole del suo destino. Allora ho provato un altro tipo di tristezza, non per lui ma per le persone che si era lasciato dietro: sua madre, suo padre, suo fratello e i suoi amici, e tutti quelli che avevano avuto la sfortuna di non conoscerlo e che non avrebbero mai più potuto farlo. Era un sentimento terribile ma insieme liberatorio.

Quella visita all’obitorio ha avuto un forte impatto sulla mia vita. Per la prima volta, la morte è diventata qualcosa di vero, qualcosa di tangibile e non solo qualcosa di cui senti parlare al telegiornale. Guardare il corpo senza vita di qualcuno di cui hai toccato ogni centimetro di pelle, qualcuno che hai baciato e amato, ti fa capire davvero cos’è la morte. Dal momento in cui il cuore di una persona smette di battere, quella persona non è più una persona.

L’epidermide si rinnova completamente ogni 70 giorni. Quando l’ho letto, Nathan era morto da 21 giorni. Ho pensato: altri 49 giorni e la mia pelle non avrà mai toccato la sua.

Dato che amare ci costringe a confrontarci con le nostre debolezze, è difficile amare profondamente qualcuno—almeno, per me era così. Per un sacco di tempo ho avuto una relazione problematica con l’amore: ero combattuta tra l’ansia causata dai legami e la volontà di stringerne. Adesso mi trovo a fare i conti con un tipo diverso di paura. A volte immagino di ricevere una telefonata in cui mi si dice che il mio ragazzo è morto. Potrebbe succedere ovunque, in qualsiasi momento: se guida troppo veloce potrebbe fare un incidente in auto, qualcosa potrebbe cadergli addosso senza che se ne accorga, potrebbe ammalarsi. Il suo cuore può smettere di battere in qualsiasi momento. A volte passo ore a guardarlo perché non voglio perdermi un dettaglio del suo corpo e cerco di memorizzarli tutti. A volte gli chiedo di non morire mai. È assurdo chiedere a qualcuno di essere sempre consapevole della sua mortalità, ma è più forte di me.

La consapevolezza del fatto che presto o tardi sia io che il mio ragazzo potremmo non esserci più mi ha spinta a espormi maggiormente, o almeno a provarci. Voglio ancora andare dove voglio e fare quello che mi pare. Ma la vita è troppo breve e le persone sono troppo fragili, e ho capito quanto è importante stare con qualcuno che si ama. Cerco di non farmi paralizzare dall’ansia e di godermi ogni minuto per quello che è. Non sento più il desiderio di scappare. Voglio stare con il mio ragazzo, vivere insieme, viaggiare insieme e non avere nulla da rimpiangere.

Sono passati quasi 2000 giorni dalla morte di Nathan e da allora la mia pelle si è rinnovata un sacco di volte. Questa nuova pelle non ha mai toccato la pelle di Nathan, ma qualcosa di lui starà con me per sempre.

Questo articolo è tratto da Broadly.