Dopo le contestazioni e gli scontri legati alla presenza di Salvini a Napoli, riproponiamo questo pezzo di qualche tempo fa.
Ormai è una costante: qualsiasi comizio tenga Matteo Salvini, in qualsiasi città, è sempre accompagnato da contro-manifestazioni di protesta. Il fenomeno ha assunto dimensioni talmente rilevanti che lo stesso Salvini—che ovunque vada è sempre scortato da un imponente apparato di sicurezza, tanto che per proteggerlo dall’inizio dell’anno sono stati impiegati più di ottomila agenti—si è detto “stufo“, chiedendosi se non ci sia “qualcuno” a cui “fa comodo impedire” i suoi comizi.
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L’ultimo episodio rilevante è avvenuto qualche giorno fa a Mestre, dove durante il comizio del leader leghista ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia, con cariche di alleggerimento, lanci di fumogeni e bombe carta. Nonostante ciò, Salvini ha potuto parlare senza problemi e secondo fonti della Questura non ci sono stati danni a persone o cose.
Il più eclatante caso di contestazione è stato però il primo, quello dell’aggressione di Bologna dello scorso novembre, quando alcuni militanti dei centri sociali avevano sfondato il lunotto posteriore della macchina su cui viaggiava il leader leghista dopo che questi aveva cercato di investirli. Solo per citare gli esempi più recenti, poi, qualche settimana fa a Bolzano si è quasi arrivati allo scontro di piazza tra antifascisti e militanti di Casa Pound, mentre ieri a Pesaro il comizio di Salvini è durato solo otto minuti e si è svolto sotto una sassaiola di uova e pomodori.
Dopo tutti questi episodi, la reazione di Salvini è stata sempre quella di invocare la sua famosa “RUSPA”—che nel frattempo ha generato persino un coro da stadio—contro i centri sociali, i ‘kompagni’ e le ‘zecche’ che lo fischiano, gli impediscono di parlare e fanno piangere i bambini.
Alla radice di tutte queste contestazioni c’è il movimento ” Mai con Salvini,” nato per “dimostrare che in Italia esiste ancora un argine alla propaganda populista che viene diffusa da Salvini e Casa Pound in Italia, dalla Le Pen in Francia e da Alba Dorata in Grecia” e cercare di penetrare nel “meccanismo mediatico che mette in rilievo solo i messaggi di Salvini.” Infatti, ogni volta che si verificano, le contestazioni vengono respinte e archiviate come “violenze” dei “fascisti di sinistra,” considerate dannose perché consentirebbero a Salvini di fare la vittima e gli garantirebbero una grande esposizione mediatica, contribuendo così a creargli consenso e a portargli voti.
Solo che le cose, a mio parere, non stanno esattamente così. La stessa retorica di partenza è apertamente insensata, così come l’espressione “fascisti di sinistra.” Si tratta di un tentativo di derubricare i contrasti politici a “tafferugli” o “scontri tra bande” di opposti estremisti—com’è successo, su gran parte della stampa, nel caso dei fatti di Cremona, dove un gruppo di militanti di Casa Pound ha aggredito e mandato in coma un militante dei centri sociali—così da equiparare di fatto la posizione di chi incita all’odio e quella di chi gli si oppone. L’idea di fondo è che la libertà di parola sia sacra e vada tutelata a prescindere, e che impedire a qualcuno di esporre le sue idee, per quanto xenofobe e razziste siano, sia più grave che non propagandare idee di quel tipo.
In realtà, anche le recenti manifestazioni di protesta contro Salvini su Facebook—dall’ inondazione di gattini nei commenti ai suoi post, fino alla segnalazione di massa della sua pagina—sono in tutto e per tutto tentativi di limitare la sua libertà di parola.
Senza considerare poi che non sono le contestazioni a legittimare il vittimismo di Salvini; è tutta la sua comunicazione politica ad essere costruita in questo modo: dagli italiani che sarebbero diventati una minoranza oppressa nel loro stesso paese, alla Lega che sarebbe sotto assedio su più fronti—come se si trattasse di un partito nuovo che non ha mai avuto responsabilità di governo—all’”invasione” di migranti e “presunti profughi” da fermare a ogni costo. Fino ad arrivare alla paradossale querela per chi gli dà del razzista e alla strumentalizzazione del suo ban temporaneo da Facebook.
Una narrazione vittimista che viene sostenuta e appoggiata da più parti: basti pensare alla reazione popolare dopo i fatti di Bologna, in cui lo stesso nesso di causalità tra i due eventi—Salvini che accelera e investe i ragazzi che lo stavano contestando, questi che gli sfondano il lunotto della macchina—è stato invertito.
Se da parte leghista l’accusa che si muove ai contestatori è quella di un generico “fascismo” e di voler limitare la libertà d’espressione di chi la pensa diversamente, le critiche della sinistra moderata si concentrano più sull’opportunità politica delle contestazioni.
Dopo Bologna, molti commentatori di area moderata—in primis Michele Serra su Repubblica—si erano scagliati contro i contestatori, rimproverandoli di aver dato “visibilità” a Salvini. Ma l’argomento del “così gli si dà visibilità” appare decisamente fallace quando si pensa che il leader leghista è sempre in televisione—solo nei primi due mesi del 2015 ha collezionato più di 70 ospitate in varie trasmissioni su tutte le reti—dove è secondo solo a Renzi per minuti di esposizione televisiva. È evidente quindi come Salvini abbia visibilità di suo, a prescindere dalle contestazioni, per gli effetti miracolosi che ha sullo share dei programmi in cui viene invitato.
La presa di difese generale e la solidarietà di massa che scattano ineluttabilmente ogni volta che Salvini viene contestato mostrano come la politica italiana non sia poi così abituata al dissenso—che, tramite la progressiva criminalizzazzione di tutte le sue forme, è stato praticamente cancellato dal discorso politico. Un dispositivo esemplificato bene dalle parole di Maurizio Lupi, secondo cui, “Salvini deve avere tutte le occasioni per attaccarci e dire di noi le peggio cose […] Vietargli di farlo, come sta succedendo in alcune piazze italiane, è antidemocratico e va condannato senza distinguo.”
Così, chi contesta viene automaticamente etichettato come “antidemocratico,” a prescindere dalle motivazioni e dall’oggetto della contestazione—testimoniando il successo della strategia vittimista di Salvini e facendo il gioco delle tendenze e delle ideologie che rappresenta.
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