Gli anziani sono dappertutto. In effetti, non è certo una novità ribadire che in Italia numericamente superino di gran lunga i giovani: 157 ogni 100 secondo l’Istat. Eppure, e per quanto mi piaccia l’idea di essere vecchio, non mi capita quasi mai di sentire cosa pensano del mondo, dell’Italia o di me.
Dato che ultimamente se ne è discusso soprattutto in riferimento alla politica—con la storia (poi smentita e ridiscussa) dei “vecchi che decidono per i giovani” del dopo Brexit—ho pensato di provare a parlare direttamente con loro. Pensavo che mi sarebbe bastato intervistare quelli in giro per Milano. Del resto, con una macchina fotografica al collo non sarei certo passato per una persona sospetta. Mi sbagliavo.
In un’ora di tentativi falliti a causa dei miei capelli, della mia camicia e delle mie domande ho raccolto solo occhiatacce. Prima di mollare la presa sotto il sole cocente ho quindi tentato il tutto per tutto dirigendomi in un luogo di aggregazione per anziani nei pressi di Porta Venezia. Lì la situazione è cambiata.
Mi hanno fatto sedere a un tavolo, mi hanno permesso di giocare a briscola e alcuni hanno accettato di essere registrati. Farli restare nei binari delle domande non è stato semplice.
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VICE: Che cosa pensa dei giovani di oggi?
Ettore: Secondo me non siete più in grado di prendere in mano la situazione. Nonostante siate più svegli e abbiate studiato molto più di noi, a livello pratico siete completamente impreparati. Dovete impegnarvi.
Io, nel mio piccolo, mi sono sempre interessato alle lotte politiche. Da giovane mi sono tesserato al Pci, andavo alle riunioni, dicevo la mia. Eravamo un gruppo unito. Dovete smetterla di essere pigri e unirvi per la qualsiasi—per aprire un’attività, aiutarvi col lavoro, magari solo per discutere delle idee. Se non lo fate voi, chi lo deve fare? Io? Ma io c’ho quasi 100 anni ormai.
Secondo lei riusciremo ad arrivare alla pensione?
Se lavorate sì, se non iniziate a lavorare la vedrete col binocolo. Devi pensare che prima della guerra nemmeno se ne parlava della pensione. Poi, dopo abbiamo iniziato a chiedere di poter pagare i contributi, per avere di che vivere appena smesso di lavorare. Noi l’abbiamo voluta ardentemente e insistentemente. Ed è quello che oggi dovreste gridare a gran voce anche voi.
Qual è il consiglio che vuole dare ai giovani?
Di unirsi, di dialogare, e non crogiolarsi in questo nuovo individualismo moderno.
Non m’importa di consigliare un partito piuttosto che un altro, quello spetta a voi. Però mi preme dire che dovrete andare alle riunioni. Che dalle chiacchiere nascono le grandi idee. E se ci sono tanti che la pensano come te, il discorso va avanti, e alla fine le cose potrebbero concretizzarsi davvero.
VICE: Secondo lei, la sua generazione ha avuto più possibilità lavorative della nostra?
Ines: Per me non è una questione generazionale, ma di buona volontà. Se uno si impegna, alla fine il lavoro lo trova. Vi dovete mettere bene in testa che dovete fare la gavetta come abbiamo fatto noi anziani. Dovete adattarvi, fare tanti lavori. E se il lavoro non vi garba, dovete comunque svolgerlo e accettarlo. Voi oggi, invece, andate dritti a guardare lo stipendio, e se non vi va bene, piuttosto non fate niente. Ma è proprio l’impostazione che vi è stata data, non è colpa vostra.
Che cosa intende?
Ti spiego. Tralasciando il fatto che abbiamo vissuto la guerra, anche noi abbiamo avuto i genitori, ma siamo cresciuti in maniera totalmente differente. Vi hanno cresciuto con troppe cose, con troppe attenzioni, con troppe aspettative. I vostri genitori vi hanno spianato la strada, ma poi vi siete resi conto che le cose là fuori non funzionano così. È la stessa società che vi ha cresciuto, che vi si sta rivoltando contro.
Ammesso che uno accetti il lavoro e le condizioni non del tutto vantaggiose, deve essere comunque un lavoro che permetta di pagarsi l’affitto.
Se non basta, fai un lavoro in più. Vai a fare il cameriere, vai a scaricare le cassette. Oggi c’è una gioventù che non capisco. Non ci voglio nemmeno pensare, ma so che è diventato un mondo balordo questo.
Arturo*, 73 anni – non ha voluto rilasciare la sua identità perché voleva dire davvero come la pensava.
VICE: Che cosa la infastidisce dei giovani oggi?
Arturo: Partendo dal presupposto che comprendo che siamo di due generazioni diverse e abbiamo ricevuto educazioni completamente diverse, devo dire che certi canoni estetici giovanili mi sono impossibili da comprendere. Vorrei spiegato perché i ragazzi se ne vanno in giro con i tatuaggi pittati ovunque e i pantaloni tagliati. O ancora l’uso degli orecchini. Sappiamo anche noi che se lo metti a sinistra vuol dire una cosa e se lo metti a destra, un’altra. Ma quando i ragazzi li indossano in entrambe le orecchie o al naso?
È più che altro una moda…
Una moda? Ai nostri tempi c’era la moda vera, quella del macho. Il modello era il ragazzo prestante, forte, virile. Adesso, certe volte non capisco se un ragazzino è un maschio o una femmina. E le ragazze: ai miei tempi dovevi sposarti per fare certi numeri. Oggi, invece, non so.
Anche sul lavoro siamo diversi: io ho iniziato a lavorare a 14 anni, voi invece a 20-30 anni siete ancora con la mamma e il papà perché sennò non sapete dove andare.
Ma qualche nota positiva la riscontra tra i giovani?
Ma mica ho detto che a livello comportamentale non siete adatti alla vita. Siete composti, perfetti, laureati, sapete parlare. Solo che siete stati educati in maniera eccessivamente differente. Noi sessanta, settant’anni fa eravamo abituati a vivere con niente, voi invece vorreste sempre di più. Ecco perché alla fine alcuni di voi si fanno fregare dalle mafie, e vi drogate.
Mimmo, 76 anni.
VICE: Che cosa pensa dei giovani di oggi?
Mimmo: I giovani sono la vera linfa della società e ho piena fiducia in loro. Tanto se la si pensa diversamente, a cosa porta? E poi i giovani sono più ricettivi, attenti e istruiti delle vecchie generazioni che se ne lamentano. Io l’ho visto coi miei figli. E per quanto la situazione attuale sembri disastrata, sono convinto che finirà bene anche per i miei nipoti.
Quindi crede che ci siano più difficoltà per accedere al mondo del lavoro rispetto al passato?
L’Italia—l’Europa in generale—non sta affrontando un momento facile, però non vuol dire che per questo bisogna mollare la presa. Dipende tutto dalle prospettive iniziali. Quando ho iniziato a lavorare facevo tre lavori diversi ogni giorno. I giovani dovrebbero impegnarsi di più soprattutto al via, senza bloccarsi perché non trovano subito il lavoro dei sogni; per quello arriverà il momento giusto, e se non arriva si potrà pagare comunque l’affitto.
Che consigli vuole dare ai giovani?
Io se fossi in loro inizierei a rimboccarmi le maniche fin da subito, anche durante l’università. Dal canto mio, mi sono fatto il culo per sessant’anni e sono da poco andato in pensione. La strada è lunga, per niente facile, e i genitori che coprono le spalle non durano per sempre.
VICE: Secondo lei c’è differenza tra le possibilità lavorative di ieri e di oggi?
Maria Barbara: Secondo me le possibilità iniziali sono simili, ma sono totalmente cambiati i presupposti del durante. Mentre prima trovavi un impiego ed era il tuo lavoro per sempre, oggi per voi giovani mantenerne uno è un’impresa. Vi fanno firmare questi simil-contratti di sei mesi, un anno, sottopagati. In questo senso la nostra generazione è stata facilitata, ma comunque evitavamo di farci prendere in giro.
Pensa che abbiamo troppe distrazioni?
Esatto. Avete sempre in mano questi telefonini e le facce fisse sullo schermo. Non riuscite più a comunicare veramente, se dovete dire qualcosa di più serio o delicato lo fate al massimo coi cellulari o al computer, non parlate più tra di voi davvero. Senza contare che avete questa voglia di provare, provare, provare, per esempio la droga. Lo dico con affetto, ma ogni tanto credo che vi “manchi un venerdì”.
Mi ha detto però che in fin dei conti pensa che alla fine arriveremo anche noi alla pensione. Pensa che il ricambio nel mondo del lavoro sia troppo lento?
È sicuramente una delle varianti in ballo, oggi si lavora troppo a lungo. Si dovrebbe far spazio alle nuove leve. Per esempio, io facevo la maestra, e per le leggi dell’epoca, sono potuta andare in pensione dopo 28 anni. Forse un po’ troppo poco, però il sistema ancora reggeva. Secondo me, l’età perfetta per andare in pensione è 60 anni, per fare in modo che anche i giovani ne potranno avere una.
Se fosse al posto nostro cosa farebbe oggi?
Quello che ho fatto già fatto, dire la mia. Cosa che fate sempre meno. Perché se sei disinteressato, poi dovrai tenerti la miseria che hai in mano.
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