Salute

Ho frequentato il corso di Yale sulla felicità che promette di aprirti gli occhi

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“Caro Studente,
Congratulazioni per il tuo viaggio! Nelle prossime settimane capiremo come la psicologia può insegnarci a rifiorire, a sentirci più felici ed essere meno stressati. Partendo da alcune evidenze scientifiche metteremo in pratica metodi sperimentali per cambiare atteggiamento e vivere una vita più appagante.”

La Dott.ssa Laurie Santos mi irretisce così: con una lettera di benvenuto e un video di 30 secondi in cui presenta se stessa, il suo profilo professionale e il corso The Science of Well-being, il corso sulla felicità di Yale diventato tra i più gettonati nella storia dell’università, digitalizzato e reso disponibile in forma gratuita sulla piattaforma di e-learning Coursera.

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Per l’occasione, Laurie Santos insegna dal suo salotto. È seduta su una poltrona che mi sembra di aver già visto da Ikea e che avrei voluto comprare, convinta del fatto che averla in casa mi avrebbe fatto stare bene. Immagino che la stanza odori di incenso al sandalo, di caffè solubile e degli umori dei 25 studenti del Silliman College di Yale che siedono davanti a lei, cervelli prestati a un programma pilota per la didattica a distanza.

Insomma, è un po’ come se fossimo dentro il backstage di un ipotetico lockdown, anche se in realtà siamo agli inizi del 2018. All’epoca, gli spazi di una delle più prestigiose e competitive università americane—dove il disagio psichico e l’abuso di psicofarmaci sono documentati—non erano più sufficienti a contenere la fame di felicità dei propri iscritti; così “The science of Well-Being” è approdato online.

Due anni dopo, in piena emergenza sanitaria da Covid-19 e detenzione casalinga forzata, gli utenti di quella masterclass virtuale sono cresciuti di oltre un milione, passando da 1,3 milioni iscritti a fine marzo ai 2,5 di oggi. Tra loro c’ero anche io.

Cos’è la scienza della felicità?

La scienza della felicità è una materia giovane, nata dalla convergenza di scienze consolidate (psicologia, biologia, neuroscienza, fisica quantistica, economia, sociologia), ricerche di frontiera che sconfinano nello spiritualismo, filosofia e discipline orientali. In ambito psicologico, lo studio della felicità ha dato origine al movimento della Psicologia Positiva, le cui attività si sono sviluppate a partire da due prospettive di base: la visione edonica, che intende la felicità come stato di benessere individuale legato a sensazioni ed emozioni positive, e la visione eudaimonica, che integra la dimensione sociale e guarda alla felicità come il risultato di un processo di interazione virtuosa tra la persona e il mondo.

Il padre putativo della Psicologia Positiva è lo statunitense Martin Seligman, che ha messo a punto metodologie e modelli per comprendere quali e quanti elementi siano in grado di influenzare la psiche e aiutare l’individuo a raggiungere una vita piena di soddisfazioni, significato e—naturalmente—gioia. Quel percorso è stato poi approfondito da Mihaly Csikszentmihalyi, Ed Diener, Barbara Lee Fredrickson, Daniel Gilbert, alcuni dei quali già conoscevo grazie al mio feticismo per i Ted Talk. E risalendo nell’albero genealogico dei figli della psicologia positiva, arriviamo alla coprotagonista del mio racconto: Laurie Santos.

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Nel ragionare sul cognitive bias, Santos ricorre all’illusione di Muller Lyer, che consiste nella percezione di una linea più lunga o più corta a seconda che essa termini con la presenza di due segmenti inclinati.

Cosa insegna Laurie Santos?

In dieci moduli che corrispondono ad altrettante settimane di lezioni frontali e compiti a casa, The Science of Well-Being insegna che fondamentalmente tutto quello che credevamo di sapere in merito alla gestione della nostra salute mentale è sbagliato. Così come sono sbagliati gli obiettivi che ci prefissiamo quando pensiamo a quello che potrebbe renderci più felici.

Dopo soli quattro minuti di corso, Laurie Santos entra a gamba tesa: avere un buon lavoro, guadagnare un sacco di soldi, trovare un presunto compagno di vita, avere un corpo che rispecchia determinati canoni di bellezza e sensualità, non vi renderà persone felici. In pratica, complici le divinità pagane del turbo-capitalismo, ci stiamo ingannando. Le nostre convinzioni più profonde, cui ci aggrappiamo come fossero dogmi, sono condizionate da concetti non sempre sostenuti dalla logica. Riconduciamo le informazioni in nostro possesso a una dimensione soggettiva che spesso non ha legami con l’evidenza empirica. Le nostre analisi mancano di oggettività, siamo soggetti a errori di valutazione causati dal pregiudizio, altrimenti detti cognitive bias.

Da Milano a Yale abbiamo tutti gli stessi problemi, come testimoniano gli interventi degli studenti della masterclass nelle Q&A che chiudono ciascun modulo. Ambiamo a lavori che possano garantire entrate cospicue e una rete di conoscenze che contano, ma poi odiamo tutti e ci ammaliamo di stress perché non abbiamo tempo di goderci i nostri soldi o amici con cui condividere i nostri successi. Dipendiamo dal gradimento social e aspiriamo a modelli di bellezza e salute che ci costringono a diete e stili di vita dall’effetto controproducente. Vogliamo innamorarci ma siamo intrinsecamente terrorizzati dall’impegno e dai sacrifici di una relazione sentimentale esclusiva. Viviamo nell’era della fake positivity, immersi in una cultura dell’ottimismo a tutti i costi, che ci vorrebbe sempre sorridenti e pieni di luce come l’Instagram di Chiara Ferragni.

Basterebbe avere un approccio più critico ai modelli aspirazionali proposti dai social, per capire quanto siamo in errore.

Cosa si impara nel corso sulla felicità di Yale?

Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, la felicità non è un panino al fast food. Secondo il modello proposto da Sonja Lyubomirski in The How of Happyness, spiega Santos, la felicità dipende al 50 percento da fattori genetici, al 10 dalle circostanze della vita e al 40 da azioni, abitudini, intenzioni. Dunque, se vuoi essere felice ti devi sbattere; la felicità è innanzitutto fare un patto con se stessi, poi sforzarsi di rispettarlo. Per aiutarci nel compito, The Science of Well-being” indica precisamente i passi da compiere:

Settimana 1 – Prendi nota dei tuoi punti di forza e misura il tuo livello di felicità con il test PERMA (acronimo di Positive emotions, Engagement, Relationships, Meaning, Accomplishment).
Settimana 2 – Cerca di capire, grazie alla scienza, perché la felicità non può essere prevista come il meteo. Ogni sera, prima di andare a letto, pratica la gratitudine: scrivi cinque cose belle che ti sono capitate durante il giorno.
Settimana 3 – Smonta i cognitive bias, individuando i meccanismi alla base dei più comuni errori di valutazione. Cerca di essere dolce, gentile e ben disposto verso il genere umano. Parla con uno sconosciuto.
Settimana 4 – Distruggi i cognitive bias con abitudini in controtendenza. Dai valore alla pratica, con almeno sette ore di sonno e mezz’ora di esercizio fisico al giorno per minimo tre volte la settimana.
Settimana 5 – Riscopri quello che ti fa stare veramente bene, considerando che l’appagamento non viene dall’apprezzamento degli altri, ma dalla percezione individuale della performance. Quando riconosciamo di avere dato il nostro meglio, bilanciando competenze e abilità, allora saremo soddisfatti. Il compito è meditare e scrivere una lettera di ringraziamento a noi stessi.
Settimana 6 – È tempo di cambiare stile cognitivo. Per farlo, devi stare nel presente. Qui si richiede uno sforzo di concentrazione massima, perché la mente umana ha la tendenza a vagare. Il nostro cervello è programmato per percepire il presente e anticipare il futuro. Si tratta di un meccanismo adattativo importante, ma la capacità di immaginare quello che non sta accadendo ha un notevole costo emotivo: la FOMO.
Settimana 7 – Fai tua la sapienza di Gabriele Oettingen, autrice di Rethinking Positive Thinking: Inside the New Science of Motivation, con lo strumento di self-help WOOP. Prendi carta e penna, individua un desiderio (Wish), stabilisci un obiettivo (Outcome), individua potenziali ostacoli (Obstacle), fai un piano di azione (Plan) contemplando una strategia If-Then. Se ad esempio vuoi smettere di fumare, concorda un’azione da fare (10 squat, la manicure, il puntocroce) ogni volta che ti viene voglia di una sigaretta (caffè, amico fumatore, aperitivo, telefonata non gradita).
Settimana 8 – Scegli uno sponsor, come gli alcolisti anonimi: condividere con qualcuno il tuo progetto per la felicità, ti aiuterà a restare focalizzato sulla ricerca.
Settimana 9 – Fai il punto della situazione, per capire se potrebbero esserci situazioni in grado di agevolarti nello svolgimento del compito. Crea un ambiente favorevole alla routine della presa bene.
Settimana 10 – Dopo i vari aggiustamenti, dovresti constatare che qualcosa è cambiato. Fai di nuovo il test della settimana 1 e verifica il tuo livello di felicità.

Poi ricomincia da capo.

Quindi, come capisco se sono felice?

Ho seguito le lezioni prendendo appunti, ho approfondito la bibliografia del corso, ho fatto i compiti a casa spalmando i task delle dieci settimane in dieci giorni, come quelli che studiano al Cepu.

Ho cercato di essere più gentile con mia madre, nonostante da due mesi e mezzo siamo chiuse in casa in stile Sandra e Raimondo; ho sorriso a quei rari sconosciuti che ho incontrato durante le commissioni urgenti, nonostante la mascherina e le bestemmie in sordina; ho piantato un albero, credendo in un pollice verde che non ho; ho praticato yoga quattro volte la settimana; non ho toccato alcol, per dimostrare a me stessa una grande virtù di autocontrollo; ho voluto bene persino a Chiara Ferragni, perché alla fine è solo una donna e suo figlio è solo un bambino che mi fa spaccare dalle risate.

Sono stata felice per un po’, poi mi sono assuefatta al mio stesso buonismo e tutto è tornato come prima. Nel frattempo l’Italia transitava dalla fase 1 alla fase 2, la mia verve polemica si risvegliava brutalmente, ed è stato lì che ho capito. Ho capito che la felicità è solo un’attitudine e nessuno, né Yale né Gwyneth Palthrow, può insegnarti a stare bene. La vita è fatta così: ci sono momenti di gioia e di esaltazione per nulla; ci sono dolori che alla fine saprai apprezzare; ci sono bicchieri mezzi pieni, mezzi vuoti e calici infranti su promesse che, come tutto, come noi stessi, avevano una data di scadenza che non volevamo vedere.

The Science of Well-being mi ha dato l’occasione di fermarmi a riflettere su tutto questo e se è vero che la felicità non si può comprare, è altrettanto vero che un corso gratuito è un’ottima scusa per iniziare a costruirsela da soli.

PS: Al primo test PERMA ho totalizzato 2,34; al secondo, dopo il corso, 3,3. Su una scala da 1 a 5 sono ancora, tecnicamente, triste. Ma mi sento decisamente una persona migliore.

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