“Per testare se un suo coltello è buono o meno, usa dei metodi poco ortodossi ma decisamente efficaci, tipo cercare di tagliare una vite, corna di cervo o una bottiglia, come se tagliasse la testa di chi ha appena fatto harakiri”
Il treno che da Roma porta a Cassino è il più piccolo che abbia mai visto. Tre vagoni da prendere in un binario a metà tra uno e un altro che se poco poco ci vai di mattina presto, come ho fatto, ti senti una cifra Harry Potter. Questa levataccia post hangover la faccio per andare a trovare un coltellinaio professionista. Un tizio che prende un pezzo di acciaio, lo fonde, lo forgia, lo tempra e ti dà un coltello della madonna fatto da zero. Insomma, un artigiano vero.
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Parlare di coltelli è affare delicato: ogni chef ha il suo preferito, è lo strumento del cuore, quello con cui fai tutto tranne cuocere. E ogni chef ha la sua filosofia. C’è chi lo vuole economico, ma pratico che anche se si rompe non importa perché serviva a lavorare e chi, invece, ha un feticcio vero e proprio e se lo cura come un figlio. Sperando che non cosparga anche il proprio figlio di olio di vaselina.
“Ho scoperto che fare un coltello è facile. È farlo fatto bene il casino.”
Mario Mattia (sì, Mattia è il cognome) viene da Cassino, in provincia di Frosinone, al confine tra Lazio e Campania. “Un posto in culo, insomma. Famoso per la Linea Gustav nella Seconda Guerra Mondiale, per la Fiat e ora per l’Alfa Romeo,” come dice lui. Dopo il liceo artistico studia fotografia e quindi architettura, a Roma. “Per pagarmi gli studi è successo che, dopo aver avuto uno studio fotografico, mi sono avvicinato al mondo della cucina. E come tutti ho iniziato come lavapiatti,” mi dice Mario. Da lavapiatti comincia a entrare in cucina, appassionato sempre di più, e inizia a fare il cuoco. A livelli sempre più alti. “Un giorno mi sono chiesto come funzionasse uno strumento che lavora per 14 ore al giorno, come fa un coltello. E mi sono detto: ‘farne uno migliore non sarà così difficile’” E in effetti lo fa senza problemi, cresciuto con un nonno che si dilettava a costruire oggetti, che gli insegnato che se vivi in campagna girare con un coltello è un obbligo. “Ho scoperto che fare un coltello è facile. È farlo fatto bene il casino.”
Di base credo che l’acciaio Inox faccia schifo. Certo, è comodo perché non si arrugginisce mai, ma a livello tecnico l’Inox o è una lega scadente, o viene fatto con delle polveri di acciaio che costano tantissimo e non ne vale la pena.
Per capire come sia fatto un coltello fatto bene, sono andato nel piccolo capanno di casa sua, dove ha un laboratorio con pochi strumenti rudimentali e una fornace. E ci sono andato in primis per vedere e toccare il lavoro di uno che ha cambiato vita per abbracciare una passione e l’artigianalità. In secondo luogo perché io non ci capisco niente di coltelli e ho pensato che fosse arrivato il momento di conoscerli e distinguerli. Ora lo dico tutto serio, ma dovete pensarmi un po’ euforico a battere pezzi d’acciaio rovente, un po’ brillo perché dalle parti di Cassino c’è un bar dove si beve forte, con in mano coltelli affilatissimi e pezzi di carta da poter ridurre a coriandoli. Ah, sono anche fan della prima ora di Chef Tony.
Quindi, mentre battiamo un pezzo di damasco turco, Mario mi racconta un po’ sui coltelli, quali sono e come funzionano. “Di base credo che l’acciaio Inox faccia schifo. Certo, è comodo perché non si arrugginisce mai (anche se non mi piace l’idea che qualcosa sia sempre pulitissimo in cucina, perché magari hai tagliato un alimento poco prima che rischia di contaminare il secondo e non te ne accorgi), ma a livello tecnico l’Inox o è una lega scadente, o viene fatto con delle polveri di acciaio che costano tantissimo e non ne vale la pena.” In poche parole lo usi qualche mese e poi lo butti perché è molto meno resistente, oppure, paghi un coltello resistentissimo uguale a quelli scadenti una barca di soldi. Che poi, in un’ottica anti-consumistica come dovremmo adottare tutti oggi, non è proprio il massimo.
“La prima cosa è mettersi in testa che ogni coltello ha un suo utilizzo. Non puoi fare tutto con un coltello classico da chef o poco più,” mi dice. “Poi, per scegliere un coltello fatto da un artigiano, devi sapere di cosa hai bisogno: tagli pesce? Tagli pezzi di legno? Ossa? Verdure? E in base a quello che ti serve, il coltellinaio ti fa un coltello su misura. Questo è soprattutto il concetto di un coltello tailor made, artigianale.” Ovviamente un coltello di questo tipo costa più di uno industriale, ma può permetterti di fare il tuo lavoro al massimo delle possibilità. Il che non è male, se lo usi dieci ore al giorno.
Il coltello principe è, ovviamente, il Sabatier, quello che Anthony Bourdain in Kitchen Confidential chiama “Il coltello da chef”
Visto che ne so poco e niente di coltelli e a casa uso il set completo e triste dell’Ikea, era giusto sapere quali siano le tipologie da tenere a mente. A quanto pare ogni cosa ha un suo coltello e ho scoperto pure che se te li devi portare in giro perché sei che ne so, uno chef a domicilio, devi pure avere un foglio che attesti come non hai voglia di infilzare qualcuno in metro, ma li usi per lavorare. Il coltello principe è, ovviamente, il Sabatier, quello che Anthony Bourdain in Kitchen Confidential chiama “Il coltello da chef”. È abbastanza grosso e lo puoi usare un po’ per tutto, giocando con il culo della lama per rassettare e con la punta per fare dei lavori più di fino. Insomma è quel coltello che hai sempre a portata di mano.
Ma non ci fai proprio tutto tutto: essendo piuttosto grosso non è anche precisissimo. Poi ci sono i due spelucchini. Uno a lama dritta e uno curvo: con il primo ci pulisci la roba, tipo le verdure, visto che è più maneggevole e preciso; con il secondo ci tornisci le patate e tagli le carote a olivette. E poi c’è l’Utility, la lama da 15/19 centimetri che molti chef considerano il loro migliore amico perché è sottile, di lunghezza media e ci tagli abbastanza con precisione tutte le cose medio piccole.
Oltre a durare una vita, i coltelli in acciaio damasco sono bellissimi, con un sacco di pattern ondulanti pazzeschi. Nel damasco turco, per esempio, mettendo delle barre di acciaio insieme e ritorcendole, una volta battuto hai tutte onde del mare un po’ persiane. Per darvi un’idea, è quella categoria di acciaio con cui di fanno i coltelli giapponesi. E, in effetti, i coltelli di Mario possono sembrare giapponesi: ma siccome è uno che pensa all’utilizzo prima che al design, ha pensato bene di studiare per darne la forma giapponese, ma l’utilità di un coltello che può tagliare, che ne so, un pollo e non del sushi morbidissimo per cui quei coltelli in Giappone sono fatti. “Se tratti bene un coltello fatto da un artigiano, il filo ti dura una vita.
“Una volta usato bisogna pulire il coltello con un panno e a fine serata passarci un olio di camelia. O la vaselina se volete male all’ambiente.”
“Per testare se un suo coltello è buono o meno, usa dei metodi poco ortodossi ma decisamente efficaci, Tipo cercare di tagliare una vite, corna di cervo o una bottiglia, come se tagliasse la testa di chi ha appena fatto harakiri per vedere quanto è netto il taglio e quanto è dura la lama (più è dura, più è sottile). Per un attimo ho pensato seriamente di mollare tutto e mettermi a forgiare coltelli anche io, ma dopo averci provato ho capito che mi riesce meglio scrivere e bere Peroni al bar con amici.
Una delle domande che volevo più fare a Mario era se effettivamente esistesse un modo per conoscere la qualità della lama. “Un coltello come si deve”, mi ha risposto,”contiene molto carbonio e vanadio. Sono i due elementi che lo rendono davvero resistente.” A quanto pare non c’è un modo approssimativo per capire la qualità del coltello ma anche qui sta la parte dell’artigianalità e dell’essere umano: ti devi fidare. Se non ti fidi ci sono delle macchinette che ti dicono con precisione che c’hai lì dentro.
“Non hai idea di quanti ti dicono che è pieno di carbonio e alla fine è un pezzo di ferro da 700 euro. E poi, anche se gli elementi fossero giusti, la vera maestria sta non tanto nel battere l’acciaio ardente ma i trattamenti termici di cui devi conoscere la tua ricetta, i tempi e i gradi di cottura in questo forno.” E mi mostra il suo forno.
L’ultima cosa da sapere, se mai vi venisse in mente di prendere un coltello artigianale, è che quella roba è viva: si arrugginisce se la trattate male. Quindi una volta usato bisogna pulirlo con un panno e a fine serata passarci un olio di camelia. O la vaselina se volete male all’ambiente.
Dopo otto ore passate in un laboratorio di coltelli con Mario, svariati aperitivi al Road Cafè a base di coppa di testa e negroni al mezcal, mazzate a un pezzo di acciaio e coriandoli di carta con lame affilatissime, mi sono sentito stremato ma appagato. “Faccio utensili che si usano tutti i giorni, per ore, e che devono durare una vita, altrimenti che senso ha?” E io penso che in questa frase volesse anche dire: “E non sai che soddisfazione.”
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