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Come un video di Alberto Angela sull'antica Roma è diventato uno spot contro l'immigrazione

Il nuovo passatempo della destra italiana su Facebook? Usare la divulgazione storica per denunciare l'attuale "invasione" dei migranti e il multiculturalismo.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Da un po' di tempo a questa parte, nella nebulosa di pagine Facebook italiane che vanno a formare il calderone della nuova destra "sovranista," si è diffuso un trend ben preciso—l'uso dell'impero romano (e del suo crollo) per parlare della situazione socio-politica nell'Europa del Ventunesimo secolo, e soprattutto di immigrazione.

Ovviamente l'uso politico della storia non è una novità, né lo è la strumentalizzazione di certi periodi storici da parte di uno schieramento politico (la destra, in questo caso). L'intellettuale Furio Jesi, autore di Cultura di destra, diceva che—se visto in una determinata maniera—il passato diventa "una sorta di pappa omogeneizzata che si può modellare nel modo più utile" e da cui si possono pescare a piacimento miti e leggende.

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È il caso di chi si è occupato di spiegare che "Il suicidio dell'Europa di oggi è come quello dell'Impero Romano," o che con la battaglia di Adrianopoli del 9 agosto 378 "l'Impero crollò come noi" sotto i colpi di "immigrati, inetti e venduti," o ancora che "la pertinenza della parabola romana rispetto ai giorni nostri"—denatalità, tasse, invasioni barbariche—è autoevidente, e "basta aprire le finestre e guardarsi intorno."

Quello che è curioso è che in questa "nuova" tendenza ci sono inconsapevolmente finiti divulgatori come Alberto Angela. Lo spezzone di un suo discorso, prelevato da una più ampia conferenza, è arrivato su moltissime bacheche con un significato "riattualizzato"—cioè per sostenere che una società multiculturale è destinata per forza di cose a soccombere.

La stessa sorte è toccata ad Alessandro Barbero, professore ordinario presso l'Università Orientale del Piemonte, autore di molti libri e volto televisivo di trasmissioni come Il Tempo e la Storia e Superquark. Una clip di un minuto scarso, in cui Barbero spiega la fine dell'impero romano d'Occidente, è stata estrapolata dal programma di Rai3 Ulisse, diffusa su Facebook e accompagnata da slogan quali "FERMIAMO questa IMMIGRAZIONE INCONTROLLATA PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!!"

Oltre ai video, inoltre, c'è una schiera di immagini e meme dedicati al tema. In particolare, c'è una pagina "nostalgica"—Per il ritorno dell'Impero Romano - Renovatio Imperii—che dietro la scusa della divulgazione storica infila accostamenti polemici tra il presidente dell'eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e l'esercito romano, esalta muri e fortificazioni, critica più o meno ironicamente Mario Monti, l'euro e Angelino Alfano, e fa dell'immancabile sarcasmo sui "buonisti."

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Per parlare di questa specie di fenomeno, mi sono dunque rivolto proprio ad Alessandro Barbero. "Lo storico si trova in imbarazzo quando viene usato a sua insaputa," mi dice, "perché in altre epoche agli storici veniva chiesto espressamente di dare il loro contributo alla formazione del mito nazionale, alla propaganda, e così via, e a quel punto era una scelta che uno faceva in piena coscienza."

In questo caso, comunque, non lo stupisce il fatto che certi discorsi possano essere estrapolati e decontestualizzati. "Fin da quando ho iniziato a occuparmi di queste cose mi sono reso conto che quello che lo storico dice sull'immigrazione nell'impero romano e sulle invasioni barbariche può essere usato da destra e da sinistra," continua, "perché quello che è inevitabile dire è che l'impero romano, per secoli, ha gestito un'immigrazione enorme traendone un grandissimo vantaggio." Se poi la si vuole vedere da destra, "è un fatto che a un certo punto nel mondo romano l'immigrazione sfugge di mano, non viene più gestita e si trasforma in invasione."

Il dovere dello storico, comunque, è quello di "dire la verità; e quindi, pazienza se alcuni pezzi di questa verità possono essere strumentalizzati, salvo puntualizzare che è il pacchetto completo che bisogna prendere, non soltanto un pezzo."

Per quanto riguarda poi i parallelismi che si possono tracciare tra l'impero romano, le invasioni barbariche e la contemporaneità, Barbero puntualizza che qualcosa in comune effettivamente c'è: "Il desiderio dei barbari di trasferirsi dentro l'impero romano nasce dalla consapevolezza che lì si vive meglio, che lì si è più difesi. Mentre fuori di esso la guerra e la fame impazzano." E in questo senso, vedendo come "l'impero romano è riuscito a gestire con successo questo equilibrio, e poi a un certo punto non ci è più riuscito, qualche strumento in più per capire quali sono gli sbagli da non fare magari potrebbe anche esserci."

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Per quanto riguarda i muri nell'epoca imperiale, che vengono invocati per fermare l'attuale "l'invasione," il paragone è molto più tirato per i capelli. "Il limes non era affatto un muro ininterrotto," spiega Barbero, "ma una struttura di interfaccia tra il dentro e il fuori, che serviva a filtrare e non a tener fuori. In altri termini, il limes è il simbolo di un mondo che ha la forza di dire: da me si entra, però con delle regole e con dei controlli."

Ad avviso di Barbero, la grande differenza—e qui si ritorna sui temi toccati da Alberto Angela—tra il nostro mondo e quello romano è che "i romani erano preparati e attrezzati per un mondo multietnico, e non hanno mai pensato che essere romano volesse dire essere bianco, biondo, eccetera. Per noi lo choc è più grande, perché usciamo da secoli di nazionalismo, dell'esaltazione dell'individualità nazionale, e dunque facciamo più fatica ad accettare il fatto che si possa vivere in Italia ed essere italiani pur mangiando il kebab e pregando in arabo."

Per gli antichi romani, appunto, l'essere romano era un'altra cosa: la sottoscrizione di certi principi fondamentali, tra cui l'accettazione della superiorità dello Stato romano in quanto "la forma più alta di convivenza civile" dell'epoca, e altri due o tre corollari. "Una volta accettato questo," mi spiega Barbero, "chiunque poteva diventare romano. Ad un ebreo dell'Asia minore come Paolo di Tarso, o ad un berbero del Nord Africa, nessuno chiedeva di che colore era e che dialetto parlava a casa sua. Noi ci dobbiamo ancora arrivare, ecco."

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Un meme su immigrazione e impero romano. Via Butac.

A ogni modo—se si vuole andare oltre le strumentalizzazioni—la gestione dell'immigrazione nell'impero romano una lezione ce la può comunque fornire. "La storia la studiamo per avere degli esempi, e gli esempi ci permettono di dire che la tal cosa è possibile," afferma il professore. "La storia dell'immigrazione nell'impero romano ci dimostra che è possibile che una società per secoli integri in grandissima quantità immigrati, traendone forza e non debolezza. Al tempo stesso ci insegna che quello è un percorso che va sorvegliato molto, perché è possibile che finisca male."

Nel caso dell'impero romano, infatti, i veri problemi sono arrivati "quando le regole non sono più state tanto chiare, quando la prospettiva dell'integrazione non era più così chiara e desiderabile, e quando l'apparato statale che doveva gestire il tutto era troppo corrotto e inefficiente. E questo, ahimè, temo che suoni relativamente contemporaneo."

Chiaramente, questa storia può essere letta in vari modi. Tuttavia il vero insegnamento, conclude Barbero, è "che le cose vanno sempre viste da due punti di vista, e che non ci sono ricette valide in assoluto: tutto va sempre considerato nella sua complessità. Questa è una cosa che gli storici continuano a ripetere senza che nessuno li stia a sentire, perché è troppo fastidioso prendere atto del fatto che la realtà è complessa."

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