Un gruppo di ricercatori ha sfruttato uno stato della materia a cavallo tra fisica classica e quantistica, il condensato di Bose-Einstein, per simulare l’espansione dell’universo in un laboratorio, creando un parallelismo tra meccanica quantistica e cosmologia dai risvolti potenzialmente fantastici. La possibile soluzione è stata fornita dal gruppo di ricerca guidato dal fisico Stephen Eckel in collaborazione con l’Istituto per la Tecnologia e gli Standard degli Stati Uniti (NIST).
Questo condensato si ottiene quando dei bosoni (che insieme ai fermioni costituiscono le classi fondamentali in cui dividiamo le particelle in base alle proprietà dello spin) vengono raffreddati a temperature molto prossime allo zero assoluto, ovvero la temperatura più bassa che si può raggiungere stando alle leggi della fisica. Raffreddando così tanto un agglomerato di bosoni, questo tenderà (almeno in parte) a stabilirsi sul livello quantistico a più bassa energia: questo fa sì che si vengano a creare le condizioni per cui alcuni effetti prettamente quantistici si manifestino su scala macroscopica, creando uno stato della materia davvero interessante.
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Bose, un fisico indiano, mandò ad Einstein un articolo sui fotoni in cui ricavava la legge di Planck senza alcun riferimento alla meccanica classica. Einstein fu colpito e tradusse l’articolo dall’inglese al tedesco e lo sottopose, con il nome di Bose, a una prestigiosa rivista tedesca. Da allora, grazie allo sforzo comune delle due menti, si giunse al concetto di gas di Bose e alla statistica di Bose-Einstein.
Nell’articolo, pubblicato sulla rivista PHYSICAL REVIEW X, gli autori spiegano come “l’espansione cosmica assume un ruolo fondamentale nella nostra comprensione dell’universo”. In particolare, il loro risultato è stato quello di creare “un sistema in cui i campi si espandono in una maniera simile a quello che succede nell’universo: un condensato di Bose-Eistein a forma di anello che si espande”.
In particolare, l’idea dietro l’esperimento è stata quella di non studiare i fotoni, ovvero i quanti (pacchetti) di luce (ovvero onde elettromagnetiche) che tipicamente vengono studiati per monitorare l’espansione dell’universo, bensì i fononi, ovvero i quanti di onde sonore. Il condensato di Bose-Einstein serve proprio a creare la condizione di “vuoto cosmico” per i fononi che mimi le condizioni dei fotoni che viaggiano nell’universo.
Concentrandosi quindi sui fononi all’interno del condensato, questo è stato fatto espandere ed alcuni risultati molto interessanti sembrano validare il parallelo fonone/fotone proposto, come l’aver osservato il redshift per i fononi. In un universo che si espande, infatti, una sorgente luminosa che si allontana (come una stella) assume, rispetto a un osservatore (come la Terra), un colore che tende al rosso, spostato verso energie/frequenze minori.
Questo fenomeno è un esempio dell’effetto Doppler: quando siamo fermi nel mezzo della strada e la sirena dell’ambulanza viene verso di noi, il suono della sirena diventa sempre più fastidioso quando questa ti viene incontro, mentre sfuma dolcemente quando essa si allontana. Questo perché, quando la sorgente si avvicina all’osservatore, i fronti d’onda si avvicinano tra loro provocando un aumento di frequenza dell’onda, quando si allontanano invece accade il contrario.
Questo, assieme alla “frizione di Hubble” e ad altri effetti più complicati osservati per i fononi nel BEC (e che abbiamo già osservato per i fononi nello spazio) sembrerebbero validare la possibilità di studiare, in un futuro non troppo lontano, l’evoluzione dell’universo in un laboratorio.