Música

Come la casa degli American Football è diventata un luogo di culto per gli emo

Urbana, in Illinois, è un luogo decisamente strano: a un primo sguardo, magari quello di un forestiero, non è altro che una cittadina del Midwest come un’altra, circondata da eterni campi di grano. Ma chi vive lì conosce bene la ricchissima storia musicale che è parte dell’identità della città. 

Per chi ascolta classic rock, c’è la Illinois Street Residence Hall—il dormitorio dell’università dell’Illinois dove i REO Speedwagon fecero le prime prove. Per la gente del luogo, c’è Mabel’s—un locale oggi diventato “Bro’s”, un bar per studenti a due piani, che però un tempo organizzava concerti: ci suonarono i Pixies e i Soundgarden. Ma, negli ultimi vent’anni, una piccola casa decrepita a due passi dal campus dell’università, al numero 704 di W. High St, è diventata un improbabile monumento musicale. Quella casa bianca, apparsa sulla copertina dell’album di debutto degli American Football, uscita nel 1999, è sopravvissuta a decenni di feste, concerti punk e flash di macchine fotografiche diventando uno dei luoghi fisici legati all’emo più riconoscibili.

“Penso che la casa sia diventata quello che è oggi perché, per vent’anni, gli American Football non hanno mai avuto alcuna immagine ufficiale associata con la band,” racconta Chris Strong, il fotografo responsabile del famoso scatto. “E così tutti si affezionarono a quella casa, perché, in sostanza, non avevano altri elementi a cui appigliarsi.”

Foto di Sean Neumann

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Quando gli American Football si sciolsero per la prima volta, nel 2000—dopo una manciata di show ed un solo album full-length—nessuno vicino alla band avrebbe mai pensato che sarebbe rimasto qualcosa di quel progetto musicale da college, tantomeno la copertina di quell’album. Ma il disco, qualche anno più tardi, iniziò a guadagnarsi lo status di culto, e la casa, di conseguenza, di quel culto divenne il simbolo.

Lo stupore generato dal grado di leggenda raggiunto da quell’abitazione è pari solo allo stupore dei fan quando, un mesetto fa, si sono visti annunciare l’arrivo di un nuovo album della band—dopo 17 anni di silenzio—che porterà lo stesso nome e avrà quella stessa casa in copertina. Questa volta la prospettiva sarà dall’interno, non più dall’esterno come nello scatto famoso che guardava verso la finestra della camera da letto al primo piano. 

Matt Lunsford, che oltre a possedere la Polyvinyl Records era stato colui che aveva dato una mano a Strong e agli American Football per creare l’artwork del primo disco, sostiene che abbiano scelto di utilizzare di nuovo la stessa cosa per ricreare il progetto nella sua interezza. Senza la casa, alla band mancherebbe certamente qualcosa.

Foto di Sean Neumann

“Non volevamo che l’artwork fosse derivativo di quello del primo disco, nemmeno volevamo tornare alla casa e fare un’altra foto a caso,” mi racconta. “Ma allo stesso tempo bisognava rendersi conto che quello era l’unico oggetto con cui la band sia mai stata associata.”

Spesso, quando le band si riuniscono, molti sperano che le cose non siano cambiate di una virgola. Quindi chi è stato coinvolto nell’album di ritorno degli American Football avrà tirato un sospiro di sollievo nel sapere che quella casa è rimasta più o meno identica a com’era nel 1999.

Strong fece ritorno alla casa nel 2014, per girare il video di “Never Meant” quindici anni dopo l’uscita del pezzo, e fece un giro della casa insieme a Jessie Knoles, che in quel periodo ci viveva. Durante il giro, Knoles gli mostrò il garage in cui viveva, che “si allagava da matti” quando ci stava lei e che ancora lo faceva con il suo coinquilino Johnny Costello, che in quel periodo viveva lì.

“La casa era una vera merda—una buona merda forse, ma pur sempre una merda,” mi racconta Knoles. “Credo che il tetto stesse per lasciarci. E poi era disposta in modo piuttosto strano. L’ingresso alla cucina era così piccolo e la porta della dispensa si apriva su quel piccolo corridoio, così, quando quella porta era aperta, dalla sala non riuscivi ad andare in cucina.”

Strong la mette giù meno romanzata: “Non è una casa ben costruita. Per niente.”

Il padrone di casa, recentemente, ha ristrutturato la sua proprietà, che al momento è in affitto, se siete persone che mettono il cuore davanti alla qualità di vita fateci un pensierino. L’unica differenza è che il capanno a fianco alla casa sarà tirato giù, o almeno questo è ciò che sostiene il padrone di casa Joseph Donley. 

Nonostante tutto, quelli che hanno vissuto in quella casa sanno che quei muri sono in grado di invecchiare bene.

“Credo di essere invecchiato molto più di quanto abbia fatto quella casa, in vent’anni,” mi dice ridendo Strong. Una battuta che aveva fatto anche a Lunsford, lo scorso maggio, in una pausa durante lo shooting per il nuovo album. La coppia se ne stava seduta lì, pensando agli anni passati, a quei 17 lunghi anni—pensando alla casa, al primo album della band, a come le cose siano cambiate da allora. Ai tempi, Strong era un ragazzino che andava al college e Lunsford stava tentando di capire come gestire una label.

Ripensando a quei giorni, anche Lunsford si trova d’accordo. “Quella casa è una patacca, com’è sempre stata, ma noi siamo invecchiati molto peggio di lei,” mi dice, la sua voce tradisce una nota di nostalgia. Polyvinyl ha appena compiuto vent’anni, quindi mi immagino che sia un periodo pieno di emozioni.

Per quelli come Knoles, che viveva lì quando l’album iniziava a diventare un oggetto di culto, oltre che un campione di vendite per casa Polyvinyl, la pittura bianca sui muri, le assi di legno e le finestre del piano superiore iniziavano a rappresentare un’immagine familiare. Knoles, che era fan della band da quando era una ragazzina, aveva firmato il contratto senza nemmeno sapere che si trattasse di “quella” casa. Quando lo scoprì, fu talmente entusiasta che non solo si trasferì più velocemente possibile, ma si diede la missione di esplorare le mura come un cimelio degli American Football, prima ancora di considerarle in qualche modo sue. 

“È strano che, per via di un oggetto del genere, gli anni delle mie scuole medie e del mio liceo continuino a ripresentarsi con forza anche adesso che sto al college,” mi racconta Knoles. “È come se gli American Football in un certo senso mi perseguitassero.”

Come succede con molte simbologie, si fa fatica a liberarsene, e così fu per Knoles—anche quando decise di traslocare da tutt’altra parte. Lo scorso febbraio decise di andare a vedere gli American Football in concerto al Neptune Theater nella sua nuova città, Seattle. Ed eccola lì, di nuovo: “La casa in cui ho vissuto durante gli anni del college era lo sfondo del loro concerto. Tutti i puntini si unirono, in quel momento.”

Foto di Chris Strong

Dall’altra parte del Paese, Michael Thies provò le stesse emozioni assistendo al live degli American Football alla Webster Hall di New York City, che faceva parte della stringa di reunion show messa in piedi dalla band. Thies era cresciuto nell’area di Champaign-Urbana e aveva iniziato a lavorare per Polyvinyl nel 2010, prima di trasferirsi a New York continuando a lavorare per la label da lì.

“Ho sempre sentito di conoscere bene quella casa, e l’avevo conosciuta guardando la foto e ascoltando il disco,” dice Thies, che in qualche modo ha dovuto lavorare con quell’album ogni giorno, dal 2010. “Penso che quella sensazione mi derivi dal luogo in cui sono cresciuto, dal fatto di frequentare gli ambienti e i concerti che si tenevano nella zona di Champaign-Urbana. In qualche modo si finiva sempre nel garage di una casa molto simile a quella, per questo l’ho sempre sentita molto vicina a me.”

Ma il suo legame con quelle mura è molto più profondo di una connessione lavorativa, non riguarda nemmeno soltanto il suo gusto musicale o i ricordi d’infanzia. È un legame le cui radici sono piantate molto più indietro, circa un secolo prima, per l’esattezza. 

Nei primi giorni di settembre, il fratello di Michael, Adam—che aveva lavorato come lui per Polyvinyl—stava facendo ricerche sull’albero genealogico della famiglia, scoprendo quasi per caso che il loro bis-bisnonnno Charles M. Webber negli ultimi anni aveva vissuto proprio lì, al 704 di W. High St. e ci era morto il 14 marzo del 1931—68 anni e mezzo prima che quella diventasse ufficialmente “La casa degli American Football”. 

“È una coincidenza assurda,” racconta Thies. “Sono legato a quelle mura per via della storia della mia famiglia, ma anche perché sono cresciuto in quest’area. L’immagine di quella casa rappresenta esattamente questi luoghi.”

Foto di Chris Strong

Per la maggior parte delle persone quella casa rappresenta la loro stessa casa, ovunque si trovi nel mondo, il luogo di appartenenza, il focolare domestico. 

Alcune cose però sono cambiate in quel luogo. Alla fine degli anni Novanta c’era un corridoio tra il garage e il pezzo di casa che ora non c’è più. C’era anche una bruttissima halfpipe nel cortile interno in cui gira voce che le Sleater Kinney abbiano suonato una volta. Band dell’Illinois come Smoking Popes, Oblivion e Apocalypse Hoboken suonarono realmente in quell’halfpipe, anche se la maggior parte dei concerti punk si tenevano dal porticato, quando Strong viveva lì. 

Forse, però, i segni più significativi attorno a quella casa sono quelli apparentemente più insignificanti: sul marciapiede di fronte sono marcati i punti in cui si pensa che Strong si fosse piazzato per ottenere quel famoso scatto. In quei punti si sono fermati molti dei turisti emo che hanno visitato la proprietà nel corso degli anni, ognuno dei quali ha fotografato la casa tentando di replicare la magia che l’allora ventenne, quasi inconsapevolmente, aveva creato una ventina di anni fa. 

Foto di Sean Neumann

Quelli sono i segni di una magia che continua a investire chi abita lì intorno da quando l’album degli American Football ha iniziato a diventare un simbolo.

James Onderdonk, che ha vissuto in quella casa dal 2012 al 2013, dice che a un certo punto ha dovuto iniziare a mentire alle persone che passavano di lì, indicando loro un’abitazione qualche centinaia di metri più avanti.

“Una volta ero seduto nel porticato e un tizio mi ha chiamato per chiedermi se il suo amico poteva farsi una foto davanti alla casa,” mi racconta. “Da qualche parte c’è una foto di un tizio che punta la casa sorridendo, mentre io me ne sto lì, sbuffando, a bermi una birra.”

Foto di Jessie Knoles

Ma non tutti sbuffano quando qualcuno passa davanti alla casa degli American Football, anzi. Solitamente i turisti sono accolti con un sorriso e un saluto amichevole, o al limite li si ignora. Chi vive lì dentro o non ha la minima idea di chi siano gli American Football, oppure probabilmente vi si è trasferito di proposito, sapendo a cosa andava incontro. E in un certo senso chi ha dormito tra quelle mura si porta dietro un senso di orgoglio, così come quelli che sono cresciuti in quell’area.

Ed è esattamente questo il motivo per cui quella casa è così significativa per tutti quelli che si sentono legati a ciò che rappresenta, qualunque sia il motivo della loro affezione.  

“Per me, l’artwork di quell’album rappresenta Urbana in senso lato, più che la casa in sé,” mi dice Strong. “È molto oscuro e malinconico, in un modo bello. Ci sono angoli bui, racconta più di Urbana di quello che avrei potuto fare se fossi stato più didascalico.” 

Nulla rappresenta quelle sensazioni, quel luogo, quell’epoca, meglio della casa al 704 di W. High St.—oggi conosciuta semlicemente come “La casa degli American Football.”

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