Come raccontato a Vincenzo Ligresti da anonima.
La scorsa settimana ho compiuto 25 anni e come succede a tutti i compleanni e i capodanni mi sono trovata ad affrontare quel momento in cui, al brindisi, i miei amici ripetono la stessa divertente gag, “Quest’anno è l’anno buono [per scopare].” A quel punto, come succede sempre, mi sono limitata ad abbozzare un sorriso e ho iniziato a bere. Ma questa volta più delle altre ho dovuto pensarci: ho 25 anni e sono vergine.
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Non so come sono arrivata di preciso fino a questo punto. Mentre i miei amici hanno sperimentato—quasi tutti prima della maggiore età—il sesso come un passaggio naturale, durante l’adolescenza io ho sempre rimandato in attesa di “quello giusto”. Un fatto che, da allora, ha avuto l’effetto di troncare più di una mia frequentazione: la verità è che ad oggi mi rendo conto che le mie pretese erano forse troppo utopistiche, e questo rimandare mi ha creato un nucleo di insicurezze miste che più passa il tempo più sono difficili da superare.
A 25 anni, infatti, i consigli sul lasciarsi andare non valgono, perché quell’azione che fino a un po’ di tempo fa avrei affrontato forse senza eccessiva coscienza si è trasformata in qualcosa che non riesco a fare in quanto, appunto, eccessivamente cosciente.
Probabilmente il primo pensiero che si farebbe chiunque è che io sia così brutta che nessuno vorrebbe venire a letto con me. In realtà il mio aspetto non è mai stato un limite, e non ho nemmeno vissuto in isolamento fino all’altro ieri: dopo aver fatto le superiori a Palermo mi sono trasferita a Roma per studiare grafica e sono finita a lavorare in un’agenzia, dove tra l’altro le campagne pubblicitarie con riferimenti sessuali abbondano. Dietro la mia scelta—anche se forse a questo punto sarebbe più corretto chiamarla situazione—non ci sono nemmeno motivi religiosi, del tipo “aspettare fino al matrimonio.” Per me non c’è nulla di propriamente sacro. Se non, appunto, il corpo e la sua condivisione.
Il motivo determinante per cui ho iniziato ad aspettare, e aspettare, all’inizio, è stata probabilmente la mia inclinazione a pretendere il massimo da ogni cosa, anche dai legami umani. Il problema è che di riflesso il mio bisogno di sintonia mentale si riverbera anche a livello fisico. D’altronde, all’infuori di quelli dettati dalle convenzioni sociali, i miei contatti tattili sono tutti calibrati a seconda non solo della confidenza, ma anche dalla fiducia che ripongo in una persona.
In generale, credo di aver iniziato a pensare alla possibilità di fare sesso per la prima volta a 14 anni. Durante un pigiama party, un’amica tirò fuori 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire e iniziammo a leggerlo. Comprendere che il sesso potesse escludere l’amore mi destabilizzò completamente, e metabolizzata la scoperta—con approvazione unanime—comunica l’intenzione di aspettare quello giusto. Nonostante sia diventata più scaltra rispetto alla semplicità di quell’enunciato, la situazione è rimasta la stessa: sto ancora aspettando.
Non che in ragione di ciò la mia vita sentimentale sia iniziata in modo diverso da quella degli altri: in terza superiore, io e Alberto*, il mio primo ragazzo, iniziammo quella classica relazione che si può avere all’età di 16 anni. Ero piuttosto serena e pensavo al sesso come a un evento lontano: lo avremmo fatto dopo molto tempo, perché ero piccola e non mi sentivo ancora pronta. I buoni propositi però sono poi rimasti tali, e come succede spesso a quell’età, dopo appena sei mesi ci lasciammo per motivi che nemmeno ricordo.
A questo frangente nei due anni successivi è seguita una serie di episodi che mi hanno tenuto lontana dall’idea di fare sesso. Episodi attribuibili a una mia cattiva interpretazione, come con Francesco*, di cui sono stata innamorata finché, a dichiarazione avvenuta, non si è scusato e mi ha detto di essere gay. Oppure episodi più seri che mi hanno messo davanti unicamente i problemi che il sesso poteva causare. Come quando al quinto anno una della mie amiche rimase incinta, o quando beccai mio padre con l’amante. Se nel primo caso credo che l’essere talmente focalizzata sui miei bisogni avesse fatto da schermo rispetto alle preferenze sessuali di Francesco, dopo le altre due esperienze non era nemmeno più questione di “aspettare quello giusto.”
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Nel frattempo era passato del tempo, e all’idealizzazione si univano freni fin troppo concreti: la verità è che il sesso è una di quelle cose in cui più sei pronto a lanciarti e non avere paranoie più esse risultano facili—va affrontato con naturalezza. Ed è proprio la naturalezza con cui l’hanno affrontato i miei amici a 16 anni che fa la differenza rispetto al bagaglio di insicurezze e all’ansia che vivo io ogni volta che devo mettermi in gioco—o ogni volta che penso di farlo—e so di essere in qualche modo in difetto rispetto alle aspettative degli altri. Soprattutto, quando oggi esco con una persona e arriva il momento in cui devo dire di essere vergine.
Se prendiamo in considerazione un grafico dove sull’asse delle ascisse troviamo il tempo e sulle ordinate le reazioni dei ragazzi, con gli anni il disappunto cresce in maniera esponenziale. Quando a 16 anni spiegavo di non aver mai nemmeno pensato a farlo, il ragazzo in questione chiosava velocemente con un Aspetteremo il momento giusto; ma oggi il fastidio alla mia rivelazione di voler attendere che il rapporto diventi più serio prima di concedermi si manifesta estemporaneamente in una gamma che va da Dai, non ci credo a Scusa, ma volevo solo trombare.
Più di una volta i miei amici hanno cercato di dissuadermi dal confidare subito—come lo chiamano loro—il mio “ritardo”. Ho scoperto però a mie spese che procrastinare è completamente inutile. Per esempio, un ragazzo con cui sono riuscita a uscire ben tre volte prima di parlarne è sparito nel nulla dopo avermi detto di “apprezzare questo mio valore aggiunto.” Credo l’abbia così apprezzato da non voler più visualizzare i miei messaggi per il rischio di sciuparlo.
Ma le reazioni degli altri, alla lunga, diventano prevedibili. E se da una parte me la vivo tuttora come un peso, dall’altra ho imparato a conviverci. So che arriverà il momento. Per come la vedo io, la facilità con cui oggi si può fare sesso è semplicemente l’altra faccia della medaglia di quanto sia frustrante non riuscire a trovare la persona con cui vorresti condividere tutto. Ma non giudico chi lo fa con facilità e chi lo fa altrimenti. E non mi tiro indietro quando si affronta l’argomento. Così, negli anni ho sviluppato una certa conoscenza teorica e una mia visione della faccenda: alla fine il sesso è concludere quello che viene prima.
Dalla teoria alla pratica c’è differenza, e nel secondo caso io mi fermo. Intanto, siccome un sacco di gente parla di cose che non conosce fino in fondo, posso continuare a farlo anch’io.
*Tutti i nomi sono stati cambiati per tutelare l’identità delle persone coinvolte. Testimonianza raccolta da Vincenzo Ligresti.
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