“Quando un gelato al pistacchio è di un verde troppo acceso, significa che sono stati addizionati dei coloranti come la clorofilla”
Con l’arrivo delle prime giornate calde mi torna subito la voglia di scrivere di una delle invenzioni più entusiasmanti di sempre: il gelato. Gli anni scorsi ho intrapreso un tour tra le gelaterie romane e ho provato una ricetta salvavita del gelato fatto in casa. Oggi sono pronta a condividere qualcosa di altrettanto vitale: pochi e semplici consigli per riconoscere il vero gelato artigianale.
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Per farlo sono andata nella sede principale della gelateria Torcè a Roma in via dell’Areonautica 105 (zona Eur) dove ad accogliermi ho trovato Juraj Detvaj, proprietario unico della catena.
Arrivo la mattina presto, quando i ragazzi al locale si stanno preparando all’apertura. Viene allestita la vetrina e io comincio a sbirciare quello che offre la casa: frutta, i grandi classici alle creme, una selezione di gusti particolari come il risotto alle fragole o l’habanero.
Torcè nasce nel 2003 da un’idea di Claudio Torcè. Due anni dopo Juraj comincia a lavorare per Claudio, spinto dalla passione verso la gelateria e la pasticceria. “Dopo la Laurea Specialistica in Giurisprudenza mi sono buttato a capofitto in gelateria,” mi racconta Juraj. “All’inizio ho gestito il locale di viale dell’Aeronautica, la casa madre, per poi entrare in società con Claudio e infine rilevare totalmente l’attività”.
Il segreto del loro successo, secondo lui, sta negli ingredienti: assenza totale di semilavorati, additivi chimici o grassi aggiunti; latte e panna freschi ad alta digeribilità; fruttosio, farina di semi di carruba e guar (addensanti di origine vegetale ricavati dalla stessa pianta). “Per esempio il gelato di cioccolato è fatto con latte, panna, fruttosio, cioccolato — che varia a seconda della tavoletta utilizzata — e i due addensanti naturali, carruba e guar. Non c’è altro,” mi spiega. “Questo è ciò che rende il nostro gelato così sincero, ma allo stesso tempo ricco di sapore e facilmente digeribile.”
È tempo di arrivare al punto centrale di questa mia visita da Torcè: come si riconosce un gelato artigianale? Juraj mi dice che basta fare attenzione a tre “semplici” dettagli.
I colori
“Basta pensare al colore originario dell’ingrediente principale e immaginare di abbassare di qualche tacca la sua intensità”
I colori sono oggettivamente prima cosa che notiamo entrando in gelateria. La nocciola è marroncina chiara, la vaniglia bianca, la crema gialla, eccetera. Ma la vera domanda è un’altra: quanto dovrebbe essere acceso il colore di ogni gusto? La risposta è: poco.
Un gelato artigianale ha un colore tenue —niente di fluo quindi. In fase di preparazione ogni ingrediente principale, miscelato al latte (o all’acqua nel caso dei sorbetti), viene depotenziato e diventa di un colore sbiadito. Per farmi un esempio pratico Juraj prende il gelato al pistacchio, che ha un colore verde militare chiaro, quasi tendente al beige. “Quando un gelato al pistacchio è tanto verde, o di un verde troppo acceso, significa solo che sono stati addizionati dei coloranti come la clorofilla,” mi dice. Va da sé che se vedete un gelato azzurro al gusto Puffo potete anche fare dietrofront.
Basta pensare al colore originario dell’ingrediente principale e immaginare di abbassare di qualche tacca la sua intensità; se il gelato che abbiamo davanti rispecchia quello che abbiamo in mente, siamo già a buon punto.
La struttura del gelato
In poche parole, se in una vetrina tutti i gusti hanno la stessa struttura, è molto probabile che quel gelato contenga al suo interno degli agenti che ne modificano la composizione interna
“Quando artigianale, il gelato ha una struttura compatta, piena, ma anche incostante. Mi spiego meglio: un gelato di crema, quindi fatto con le uova, non può avere la stessa struttura di un gelato di frutta senza latte. Diffidate dai gelati che hanno una struttura sempre uguale,” spiega Juraj. Ogni gusto è fatto da ingredienti differenti e quindi la resa finale sarà per forza diversa.
Un gusto alla frutta, essendo miscelato all’acqua, ha una consistenza più ‘ghiacciata’ e granulosa, meno morbida, di uno alla crema. Un gelato al tiramisù invece può avere una texture poco liscia per via dei pezzi di savoiardo, ma le uova e il mascarpone gli daranno anche una consistenza cremosa e compatta.
In poche parole, se in una vetrina tutti i gusti hanno la stessa struttura, è molto probabile che quel gelato contenga al suo interno degli agenti che ne modificano la composizione interna, rendendo i prodotti spumosi e morbidi in maniera uniforme. Ogni gusto dovrebbe quindi essere diverso non solo nel colore ma anche nella densità. Per avere un’idea basta smussare il gelato con un cucchiaino, cercando di capire se al passaggio di questo i vari gusti reagiscono diversamente oppure no.
Il volume
Quando il gelato è troppo arioso e spumoso, è molto probabile che abbia tra gli ingredienti degli additivi che ne gonfiano il volume.
Qui il discorso tende a nozioni di fisica facilmente assimilabili: un gelato artigianale, quindi senza addensanti e stabilizzanti industriali, non avrà mai elevate quantità d’aria al suo interno (in gergo: overrun). “Quando il gelato esposto esce dalle vaschette, sfidando le leggi della termodinamica, è molto probabile sia stato stabilizzato in maniera artificiosa,” specifica Juraj.
Se prima parlavamo delle differenze di consistenza tra un gusto e l’altro, ora ci spostiamo su un aspetto più generale: quando il gelato è troppo arioso e spumoso, è molto probabile che abbia tra gli ingredienti degli additivi che ne gonfiano il volume.
Nel processo di preparazione del gelato non è ovviamente prevista nessuna fermentazione o lievitazione: quando lo vediamo che strabocca dai pozzetti rimanendo immobile, è facile che sia stato trattato con qualche conservante. Il risultato finale è tanta aria e poca consistenza.
Bonus: il gusto
Ogni gelateria deve esporre e rendere visibile al cliente il cartello degli ingredienti di ogni singolo gusto
C’è infine un quarto punto che mi permetto di aggiungere a quelli di Juraj: il gusto. Nel corso degli anni ho capito di aver avuto per tanto tempo un’idea distorta di alcuni sapori. Ad esempio la nocciola o il pistacchio, due tra le mie creme preferite, sono spesso molto zuccherate e accentuate con degli esaltatori di sapidità (nello specifico glutammato monosodico).
Conoscendo sempre di più il mondo dell’artigianalità, ho riabituato il mio gusto personale a sapori “naturali”, non enfatizzati da elementi esterni. Mangiare un gelato artigianale dovrebbe riportarti alla mente il sapore dell’ingrediente di cui è fatto — e questa cosa non è affatto scontata.
Quindi qual è la prima cosa da fare quando si entra in una gelateria? “Ogni gelateria deve esporre e rendere visibile al cliente il cartello degli ingredienti di ogni singolo gusto,” mi risponde Juraj. “Se avete qualche dubbio non esitate a chiedere. Solo chi non ha nulla da nascondere sarà ben felice di mostrarvi la lista degli ingredienti. I vari conservanti e coloranti, aromi, ed emulsionanti servono a rendere il gelato più vistoso, a farlo conservare più a lungo e a ingannare i normali processi di ‘invecchiamento’ di un alimento.”
“Nei pozzetti, o in esposizione in vetrina, cambia poco e niente. È piuttosto una scelta di stile: a noi piace far vedere il gelato”
È importante puntualizzare che non bisogna assolutamente demonizzare i conservanti o gli additivi. Però, almeno per quanto mi riguarda, credo possa essere interessante riabituare l’occhio a un cibo dalle sembianza più naturali. Ho sempre trovato poco sensato aggiungere il colorante al gelato, così come a qualsiasi altro alimento: non abbiamo bisogno di rendere esteticamente diversi i cibi, ma semplicemente di conoscerne le caratteristiche originarie.
Esistono vetrine espositive che, grazie ad una tecnologia avanzata, ricreano la stessa condizione in cui si ritroverebbe lo stesso gelato dentro un pozzetto con il coperchio.
C’è però un’ultima domanda che devo fare a Juraj. Quando qualche tempo fa ho scritto di Otaleg! e di come poter fare un gelato artigianale a casa, ricordo bene di aver ricevuto commenti negativi sul fatto che lì, come da Torcè, il gelato fosse esposto in vetrina e non dentro i pozzetti chiusi con il coperchio. Juraj mi spiega che “nei pozzetti, o in esposizione in vetrina, cambia poco e niente. È piuttosto una scelta di stile: a noi piace far vedere il gelato, tutta la nostra varietà, senza nascondere nulla e dando la possibilità al cliente di mangiare anche con gli occhi.”
Esistono vetrine espositive che, grazie ad una tecnologia avanzata, ricreano la stessa condizione in cui si ritroverebbe lo stesso gelato dentro un pozzetto con il coperchio. Alcuni possono sostenere che ogni tanto sia necessario smussare la parte superiore per evitare che si ossidi, ma per il resto la vetrina ha una funzionalità ugualmente valida.
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