Música

Ho provato a divertirmi al concertone del Primo Maggio virtuale

primo maggio

In spregio al buon senso, alla morale e a ogni principio di gestione razionale del proprio tempo, la redazione di VICE ha scelto di rispettare una tradizione. Sin dal primissimo giorno, a furia di scoppole in testa, pizzicotti sulle chiappe e sane pratiche di waterboarding, mi è stata chiarita la funzione dell’ultimo arrivato: il caprone espiatorio immolato sull’altare.

Abbiamo dunque tirato fuori il peggior vinello possibile, il fumo più stantio lasciato a decantare un ventennio e la kefiah ufficiale sbiadita da anni d’improprio e sudato utilizzo festivaliero. Perché, vi chiederete? Ovvio, per il Concertone del Primo Maggio!

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Di certo non sarà una piccola pandemia a fermare i bei propositi riformatori di questa magnifica giornata.

Di certo non sarà una piccola pandemia a fermare i bei propositi riformatori di questa magnifica giornata, men che meno a trent’anni dalla sua prima edizione. Difatti, sgusciando a destra e a manca tra controlli, droni sbirreschi e vicini delatori, son riuscito a percorrere in poche ore quel centinaio di chilometri che mi separavano da piazza San Giovanni, a Roma.

Una volta lì, la folla oceanica mi ha accolto come un’onda anomala d’affetto, socialità e pulsione politica verso il sol dell’avvenire, un futuro di meraviglia e solidarietà diffusa, che con la sola forza della sua visione ha dismesso tutti i sindacati—perché che bisogno c’è di un sindacato quando il lavoro è ormai automatizzato e possiamo tutti concederci quel che più ci piace—e disinnescato ogni forma di precarietà, pratica o esistenziale, mentre la musica scorre in piazza come un armonioso gong cosmico e celestiale, le canne girano e sappiamo per certo di essere un solo immenso organismo famigliare che si merita la sua felicità ed è riuscito, infine, a conquistarsela. Titoli di coda.

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Mi sveglio dal mio sogno distrutto da conati e brividi di sudore gelido, sono pallido e odoro di morte al lavoro. Il divano è fradicio, ho una strana fresca cicatrice sul corpo. Dallo schermo mi sorride enormemente triste la presentatrice, Ambra Angiolini, ad ogni battito di ciglia e voce spezzata un tremito sulla superficie. Quella è piazza San Giovanni, sì, ma è vuota e lei da sola.

Ci sono giusto un microfono che spunta male da sotto l’inquadratura come per colpirla, e due persone che passano sullo sfondo senza accorgersi giustamente di nulla. Una bambina con una giacca gialla saltella in mezzo a loro incurante di tutto mentre chi è con lei sembra scattare un selfie; è un’intrusione che ha del surreale.

Guidatrici di autobus di Roma, infermiere di Brescia, commesse toscane, una “bracciante” che seleziona e imbusta vegetali, corrieri, insegnanti, nonni, manager, eccetera.

Ambra chiude l’introduzione iniziale con una domanda, “Come state?”, seguita da testimonianze di guidatrici di autobus di Roma, infermiere di Brescia, commesse toscane, una “bracciante” che seleziona e imbusta vegetali, corrieri, insegnanti, nonni, manager, eccetera. Un piccolo genere narrativo a sé stante: il racconto del lavoratore durante la pandemia, che fa tanto impegno politico e assicura il giusto trasporto sentimentale.

A causa dell’improvviso shock emotivo, ricordo tutto: non c’è alcuna festa comunitaria a farla da padrone tra grigliate, cortei e chiloom. Siamo chiusi in casa e l’emergenza sanitaria per la diffusione del COVID-19 ha imposto un ridimensionamento estremo al cartellone del festival e tagliato di netto la possibilità di suonare in piazza.

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Ambra continua a modulare una cantilena che non riesco a sentire, la guardo su RaiPlay in diretta alle otto di sera. Ma sarà davvero il Primo Maggio e sono quelli i tre segretari generali di CGIL, CISL e UIL, e davvero quello è Vasco Rossi che critica il termine “social distancing”?

Sullo schermo tremolante risponde Lodo Guenzi che ci tiene a farci sapere che non ne può più, si è rotto le palle e gli manca l’Angiolini. È molto tenero, allegro e mi entusiasmo per la sua dichiarazione d’affetto mentre prendo a testate il muro quando gli fanno dare i numeri dell’IBAN per le donazioni.

Comincia però la musica, ovvero il primo dei video in differita preparati. Apre Gianna Nannini, che non ho mai visto così bene, e al pianoforte canta con il suo solito pathos sprazzi di “Notti senza cuore”, “Donne in amore” e ovviamente “Meravigliosa creatura” e “Sei nell’anima”.

Business, brand e glamour, zio, cosa vuoi di più.

È come disegnata in cielo e suona in uno di quei luoghi branded che ormai caratterizzano Milano: la Terrazza Martini, cioè “la cornice più glamour per eventi, incontri informali e di business, dove assaporare il mondo Martini con una vista mozzafiato nel cuore di Milano”. Business, brand e glamour, zio, cosa vuoi di più.

La Nannini giganteggia ritagliata sullo sfondo della Madunina, in un tramonto caramellato regalato alla città dall’inquinamento e dal cambiamento climatico in cambio di qualche cancro in più. Poi si alza e giuro che per un momento ho pensato si volesse buttare di sotto, ma poi capisco che voleva acchiappare il drone usato per le riprese. Eppure quel bastardo scappa da tutte le parti e alla fine la cantante ci rimane male, fa finta di niente e si mette ad abbracciare il vuoto e l’aria, e anche la città.

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Mi commuovo, piango sangue e dovreste farlo anche voi. Torniamo in fretta a Roma ed entriamo nell’Auditorium Parco della Musica dove Alex Britti ci accoglie con uno sferragliare dai toni blues che ci fa ben sperare, almeno fin quando non comincia con “7000 Caffè”.

La nostra conduttrice preferita riparte subito parlando dei rider che sono addirittura più visibili ora che c’è la pandemia, e sono pure aumentati, vedi tu, chiediamo quindi nuovi contratti, dai, perché “non è noi e loro, siamo tutti sullo stesso motorino”. Tra l’altro, qualora ci fosse sfuggito, il tema di quest’anno—sì, ci sono i Temi—è “ll lavoro in sicurezza: per costruire il futuro”, quindi ha pure ragione.

Gabbani con “Viceversa” e “Il sudore ci appiccica” biascica alcune cose, prima che Ambra ci inviti a “ritrovare queste braccia”, cioè quelle di 200.000 braccianti che sono scomparsi e nessuno li trova. Se anzi qualcuno gentilmente può segnalare la cosa o riportarli a casa, noi avremmo anche da dargli un paio di euro l’ora per raccogliere pomodori e melanzane e farsi venire un infarto nei campi, grazie.

Arriva però la prima assurda sorpresa della kermesse, quando il Lodo Guenzi di cui sopra, evidentemente dotato del dono dell’ubiquità, si fa trovare in Piazza Maggiore a Bologna e comincia “Quando abbiamo scritto ‘Una vita in vacanza’ ci aspettavamo qualcosa di diverso da così.”

Lo Stato Sociale partono con la loro hit e la telecamera comincia a girare, finché una tizia si mette a ballare e io mi immalinconisco, abbraccio la mia famiglia e comincio a commuovermi.

Una lunga lenta carrellata a mano e in avanti parte verso il centro della piazza vuota e un pelo desolata, dove il cantante e i suoi cinque compari de Lo Stato Sociale partono con la loro hit e la telecamera comincia a girare, finché una tizia si mette a ballare e io mi immalinconisco, abbraccio la mia famiglia e comincio a commuovermi. Lodo però forse si offende per un fuori scena che non vediamo o perché piango troppo forte, e allora prende e se ne va.

Che non è mica carino fare così, penso mentre la mia famiglia comincia a prendermi a calci in faccia per vendicarsi dell’abbandono, mica è tanto professionale. Però poi i suoi soci si prendono bene, capiscono di avere una possibilità enorme e quando suonano le campane in piazza cominciano a cantare “La canzone del pane” de I Camillas e, deo gratias, finalmente tirano fuori una voce che non stecca e sa il fatto suo e il tributo indiretto a Mirko Bertuccioli diventa la cosa più bella e sentita di tutta la serata.

Tra una chiacchiera sulla sicurezza e l’altra la mia attenzione ormai è naufragata irrimediabilmente in Piazza Maggiore. Dove sarà andato Lodo, perché continuano a tenerlo nel gruppo, perché mia figlia non smette di colpirmi in faccia con quel martello?

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Aiello con la sua “Arsenico”, Le Vibrazioni solite e il medley di Zucchero riscuotono quindi poco interesse, persino quando Fornaciari ci ricorda che dietro a ogni concerto lavorano decine di persone e dello stop risentono centinaia di famiglie. Anche quando Ambra ci rivela che deve proprio a Zucchero la sua prima inquadratura televisiva in assoluto non ho un battito in più del normale—dove ti nasconderai, però, Zucchero, quando faremo la Rivoluzione?

La situazione non migliora e l’adrenalina non s’innalza con Paola Turci, Edoardo Bennato, Luca Barbarossa e Irene Grandi, né con il collegamento su Rai Radio 2 con Ema Stokholma e Gino Castaldo, e tantomeno con il siparietto cringe nel quale Ambra fa una serie di domande imbarazzanti a una mini classe di studenti. Basta con le gag sulle videolezioni e le videochiamate, vi prego.

Va lievemente meglio con Fasma, benché sia molto giovane e la performance non suoni perfettamente. L’esplosione arriva però con il sentitissimo crescendo drammatico operato da Tosca nella sua versione di “Bella ciao”, tanto straziante quanto incredibile nei suoi profondi risvolti politici: dove diamine sono finiti i Modena City Ramblers, cosa cacchio sta succedendo in questa tempolinea?!

Dove diamine sono finiti i Modena City Ramblers, cosa cacchio sta succedendo in questa tempolinea?!

È la goccia che fa traballare la mia visione, il momento nel quale dallo schermo appare il Videodrome che ingoia chi mi sta attorno, una mano deforma lo schermo, esce dall’immagine, m’acchiappa il fegato e ne fa scempio, lasciandomi senza la possibilità di macerare il mio dolore nell’alcol. “La Musica non si ferma e accorcia le distanze”, un paio di balle, mio caro account ufficiale del Primo Maggio.

Se l’idea era quella di darsi l’ambizioso e preciso obiettivo di “raccontare la musica attuale, la scena e il momento positivo che sta vivendo la musica italiana”, perché ci ritroviamo di nuovo con Patti Smith e Sting, Niccolò Fabi e Bugo, perché continuiamo a farlo a distanze siderali di attualità e significato, e soprattutto dove cavolo sono i Modena? Per fortuna, da qualche parte qualcosa si muove.

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È il caso di qualche frammento cantato dai vincitori del contest Next2020 e del romanticissimo intervento di Dardust al pianoforte, filmato dentro al Museo del Novecento a Milano. Ma anche della pulitissima performance di Francesca Michielin o della riproposizione di “Nuovo Cinema Paradiso” di Morricone della Orchestra Santa Cecilia.

È strano, comunque. Mai come quest’anno il “Concertone” ha tradito la sua anima fondante e i suoi principi: nessuna piazza reale, né gente caracollata un po’ a caso per fare festa e urlare proclami casuali contro il capitalismo e l’alienazione del lavoro.

Non c’è stato alcun preambolo ufficiale sulla fantomatica e ormai immaginaria unità sindacale. Niente folk, reggae, musica tzigana, djembe africani, canti, balli, canne, vinaccio e pioggia. Niente cliché.

Solo una serie interminabile di video e performance realizzate, suonate, prodotte, filmate e registrate mai così bene, in un magistero audiovisivo che ha del fenomenale rispetto alla solita media. Eppure, è tutto talmente pulito da mancare di qualsiasi forza che non sia quella di un’identità raccolta intorno all’emergenza e alla pandemia.

Mentre fiotti di sangue pulsante trasudano dal mio corpo e dalla mia anima ormai sfiancati e muti, Alex Britti butta lì una “Hey Joe” di Jimi Hendrix che ha tutta l’aria di essere stata suonata in diretta, a mezzanotte e con tanto di orgia di feedback finale. E io non posso che cedere.

Per la prima volta da sempre, l’immaginario del Primo Maggio è stato sballottato e stranito, la rappresentazione in musica di una lotta ormai più inventata che reale si è trasformata del tutto. È diventata quel che in realtà insegue da decenni: una pura illusione televisiva, senza più sentimento, distantissima dagli intenti ed emozioni iniziali che avrebbero dovuto alimentare un percorso condiviso, quello verso un lavoro e una società degni.

A pochi secondi dalla fine, prima di uno spettrale applauso nel chiuso dello studio, Ambra Angiolini promette che l’anno prossimo suonerà con Lo Stato Sociale: “T’appartengo”. Waddafuck.

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