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In Italia tassare le mance è impossibile. Ma iniziamo a darle

come funzionano le mance

Per quanto i giudici supremi della Cassazione siano un faro, la loro decisione in una sentenza crea un precedente, ma non è legge.”

Qualche giorno fa è approdata sulle maggiori testate italiane una sentenza della Cassazione che ha subito promesso di scatenare panico generalizzato nel settore dell’ospitalità. Il capo ricevimento di un hotel di lusso in Costa Smeralda è stato dichiarato colpevole di non aver pagato le tasse su un ammontare enorme di mance, 83.650 euro, ricevute nel 2007.

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L’Agenzia delle Entrate lo ha ritenuto un “reddito da lavoro dipendente non dichiarato.” Dal canto suo l’uomo si è difeso dicendo che l’Agenzia delle Entrate non aveva alcun diritto di farlo, perché nessuna legge prevede espressamente la tassazione delle mance. I giudici della commissione tributaria in Sardegna gli avevano dato ragione ma in questi giorni la Cassazione — a cui l’Agenzia delle Entrate ha fatto ricorso — ha ribaltato la situazione argomentando che “in tema di reddito da lavoro dipendente le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mancerientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito”.

Se da una parte il lavoratore in questione si avvaleva di una circolare dell’Agenzia delle Entrate nella quale si dice che si possono accettare donazioni di modico valore, dall’altra la Cassazione ha impugnato l’Articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi che dice come “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.”
In poche parole il lavoratore in questione deve pagare le tasse su quelle mance.

Questa sentenza ha scatenato subito ondate di titoloni e polemiche. “In arrivo la tassa sulle mance?”; “Anche le mance vanno tassate.”; e c’è chi si è allargato: “Tasse sulle mance, la caccia complicata agli evasori: come funzioneranno i controlli.” Non c’è dubbio che in Italia ci sia un problema con le mance. Duplice: troppo spesso non vengono lasciate — soprattutto dai clienti italiani — e ancora più spesso l’unico mezzo sono i contanti. Se in buona parte del mondo, in particolar modo nei paesi anglosassoni, la mancia è di fatto un sostentamento del lavoratore, da noi è più un premio, un “ninnolo” per ringraziare dell’ospitalità o arrotondare il conto finale.

È scorretto dire che le mance saranno d’ora in poi tassate

“C’è il dipendente che allunga la mano nel barattolo, il gestore che non accetta la mancia con carta, e la maggior parte dei POS non ha un tasto a parte per la mancia”

Tornando invece alla sentenza e ai possibili scenari, “è bene chiarire una cosa: per quanto i giudici supremi della Cassazione siano un faro per situazioni simili in futuro, la loro decisione in una sentenza crea un precedente, ma non è legge”, mi dice l’avvocato dei diritti del lavoro Sergio Palombarini. Insomma, a livello di informazione è scorretto dire che le mance saranno d’ora in poi tassate e che la Guardia di Finanza entrerà nei locali per chiedere di vedere il barattolo delle mance. A livello di dibattito, invece, è una buona occasione per riportare in auge i problemi di un sistema che in Italia fa fatica a funzionare.

Prima di tutto: perché oggi le mance, in Italia, sono ancora una faccenda irrisoria? Ad aiutarmi Matteo Tranchida, che sta per lanciare Tackpay, una piattaforma per ricevere mance in maniera sicura e digitale. “Diciamo che in Italia le mance sono quasi scomparse,” mi dice Matteo. “In un’epoca dove i clienti pagano sempre più con la carta, le mance in contanti sono spesso penalizzate.” Ma perché non accettiamo o doniamo mance con la carta come si fa ovunque nel mondo? “Il problema delle mance in Italia passa un po’ dall’approssimazione,” mi dice Matteo, che in passato ha lavorato anni nel settore Horeca.

“C’è il dipendente che allunga la mano nel barattolo, il gestore che non accetta la mancia con carta perché poi finirà nell’incasso finale [quindi da tassare, NdR] e poi la maggior parte dei POS non ha un tasto a parte per la mancia.” Matteo, insieme ad altri tre ragazzi, ha sviluppato una app che permetterà al cliente di lasciare la mancia con un QR Code all’intero team o al singolo lavoratore, a discrezione del cliente. “Di fatto è un barattolo delle mance virtuale. Quello che facciamo, però, è anche dare un resoconto mensile che — i datori di lavoro spesso non lo sanno — permette di non far figurare la cifra nella dichiarazione perché sono, appunto, donazioni non soggette a tassazione.” Almeno fino a qualche giorno fa, dopo questa sentenza si dovrà navigare a vista.

Le mance per i rider

“Il consiglio è quello di lasciare la mancia direttamente al rider quando vi porta il cibo.”

Tra le categorie tra le quali le mance potrebbero essere un vero strumento di sopravvivenza, ci sono sicuramente i rider. Ad oggi le varie piattaforme di delivery permettono di lasciare la mancia direttamente ordinando con l’app, ma non si sa bene quanto e come percepirà il rider alla fine. Angelo – per per motivi di privacy non riveleremo il suo cognome – è un rider e un attivista di Deliverance Milano, una Union di rider: “Il problema più grande nel nostro caso sono ancora i contratti e i diritti. In questo vuoto si inseriscono anche le mance, di cui non è mai stato chiaro quanto trattenessero le piattaforme e quante tasse ci si pagasse sopra.”

Come mi spiega Angelo, il problema sta nel fatto che spesso le mance sono tassate con leggi della provenienza delle aziende, quasi mai in Italia: “Il problema è che buona parte di noi è ancora a Partita Iva e non a contratto: quindi di fatto siamo i datori di lavoro di noi stessi. E non dovremmo pagarci le tasse sulle mance, dato che sono considerate donazioni.” Il consiglio di Angelo è quello di lasciare la mancia direttamente al rider quando vi porta il cibo.

Come funzionano le mance all’estero?

“In Australia i commercialisti ci facevano mettere una cifra minima di mance che avremmo fatto in un anno”

E questo porta all’ultimo punto: ma se le mance vengono elargite in contanti, come si fa a tracciarle? Come si possono tassare? Il cameriere che fa in media 50 euro a settimana dovrebbe avere l’accortezza di dichiararlo, ma può davvero succedere? Quindi mi sono chiesto cosa accade in quei paesi anglosassoni che tutti citano per il loro sistema di mance. Simone Marvulli, che è stato head bartender al Rosewood Hotel e tra poco sarà bar manager di una nuova apertura, mi dice “Qui a Londra ci sono due cose diverse: il service charge, come negli USA, e le mance. Il service charge è una percentuale ricavata dal conto totale che va dal 12.5 al 15% e un cliente può scegliere se lasciarla. Ed è a discrezione del datore di lavoro se dare ai dipendenti il 100% del service charge o solo una parte.”

Oltre a quello, invece, ci sono le mance. “Le mance possono essere di due tipi: il Tronc che in pratica è un forfettario che il datore dà oltre allo stipendio e le mance normali. Queste se sono cash si mettono in tasca a fine serata o divise settimanalmente o mensilmente. Se sono con la carta, invece, vengono calcolate, distribuite e finiscono in busta paga. Quindi sì, sono da tassare.”

A quanto pare il problema della tassazione sulla mancia contante rimane anche in Inghilterra. Diverso è invece il caso dell’Australia: “Quando lavoravo laggiù i commercialisti ci facevano mettere una cifra minima di mance che avremmo fatto in un anno, così da pagare un minimo le tasse anche sulle mance cash,” mi dice Mirko Simonazzi dell’Hotel Eden di Roma.

Quindi: è giusto tassare le mance in Italia? Chiedere una percentuale su qualche centinaia di euro al mese a lavoratori spesso sottopagati, che lavorano molte più ore al giorno del concordato, non sembra un modo di fare giustizia. C’è bisogno di regolamentare meglio il lavoro della ristorazione e dei mancati diritti dei rider? Quello sì, sarebbe più utile.

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