Con un sito e qualche mail ho fatto finire un finto sceicco sui giornali italiani

Qualche giorno fa, prima delle elezioni, il Corriere della Sera ha pubblicato un pezzo in cui si dice che nell’ultimo mese la polizia italiana ha “bloccato 128 fake news.” Esatto, 128. Non una di più né una di meno. Buona parte delle reazioni al pezzo si sono concentrate su come il dibattito sul tema abbia ormai toccato il fondo, e su come l’espressione “fake news” abbia finalmente perso quel pochissimo senso che le restava. Tutto giusto, ma da parte mia vorrei far notare una cosa: ve n’è scappata una.

Più o meno un mese fa, ispirato dalle elezioni e da alcuni casi di cronaca, mi sono chiesto: è davvero così facile fregare la stampa italiana, anche quella che si percepisce come seria e ci fa le prediche su troll russi? Davvero basta mandare una email con un finto comunicato stampa dal titolo accattivante per attirare l’attenzione dei media, innescare un effetto valanga e portare quel titolo accattivante sulla carta stampata e nelle edicole?

Videos by VICE

Così ho deciso di fare una prova. Obiettivo, vedere fin dove sarei riuscito ad arrivare con il minimo sforzo: un paio di settimane di lavoro e una singola email* per far pubblicare una storia completamente inventata (che non fosse una semplice bufala razzista) su un quotidiano nazionale.

LA STORIA

Il primo passo era pensare la storia giusta. Sotto elezioni i media tendono a essere meno attenti del solito, soprattutto su quelli che sono i temi “caldi” che meglio riescono a polarizzare i lettori. Era proprio su questi temi che avrei voluto giocare.

Così mi sono messo a pensare: quali sono gli argomenti maggiormente capaci di insinuarsi nella retorica dei politici, preoccupare o esaltare larghi strati dell’elettorato e stimolare la fantasia dei complottisti? L’islam e la cosiddetta invasione, mi sono detto (l’episodio di Giorgia Meloni al Museo egizio di Torino era ancora di là da venire). E poi: le banche e la finanza che controlla il mondo (questa era facile). E poi: gli investimenti stranieri e il ruolo di Milano come città più europea d’Italia (una retorica con cui da Expo ci bombardano ancora oggi).

Ok. Ho messo insieme questi tre elementi, li ho mescolati per bene ed ecco la mia storia: c’è un colosso saudita che annuncia investimenti da 100 milioni di euro, una nuova sede a Milano e l’intenzione di portare la “finanza islamica” in Italia, dove le banche sono deboli e l’immigrazione da paesi a maggioranza musulmana ha creato un mercato potenzialmente ampio.

Omar bin Faisal al-Salwiya, rampante milionario saudita con un cognome curiosamente simile al mio, è nato così.

IL BACKGROUND

Quando si inventa un personaggio bisogna creare tutta la sua vita—anche le parti che non si raccontano. Quindi ho iniziato a pensare a un background credibile per il mio alter ego e la sua azienda di famiglia. Anche perché presumibilmente i destinatari dei miei comunicati stampa avrebbero cercato su Google qualche informazione sugli al-Salwiya e la loro società.

La base era questa: gli al-Salwiya sono una ricca famiglia saudita che, partendo da un’azienda di costruzioni, è arrivata pian piano a possedere una holding attiva in diversi settori, dall’urban planning alla finanza, con operazioni in tutto il Medio Oriente. Nel 2018, l’erede della famiglia è stato incaricato di guidare lo sbarco dell’azienda sui mercati europei, partendo da Milano.

Per comunicare tutte queste informazioni, insieme ad altre ugualmente vaghe sulle attività e la storia dell’azienda, ho creato il sito ufficiale della holding—dal pomposissimo nome The Saudi al-Salwiya Group, con tanto di motto “Building a better world” e di logo fatto traducendo parole a caso su Google translate, scontornandole e mettendole insieme.

Per fare il sito, il più è stato fare l’abbonamento alla versione premium di Wix (per eliminare i banner “crea il tuo sito con Wix” che compaiono quando hai solo la versione base) e trovare il template giusto. Alla fine ho scelto quello standard per “azienda di costruzioni” le cui immagini predefinite—la foto di un viadotto, scene di vita in un cantiere e via dicendo—mi sembravano adatte. (Nel frattempo l’abbonamento premium a Wix è scaduto e il sito è andato offline, potete vederlo comunque qui)

Come sfondo della home ho messo un video di Riyad trovato su YouTube.

Ho aggiunto diverse sezioni: una sulle attività del gruppo, con una foto dello skyline di Doha (quindi in Qatar) che ho trovato su Flickr; una con la gloriosa storia dell’azienda—tutto rigorosamente in inglese, con testo a fronte in arabo tradotto da Google translate;

E ho completato il tutto con una lista di premi vinti (tutti inventati, ovviamente), un form di contatto e una lista di finti clienti fatta cercando su Google “fake arabic logos.”

Fatto questo ho registrato il dominio AlSalwiyaGroup.com e ci ho collegato il sito. Poi ho aperto i profili social di Omar al-Salwiya: Twitter (perché i sauditi usano tutti Twitter, è risaputo) e LinkedIn.

A questo punto gli al-Salwiya erano pronti a sbarcare in Europa.

LO SBARCO

Quanto ai comunicati stampa, ecco alcuni accorgimenti che ho preso prima di iniziare qualora doveste mandarne in futuro (ne ricevo decine al giorno, e ho una cartella per i miei preferiti):

– una casella di posta che non finisse per gmail.com (press@alsalwiyagroup.com);
– un responsabile PR italiano con esperienza estera, in grado di occuparsi della comunicazione del gruppo in fase di partenza (Emanuele Rossi, nome con cui avrei firmato le mail stampa e risposto alle telefonate di lavoro—qui il suo LinkedIn);
– un titolo a effetto, per incuriosire il destinatario e far capire che valeva la pena aprire la mail perché dentro ci sarebbe stato qualcosa di succoso e notiziabile. Ho deciso di andare con “finanza islamica.”
– un testo semplice.

Nel mio caso, poche righe in cui si faceva l’annuncio dell’arrivo dell’azienda, un virgolettato attribuito ad al-Salwiya sulla debolezza delle banche italiane e i motivi dell’operazione, una cifra buttata lì a caso per quantificare l’entità dell’investimento (100 milioni di euro).

Per cominciare l’ho mandato a una serie di testate iper-locali perché, pensavo, sarebbe stato più facile farmi pubblicare prima lì e poi andare a salire una volta che su Google sarebbero cominciati ad apparire risultati sul mio saudita e la sua azienda. E infatti così è stato: la maggior parte delle testate ha ignorato la mia email, ma le poche che mi hanno ripreso sono state abbastanza per riempire una pagina di risultati. Non ne servivano altre, tanto nessuno va oltre la prima pagina di Google.

Qualche giorno dopo, su Skyscrapercity.com—un forum a tema città e urbanistica—hanno incominciato a comparire thread sull’imminente arrivo dei sauditi e su cosa avrebbe significato per la città. “Ciao ragazzi, pare che i Sauditi di al-Salwiya Group vogliano finanziare un nuovo progetto di riqualificazione urbana,” scriveva un utente. “Da quello che si legge fra le righe pare che la sede vogliano proprio costruirsela da zero!” commentava un altro.

Il secondo e il terzo giorno del mio esperimento ho mandato la stessa mail ad altre testate di livello un pochino più alto rispetto alle varie Mi-Lorenteggio, La Martesana e Rho News. Stavolta l’obiettivo non era più creare risultati su Google, ma far conoscere il mio nome.

È successo quasi subito: il 24 gennaio sono finito su Affari Italiani.

LA VALANGA

Affari Italiani ha un bel bacino d’utenza, e l’espressione “finanza islamica” ha scatenato proprio la reazione che avevo preventivato. Nel giro di pochi giorni, il pezzo ha fatto più di 3000 condivisioni.

In generale i toni delle reazioni sotto al post erano apocalittici: “Quale sarà la prossima tappa? Abbattere le chiese e rimuovere le croci dai cimiteri?” Non mancavano constatazioni piene di amarezza: “Non dobbiamo prendercela con chi lo fa ma con chi glielo permette.” Ma i miei commenti preferiti erano quelli che azzardavano analisi geopolitiche: “Questi hanno fretta di inserirsi economicamente ovunque in vari modi. Visto che il petrolio non sarà eterno. Loro stanno guardando oltre e probabilmente si salveranno sfruttando l’Occidente… mentre l’Occidente affonderà.”

Questi sentimenti non erano espressi solo nei commenti di Tizio e Caio. Tra le 3000 e rotte condivisioni del pezzo infatti ce n’erano alcune abbastanza rilevanti: ad esempio quella di Paola Bacchiddu (giornalista ed ex responsabile comunicazione della lista L’Altra Europa per Tsipras nel 2014), quella di Kawtar Barghout (blogger italo-marocchina che scrive sul Giornale, famosa come “musulmana di destra”) e quella di Maryan Ismail, candidata alle regionali in Lombardia con Fontana, che ha usato al-Salwiya per fare campagna elettorale.

Ma la mia preferita resta quella di Roma fa schifo—un blogger che si occupa in modo spesso polemico di tutto ciò che riguarda Roma, il decoro urbano e la gestione della città—che si lamentava del fatto che gli investimenti vanno sempre a Milano e mai a Roma.

Anche i siti di bufale e la destra più o meno estrema ci si sono buttati a pesce. La storia della finanza islamica che viene a invadere l’Italia perché qui le banche sono deboli è stata tritata da una serie di profili Twitter di destra, è stata risputata fuori da siti di fake news come VoxNews e ImolaOggi e per finire è stata servita dal sito ufficiale di Il Sud con Salvini—la sezione meridionale della Lega.

FUORI DA INTERNET

Nel frattempo la storia della finanza islamica iniziava ad alimentare la mia casella di posta. Dal form di contatto del sito arrivavano curriculum e candidature spontanee di gente che voleva lavorare con me (anche con ruoli dirigenziali—un tizio mi si era proposto come country manager), mi scrivevano privati e aziende che volevano fare affari con me e giornalisti che non vedevano l’ora di intervistarmi.

C’era il CEO di una startup di trading che voleva convincermi a finanziario, penso convinto di aver trovato la gallina dalle uova d’oro, un’azienda che si occupa di certificazioni per aziende che operano nel settore della finanza islamica (quella vera) che cercava insistentemente di contattarmi probabilmente perché l’al-Salwiya Group non gli risultava azienda certificata, un italiano esperto di diritto bancario che mi scriveva per dirmi di contattarlo se mai avessi avuto bisogno di aiuto con la burocrazia e i regolamenti italiani. Mi sono sentito davvero ben accolto.

Alla maggior parte di queste email non ho mai risposto, perché non mi andava di prendere in giro delle persone che stavano lavorando o cercando lavoro. Quanto ai giornalisti, un canale in particolare mi ha chiesto di collaborare per dare al Saudi al-Salwiya Group la giusta copertura mediatica sui loro canali. Sono stati gli unici a cui ho risposto (in qualità di responsabile PR Emanuele Rossi), e quella che è seguita è stata una telefonata surreale, con reiterati inviti a mandare “un portavoce, uno dei tuoi” in trasmissione per farsi intervistare di fronte ai quali ho tergiversato dicendo che, essendo appena sbarcati in Italia, era un momento un po’ caotico. “Dai, allora vi metto nel loop dei nostri comunicati stampa,” gli ho detto.

IL GRAN FINALE

A questo punto mi sentivo di dire di aver appreso questa grande verità sul mondo dei media: è come il gioco del telefono senza fili. Venire ripreso da una fonte ti fa finire su un’altra e poi su un’altra ancora, e così via. Qualche tempo fa ho seguito l’epopea di Alessandro Proto che proprio su questa cosa ci ha costruito una carriera: per anni è riuscito a spacciarsi per finanziere milionario, promessa del centrodestra e amico personale di Trump, il tutto semplicemente mandando dei comunicati stampa alle redazioni dei giornali in cui diceva che il suo gruppo immobiliare stava trattando questo o quell’altro affare con un personaggio famoso. In pratica ha applicato quella famosa frase di Goebbels: ha ripetuto una bugia un certo numero di volte finché non è diventata vera.

Nel mio caso però dopo due settimane di esperimento la situazione era stazionaria. Certo, al-Salwiya era finito su un tot di siti, diverse testate erano interessate a intervistarlo, la sua casella email scoppiava. Ma ormai la spinta del comunicato stampa si stava esaurendo. Finché poi, un giovedì di fine febbraio—due settimane dall’inizio del mio esperimento e dall’invio del comunicato stampa—il salto è arrivato. Il mio saudita è finito su Avvenire.

Per quanto sia un quotidiano cattolico, Avvenire è uno dei giornali italiani che rispetto di più, perché sotto molto aspetti è più serio e aperto della Repubblica. Lo rispetto così tanto che non l’avevo neanche considerato tra le testate a cui mandare i miei comunicati stampa. Eppure eccolo lì, Omar al-Salwiya, che “nella cornice del Business Forum di Riad” (che non esiste) annunciava “l’intenzione di accedere al mercato europeo attraverso una sede che sarà collocata a Milano.”

Per quanto secondo l’articolo la notizia suscitasse “più di un interrogativo,” questi interrogativi sembravano riguardare solo gli aspetti burocratici e legali dell’operazione (“in Italia, infatti, non ci sono normative che permettano l’apertura di istituti bancari ‘sharia-compliant’”) e non l’effettiva esistenza dell’azienda o del mio saudita, presentato come un manager “figlio del fondatore del colosso Saudi al-Salwiya Construction Company, dal 1977 protagonista dei settori edilizia, pianificazione e infrastrutturazione urbana. Nel tempo, la famiglia al-Salwiya ha saputo ampliare le proprie attività aprendo a luxury, business development e servizi finanziari.”

Quando mi hanno mandato su WhatsApp la foto di questo trafiletto non ci potevo credere. La sera stessa sono andato in una biblioteca vicino a casa, che ha le copie vecchie dei giornali, a controllare. Era tutto vero.

Ma era comunque soltanto un trafiletto, su un giornale che secondo gli ultimi dati vende 120mila copie tra cartaceo e digitale. Eppure qualcuno lo legge. Tipo i giornalisti di Libero. Perché la mattina dopo l’alert di Google a cui avevo dato il compito di avvisarmi per ogni nuovo risultato contenente la parola “al-salwiya” mi ha mandato una mail segnalandomi questo approfondimento a tutta pagina:

“Sharia nel conto corrente”

“La finanza islamica è sbarcata in Italia – Il gruppo saudita al-Salwiya apre una sede a Milano. Il portavoce: qui c’è spazio per noi, le banche sono deboli,” titolava Libero a pagina 8. L’articolo (qui potete leggerlo in risoluzione migliore) non era semplicemente un copia-incolla del mio comunicato stampa ma era piuttosto dettagliato: riportava le mie dichiarazioni, le commentava, ci associava diversi dati sulla finanza islamica presi dal Fondo Monetario Internazionale e lo stato della legislazione italiana in materia. Accanto c’era persino una scheda riassuntiva sulla storia e le attività di al-Salwiya Group. I miei sinceri complimenti all’autore per l’impegno e il rispetto delle 5W.

Purtroppo non sono riuscito a trovare il cartaceo di Libero di quel giorno, quindi non potrò incorniciarlo e appenderlo in casa. Mi piace pensare che sia andato esaurito. Mi piace pensare che quella mattina, in qualche bar di paese da qualche parte in Italia, qualche vecchio abbia sbattuto il pugno sul tavolo imprecando contro la finanza islamica.


*In realtà tecnicamente non ho mandato UNA SOLA email, perché ho mandato lo stesso comunicato stampa due o tre volte a diverse testate, nell’arco di un paio di giorni, con diverse mail contenenti tutte grosso modo lo stesso testo. Ma sono dettagli.

Un ringraziamento a Leon Benz e Stefano Santangelo per l’aiuto durante tutto il progetto.

Segui Mattia su Twitter (Segui Omar al-Salwiya su Twitter)