La campagna elettorale—considerata quasi all’unanimità come una delle peggiori dei tempi recenti (e ce ne vuole)—sta per finire.
Questa è indubbiamente una buona notizia; la cattiva è che andremo a votare di nuovo con il cosiddetto Rosatellum, la pessima legge elettorale in vigore dal 2017 che prende il nome dal suo relatore (il deputato Ettore Rosato). Come se non bastasse, le cose sono ulteriormente complicate dalla riduzione dei parlamentari approvata nell’ottobre del 2019 e confermata dal referendum tenutosi a settembre dello stesso anno. I deputati sono passati da 630 a 400, mentre i senatori da 315 a 200.
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Ma vediamo di seguito come funziona il sistema elettorale, quali sono le novità rispetto alle ultime elezioni e cosa bisogna portare con sé al seggio.
Come funziona il Rosatellum
Il Rosatellum prevede un sistema misto. Circa un terzo dei seggi del Parlamento è assegnato su base maggioritaria (vince cioè il candidato che ottiene più voti), mentre il rimanente è assegnato su base proporzionale (a ciascuna lista o coalizione sono dati i seggi in proporzione ai voti ottenuti).
Nella parte proporzionale le liste sono bloccate: questo vuol dire che si eleggono i candidati secondo l’ordine di presentazione stabilito dai partiti. Gli elettori non possono dunque esprimere preferenze per i singoli candidati, a differenza di quanto avviene nelle elezioni amministrative.
La soglia di sbarramento per i partiti che si presentano da soli è fissata al 3 percento su base nazionale. Per le coalizioni, invece, la soglia sale al 10 percento.
Se un partito supera l’1 percento e fa parte della coalizione, quei voti andranno alla coalizione anche nel caso in cui non dovesse superare il 3 percento. Sotto l’1 percento invece, i voti andranno persi.
Come funzionano i nuovi collegi elettorali
Per adeguare la legge elettorale alla riduzione del numero dei parlamentari il governo ha dovuto ridisegnare i collegi elettorali.
Il collegio elettorale è una porzione di territorio in cui viene suddivisa l’Italia per eleggere i parlamentari; a ogni porzione è associato un certo numero di seggi.
I collegi si dividono poi in due tipologie: in quelli uninominali si presentano singoli candidati in competizione tra loro, e alla fine viene eletto chi ha più voti in base al sistema maggioritario; in quelli plurinominali si presentano liste di candidati, e gli eletti vengono scelti in proporzione ai voti ricevuti.
Escludendo dal calcolo i parlamentari eletti all’estero (8 alla Camera e 4 al Senato), i collegi uninominali eleggeranno 147 deputati (su 392) e 74 senatori su (196); quelli proporzionali 245 alla Camera e 122 al Senato. Il Post ha creato un database molto utile per sapere qual è il proprio collegio, consultabile sul sito.
Essendoci meno parlamentari da eleggere i collegi sono molto più grandi, e come scrive il sito OpenPolis “abbracciano territori a volte disomogenei e creano maggiore distanza tra l’elettore e l’eletto”.
Infine, il combinato disposto tra Rosatellum e riduzione dei parlamentari sembra favorire parecchio la coalizione di destra: nelle simulazioni fatte finora potrebbe vincere quasi tutti i collegi uninominali, raggiungendo così un’ampia maggioranza in Parlamento.
Cosa bisogna portare al seggio
Passiamo alle informazioni pratiche. Si vota solo nella giornata del 25 settembre, e i seggi saranno aperti dalle 7 alle 23.
Le schede saranno due—gialla per il Senato, rosa per la Camera. Questo qui sotto è un fac simile diffuso dalla direzione centrale per i servizi elettorali del ministero dell’interno.
Al seggio si dovrà esibire la propria tessera elettorale (controllando che ci sia spazio per il timbro, altrimenti bisogna richiederne una nuova) e un documento d’identità valido.
Non bisogna portarsi una matita o una penna da casa (ormai la storia delle matite copiative è vecchiotta, dai), né si può fotografare la scheda con il cellulare—la legge lo vieta espressamente.
Per la prima volta, inoltre, l’età minima per votare al Senato è stata abbassata a 18 anni (la stessa della Camera); fino alle scorse elezioni bisognava aver compiuto 25 anni.
Come si vota
Questa parte sembra intuitiva, ma ci sono alcune cose da tenere a mente.
Presente il fac-simile di cui sopra? Per votare occorre tracciare una “X” sul rettangolo che contiene i simboli dei partiti (o del partito) e i candidati nel collegio plurinominale. In questo modo si esprimerà in automatico il voto al candidato nel collegio uninominale sostenuto dalla lista (o dalle liste).
Se si barra solo il nome del candidato all’uninominale, il voto andrà al candidato e sarà anche distribuito tra i partiti (o il partito) che lo appoggiano, in proporzione ai voti complessivi ottenuti in quel collegio.
Non è possibile invece fare il voto disgiunto, ossia mettere una “X” sul candidato all’uninominale e un’altra su un partito che non lo sostiene. Per intenderci, non posso barrare il nome di Giorgia Meloni e il simbolo del Partito Democratico; in quel caso si invalida la scheda.
Per finire, anche quest’anno sarà utilizzato il tagliando antifrode, sperimentato nel 2018 e introdotto per contrastare il voto di scambio.
In sostanza, ogni scheda avrà un bollino con un codice che sarà annotato nel registro di seggio; dopo aver votato, dovremo riconsegnare la scheda al presidente di seggio, che a sua volta la imbucherà nell’urna dopo aver confrontato la corrispondenza tra il tagliando e il codice sul registrato.
Il voto fuorisede
Il voto in un altro comune diverso da quello della residenza è consentito solo in casi particolari: le persone ricoverate in ospedale o case di cura; militari e forze dell’ordine; componenti dell’ufficio elettorale di sezione e rappresentanti di lista. Anche chi risiede all’estero può votare a distanza.
In tutti gli altri casi, invece, bisogna ritornare nel comune dove si ha la residenza—e non tutti possono permetterselo, anche con gli sconti per i trasporti.
Secondo i calcoli dell’Istat, infatti, ben cinque milioni di persone rischiano di non poter votare il prossimo 25 settembre; si tratta in larghissima parte di studenti e giovani lavoratori.
Nonostante se ne parli da anni, il tema rimane irrisolto. La caduta del governo Draghi ha infatti portato all’interruzione dell’esame di una proposta di legge che avrebbe concesso il voto ai fuorisede.