Il coronavirus è ufficialmente una pandemia e finora ha contagiato un numero di persone dieci volte superiore a quello della SARS nel 2003. Le scuole, le università e i musei in tutto il mondo stanno chiudendo e presto si potrebbero ‘chiudere’ intere città, mentre sempre più persone sono invitate a restare a casa e modificare le proprie abitudini giornaliere.
Non tutti i leader politici hanno agito con la stessa tempestività, ma questi sono momenti perfetti per implementare politiche che in qualunque altra situazione non sarebbero state accolte senza una forte opposizione. Questa sequenza di eventi non riguarda soltanto la crisi scatenata dal coronavirus; è il protocollo che politici e governanti seguono da decenni, conosciuto come “shock doctrine,” un’espressione coniata dall’attivista e autrice Naomi Klein nell’omonimo libro del 2007 (in Italia uscito con il titolo di Shock Economy).
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La storia è una sequenza di “traumi”—i traumi della guerra, i disastri naturali, le crisi economiche—e di cosa succede dopo. Questo dopo è caratterizzato dal “capitalismo dei disastri”: si tratta di provvedimenti apparentemente calcolati per “risolvere” le crisi, e che in realtà portano all’estremo ineguaglianze preesistenti.
Klein dice che il capitalismo dei disastri è già in moto negli USA: in risposta al coronavirus, Trump ha proposto un pacchetto di incentivi da 700 miliardi di dollari che comprenderebbe tagli alle tasse sulle assunzioni (che devasterebbero la sicurezza sociale) e fornirebbe assistenza alle industrie che rischiano di perdere denaro in conseguenza della pandemia. “Non lo fanno perché pensano che sia il modo più efficace di alleviare la sofferenza durante una pandemia,” ha detto Klein, “tengono idee come questa nel cassetto finché non vedono la giusta opportunità di tirarle fuori.”
VICE ha parlato con Klein di come lo “shock” del coronavirus stia dando vita proprio alla catena di eventi che lei aveva descritto più di dieci anni fa in The Shock Doctrine.
L’intervista è stata leggermente modificata per venire incontro a esigenze di sintesi e chiarezza.
VICE: Partiamo dalle basi. Che cos’è il capitalismo dei disastri? Qual è il suo rapporto con la “shock doctrine”?
Naomi Klein: La mia definizione di capitalismo dei disastri è molto diretta: indica il modo in cui le industrie private trovano il modo di trarre profitto dalle crisi su larga scala. Trarre profitto dai disastri o dalle guerre non è un concetto nuovo, ma è diventato davvero importante durante l’amministrazione Bush dopo l’11 settembre, con l’annuncio di una crisi securitaria senza fine e la sua successiva privatizzazione—che comprende la sicurezza di stato interna, privatizzata, ma anche l’invasione e l’occupazione di Iraq e Afghanistan, altrettanto privatizzate.
La “shock doctrine” è la strategia politica che utilizza crisi di grande scala per promuovere politiche che accrescono le disuguaglianze, arricchiscono le élite e sabotano tutti gli altri. In periodi di crisi, le persone tendono a concentrarsi sulle emergenze quotidiane per sopravvivere alla crisi, qualunque essa sia, e tendono a riporre troppa fiducia in chi è al potere.
Da dove viene questa strategia politica?
Nasce come risposta al New Deal di Roosevelt. [L’economista] Milton Friedman pensava che fosse andato tutto male in America con il New Deal: in risposta alla Grande Depressione e alla Dust Bowl [una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti dal 1931 al 1939 e causarono gravi danni economici], si è formato un governo molto più attivo, con la missione di risolvere direttamente la crisi economica del momento creando posti di lavoro statali e offrendo aiuti diretti alla popolazione.
Se sei un economista che sostiene il libero mercato, puoi capire che il fallimento dei mercati apre la strada a un naturale cambiamento in senso progressista, molto più delle politiche di deregolamentazione che favoriscono le grandi aziende. La shock doctrine è stata inventata per impedire alle crisi di sfociare in politiche progressiste. Le élite politiche ed economiche vedono in un periodo di crisi l’opportunità di realizzare politiche impopolari, volte a distribuire in maniera ancora più diseguale la ricchezza.
In questo momento negli USA ci troviamo nel mezzo di diverse crisi: una pandemia, una mancanza di infrastrutture per gestirla e il crollo del mercato azionario. Come si inseriscono tutti questi elementi nello schema che hai costruito in The Shock Doctrine?
Lo shock è il virus in sé. Ed è stato gestito in maniera da massimizzare la confusione e minimizzare la protezione. Non penso che sia un complotto, è solo il modo in cui il governo USA e Trump hanno gestito questa crisi, ovvero in maniera completamente errata. Trump finora l’ha trattata non come una crisi di salute pubblica, ma come una crisi di percezione e come un potenziale problema per la sua rielezione.
È il peggio che potesse succedere, specialmente in combinazione con il fatto che gli USA non hanno un programma sanitario e la protezione che offrono ai lavoratori è misera. Questa combinazione di forze ha dato vita al massimo livello di shock. Verrà sfruttato per tenere a galla le stesse industrie nel cuore delle crisi più estreme che ci troviamo ad affrontare, come quella climatica: l’industria aerea, quella del gas e del petrolio, o quella delle crociere.
È già successo prima di oggi?
In The Shock Doctrine ne parlo in riferimento al post-uragano Katrina, quando i think tank di Washington come la Heritage Foundation si sono incontrati e hanno presentato una lista di richieste “pro-libero mercato.” Possiamo stare certi che incontri di questo tipo si stiano tenendo anche oggi—anzi, la persona a capo del gruppo Katrina era [l’attuale vicepresidente USA] Mike Pence. Nel 2008, l’abbiamo visto con il primo grande salvataggio delle banche, quando molte nazioni hanno consegnato degli assegni in bianco alle banche, che hanno prosciugato migliaia di miliardi di dollari. Ma il vero prezzo è stato pagato con l’austerity economica [cioè i tagli ai servizi sociali]. Quindi non si tratta solo di quello che succede in questo momento, ma di come la società ne pagherà il prezzo in futuro, quando scadrà la cambiale che oggi non sa di aver firmato.
C’è qualcosa che possiamo fare per ridurre le conseguenze negative del capitalismo dei disastri che stiamo già vedendo in reazione al coronavirus? Siamo in una posizione migliore o peggiore rispetto ai tempi dell’uragano Katrina o dell’ultima grande recessione globale?
Quando veniamo messi alla prova da una crisi possiamo regredire e sgretolarci oppure crescere e accedere a riserve di forza e pietà che non sapevamo di avere. Questa è una di quelle prove. Il motivo per cui io coltivo la speranza di una nostra evoluzione è che—a differenza del 2008—oggi abbiamo una vera alternativa politica che propone una risposta diversa alla crisi che va alla radice della nostra vulnerabilità, e un movimento politico più grande a sostenerla.
È su questo che si basa tutto il lavoro che è stato fatto per il Green New Deal: prepararsi a un momento come questo. Non possiamo perdere il coraggio; dobbiamo lottare più che mai per il diritto universale alla sanità, il diritto universale all’assistenza per l’infanzia e l’indennità di malattia—è tutto strettamente connesso.
Se i nostri governi e le élite mondiali sfrutteranno anche questa crisi per i propri interessi, cosa possono fare le persone comuni per prendersi cura le une delle altre?
Quello che un momento di crisi come questo rivela è la nostra porosità gli uni nei confronti degli altri. Lo vediamo coi nostri occhi: siamo molto più interconnessi di quanto vorrebbe farci credere il nostro brutale sistema economico.
Possiamo pensare di essere al sicuro quando possiamo permetterci una buona assistenza sanitaria, ma se la persona che prepara i nostri pasti o impacchetta le nostre merci non ha lo stesso standard e non può permettersi di pagare un test—per non parlare di stare a casa in quarantena preventiva perché non riceve alcuna indennità di malattia—non saremo mai al sicuro. Se non ci prendiamo cura di tutti, nessuno è al sicuro. Siamo tutti collegati.
Diversi modi di organizzare la società attivano diverse parti della nostra personalità. Se sei in un sistema che sai che non si prende cura delle persone e non distribuisce risorse in maniera equa, allora la parte di te che punta ad accumulare risorse per sé sarà stimolata. Quindi devi essere consapevole e pensare a come, invece di accumulare risorse e occuparti di te stesso e della tua famiglia, puoi aprirti alla condivisione con chi ti è vicino e prestare assistenza a chi è più debole.
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