“Se due prosciutti hanno la stessa stagionatura, quello più grande sarà leggermente più dolce e morbido. Più è piccolo e più è probabile che la carne risulti asciutta”
L’Italia vanta ben 31 varietà diverse di prosciutto crudo—di cui 12 hanno ottenuto il marchio Igp o Dop—, ma, non so voi, se mi chiedessero di distinguere, riconoscere o anche solo descrivere delle varietà di un qualsiasi prosciutto, io non saprei nemmeno da che parte cominciare.
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Per provare a capirne di più mi sono rivolta a un capo saldo della gastronomia, degli affettati e della banconistica romana: Salumeria Roscioli. Qualche tempo fa ho infatti incontrato Riccardo Cecchetti, responsabile del banco salumi e formaggi da Roscioli e, in una piccola vietta del centro, mi ha aperto le porte di El Dorado: la cantina in cui conservano formaggi, vini, salumi e altre delizie. Ad accoglierci, un tavolo con diversi tipi di prosciutto crudo. Le varietà presenti erano: il Parma tradizionale Sant’Ilario riserva Roscioli, da sempre uno dei loro prodotti di punta; il Crudo Dolce D’Osvaldo; il Crudo Affumicato D’Osvaldo; Il Nero di Parma Pedrazzoli.
Confesso subito a Riccardo che ho spesso difficoltà nello scegliere il prosciutto al bancone, e non sempre riesco a cogliere la qualità del prodotto acquistato. Lui mi rassicura dicendo che non esistono regole universali per capire se un salume è buono oppure no.
Come si riconosce un buon prosciutto crudo
Il primo, e forse unico, appiglio fondamentale per riconoscerne l’effettiva qualità è sapere le caratteristiche della varietà che stiamo scegliendo. Sappiamo, per esempio, che il prosciutto di Parma e il Crudo D’Osvaldo sono entrambi molto dolci. Mi spiega Riccardo: “La differenza tra i due la può fare la zona in cui vengono prodotti e, a parità di caratteristiche, si va di pezzatura. Se due prosciutti hanno la stessa stagionatura, quello più grande sarà leggermente più dolce e morbido. Al contrario più è piccolo e più è probabile che la carne risulti asciutta.”
Il Nero di Parma, come anche ad esempio il prosciutto Nero dei Monti Nebrodi, il Nero d’Aspromonte o la Cinta Senese, vengono da animali allevati allo stesso brado. Si tratta di maiali che sono totalmente liberi, con un’alimentazione molto diversa da quella dei prosciutti più tradizionali. “Il coscio qui ha tutta un’altra carne: essendo liberi o allo stato semibrado, questi animali bruciano molto e il loro grasso è nettamente migliore, dal gusto eccezionale”.
Quali tagli del prosciutto scegliere
Lo spessore della fetta di prosciutto cambia tutto
Racconto a Riccardo che pochi giorni prima, in un ristorante di Roma, mi hanno portato del prosciutto tagliato a fette spesse, talmente spesse da renderlo immangiabile, e anche un po’ nauseante. “Lo spessore della fetta di prosciutto cambia tutto,” mi conferma. “Cambia la percezione che hai del sapore e della consistenza di quella carne. Questo aspetto però va anche associato ad un altro dettaglio cruciale, ovvero il punto del prosciutto che prendiamo”.
Ogni parte del coscio ha le sue peculiarità: più o meno grasso, più o meno sale, più o meno dolcezza. Per esempio dove sta il gambuccio—la parte più bassa che va verso l’estremità della zampa—il sale non viene messo direttamente sulla zona, ma penetrando solo da sopra ne arriva meno. ed è quindi la parte più dolce.
C’è poi una parte che si chiama “rivoltino”, situata nel punto più largo del coscio, che è una zona molto magra. Se tagliamo qui avremo sicuramente una fetta asciutta e dal sapore concentrato, visto che ad assorbire il sale c’è solo la carne e il grasso è praticamente assente.
Cosa cambia fra il prosciutto della grande distribuzione e quello delle gastronomie
Chiedo a Riccardo i vari processi di un prosciutto dal produttore fino alla vendita al bancone. “Nella grande distribuzione spesso al rivenditore arriva direttamente il pezzo disossato già pronto da mettere in affettatrice,” mi dice. “Quando riceviamo i cosci, ci arrivano ovviamente interi con l’osso, perché quello di levarlo è un compito che spetta a noi, non ai produttori.”
Possiamo dire che è la bottega, il ristorante o la salumeria che decide cosa fare di quel prosciutto, e come gestirne la carne in base alla domanda. “L’osso ovviamente viene tolto per un unico discorso di praticità: per poter lavorare la carne con l’affettatrice o con il coltello. Non c’è un meglio o un peggio, semplicemente un discorso di necessità. Noi facciamo in entrambi i modi, anche in base alle richieste del ristorante”.
Arriviamo quindi al tanto atteso disossamento. Partiamo da un sunto iniziale molto importante: sono emofobica e mi prende la tachicardia anche solo a parlare di ossa, nervi, e corpo in generale, che sia di un essere umano o di un animale. Ho voluto scrivere nonostante tutto questo pezzo per un semplice motivo: vado matta per la carne e per il prosciutto ma troppo spesso dimentico da dove provengano. Siamo abituati a vederla così la carne in fettine già pronte da mangiar che ci dimentichiamo che la bistecca è il pezzo del corpo di un animale, che l’hamburger è un insieme di parti tritate e ammassate, o che una fetta di prosciutto viene dalla coscia di un maiale.
Come disossare il prosciutto
Il prosciutto può essere trattato in due modi. La prima opzione è quella di dividerlo in due: la zona del rivoltino che viene trattata con l’affettatrice e il resto del coscio che può essere disossato o lasciato da tagliare a coltello. La seconda modalità è invece quella di lasciare il coscio intero e tagliare a coltello il prosciutto, partendo sempre dalla zona del rivoltino. Che si divida in due, o che venga affettato iniziando da un’estremità, a un certo punto sarà necessario levare l’osso.
Per toglierlo bisogna quindi andare ad aprire la cotenna: dalla parte più bassa della zampa si tira via una striscia di cotenna lungo tutta l’altezza. “In questo modo riusciamo a creare una prima stradina di taglio da cui poi aprire il coscio”. Riccardo inizia a tagliare in profondità, con un coltello resistente e abbastanza corto; crea uno spazio all’interno del prosciutto e, arrivato all’osso, comincia a staccargli tutti i legamenti e i muscoli attaccati. Non avrei mai creduto di poter descrivere questo procedimento con tanta lucidità: realizzo che il concetto è lo stesso dello spinare un pesce, solo che qui si fa molta più fatica essendo una carne più dura e di pezzatura nettamente più grande.
Ammorbidendo la carne del prosciutto con le mani e con il coltello, Riccardo finisce per avere un coscio di prosciutto aperto in due trasversalmente fino all’osso. Arrivati a questo punto non serve altro che fare un po’ di forza e tirarlo via. Riccardo concede a me l’onore; in pochi secondi mi sono ritrovata fra le mani un pezzo di scheletro, esattamente dalla testa del femore fino a quasi il gambuccio (banalmente la nostra caviglia). Ammetto che tenere in mano pezzi di ossa animali non è la mia cosa preferita, però mi è servito per essere più in contatto con quello che mangio.
Una volta che il prosciutto è disossato la carne viene come riavvicinata e ricompattata anche grazie all’uso di un nastro o laccio: in tre o quattro punti viene fatto un giro di spago per mantenere tutto il coscio ben stretto e pronto per l’uso in affettatrice.
Tagliare il prosciutto al coltello come delle vere PRO
Anzitutto la lama deve essere lunga, sottile, ben affilata e rivolta verso di te.
Per chiudere in bellezza Riccardo mi mostra come tagliare un prosciutto a coltello, quando poggiato sul sostegno e bloccato da una morsa. Anzitutto la lama deve essere lunga, sottile, ben affilata e rivolta verso di te. Si poggia sul lato piatto del coscio, quello dove c’è il prosciutto da tagliare, e si inizia a fare un leggero movimento da un lato all’altro.
La lama deve essere pressata pochissimo sulla carne e non deve affondare, ma solo muoversi a destra e sinistra. Ho provato come vedete dalla foto qui sopra: sono riuscita a tagliare qualche fetta decente, ma essendo nata maldestra, dopo pochi minuti ero già in ansia per la mia incolumità. Ho gentilmente ridato il coltello al proprietario e sono rimasta a guardare la nobile arte di un artigiano che affetta il prosciutto.
Ne abbiamo assaggiata qualche fetta e, per la prima volta, ero totalmente consapevole di ciò che stavo mangiando.
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