Cosa pensano le ragazze di “Cosa pensano le ragazze”

Un video del blog.

Uno dei capisaldi del giornalismo contemporaneo è la certezza del commento di Massimo Gramellini: ogni volta che succede qualcosa di scomponibile nei fattori 2016-tragico o inaspettato-risultante sociologica mi siedo e aspetto l’editoriale in cui Gramellini tratteggerà impressionisticamente l’accaduto (la mappa elettorale di Roma è “un mare grillino in tempesta che circonda una zattera rosé”; il bambino di Padova è “Gentile Signor Bambino”). La cosa ok è che in fin dei conti Gramellini parla per sé—siamo liberi di leggerlo o non sopportarlo, ma lì finisce senza troppi pericoli. Di Concita De Gregorio con la sua rubrica “Cosa pensano le ragazze”, invece, non si può dire lo stesso.

Casomai non aveste aperto la home di Repubblica negli ultimi mesi, Cosa pensano le ragazze è un blog gestito dalla ex direttrice dell’Unità e firma del quotidiano, la cui punta dell’iceberg è impaginata a cuneo tra gli articoli principali e la colonna destra dell’homepage. Prende vita dal libro omonimo in cui Concita ha raccolto, insieme a dieci collaboratrici, “cosa desiderano. Come si divertono. Cosa le rende felici e cosa le fa soffrire. Cos’hanno in testa, come scelgono e perché” mille ragazze di oggi—cito dal manifesto dell’iniziativa comparso l’8 marzo, in corrispondenza della festa della donna, su Repubblica.

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Ai più speranzosi il titolo potrebbe sembrare volutamente semplificato, con quel procedimento noto agli editor per cui Leopardi ha chiamato circa 4000 pagine di appunti in greco, latino, francese e note filologiche Zibaldone [zabaione, mischione]. In questo caso, però, la verità è che la somma dei vari addendi semiotici di Cosa+pensano+le+ragazze risolve pienamente il significato del blog: “ragazze” con nessuna specificità oltre a quella di avere una vagina dicono “cosa” “pensano” su—e cito sempre dal manifesto—tutto, ma soprattutto “l’amore”.

Ora, sono passati tre mesi esatti dall’inizio del progetto, e giorno dopo giorno in homepage abbiamo visto comparire titoli come “Far sesso e fare l’amore non sono la stessa cosa“; “che cos’è la liberta?”; “quando ho paura so come fare, il mio segreto“; “nn so chi sia Simone De Beauvoir, ma nn penso che sia uno youtuber” sotto cui, una volta aperta la pagina, occhieggiano articoli o video in cui una ragazza per volta spiega di essersi innamorata, di non voler fare l’attrice ma la biologa, di fregarsene di chi è una delle (per quanto discutibile, per quanto passata) prime femministe, di aspettare una coppia di gemelli maschi a cui, forse, avrebbe preferito almeno una femmina perché le donne fra di loro si capiscono.

Sono sicuramente questioni che ogni donna si trova ad affrontare più o meno, presto o tardi nella vita, ma sono anche le questioni sui cui non baserei un blog dedicato alle ragazze. Aprire—anzi, avere in concessione—un blog come fosse il diario segreto di una generazione, cercare di fare di una serie di pensierini sull’amore e il futuro e il valore dell’errore e dell’essere casalinga oggi il Piccole donne crescono del 2016 è un’operazione non solo inutile ai fini di scoprire che ruolo hanno—se diverso da quello maschile—nella nostra generazione le donne, ma anche dannosa.

Oltretutto, offrire una colonna alle ragazze per il semplice fatto che sono ragazze e in quanto tali devono essere ascoltate e comprese è una delle derive più gravi della legge di internet per cui sono tutti importanti, legittimati e anzi richiesti di aprir bocca anche quando non hanno niente da dire. E il fatto che possano farlo perché sono donne mi fa rabbrividire. Come persona che ha ammorbato le proprie amiche allo sfinimento sui suoi fidanzati, sulle sue paturnie, sui suoi desideri per il futuro: non tutto vale la pena di essere ascoltato.

È lo stesso errore delle quote rosa: se pensate come passo avanti in una società che avrebbe forse altrimenti perpetuato un modello di potere maschile a livello burocratico e istituzionale, non si può certo dire che siano una garanzia di valore. Se la parità di genere è “mettiamoci delle quote rosa e poi riempiamole come ci capita” stiamo freschi. Se per innalzare un inno alla donna moderna abbiamo avuto in concessione un blog in cui dobbiamo segregarci a parlare di, boh?, qualunque cosa ci venga in mente purché colpisca le più basse corde di quel femminilismo—quello che corrisponde al fare gruppo maschile intorno alla squadra di calcio—io in quanto donna moderna non mi sento solo non rispecchiata, ma anche offesa.

Non dico che le donne in questa rubrica non abbiano un valore in sé. Le ragazze moderne tutte quelle robe sull’amore vero e i figli e il vestito da mettere al matrimonio le pensano davvero—tant’è che ci sono mille persone che ci pensano, e molte di più che le leggono. Ma se nulla, come si dice anche nell’introduzione al progetto di Concita, è cambiato nelle donne a livello emotivo rispetto a vent’anni fa, perché in una rubrica dedicata alle ragazze dobbiamo parlare solo di questo? È parziale e anche un po’ frustrante: certo che l’amore è importante, ma il fatto che io cerchi di essere una passabile padrona di casa quando ho ospiti non vuol dire che farei di L’abc della sposina o La perfetta padrona di casa un manifesto della mia generazione.

Quello che in questi anni avrebbe dovuto cambiare, credo, sono le modalità in cui le donne si rapportano alla società. Mi auguravo insomma che non ci fosse più bisogno di un blog in concessione in cui parlare—senza ironia, senza tentativo di coinvolgimento dell’opinione altrui—delle donne come prima e anzitutto ragazze.

Se una persona, com’è Concita De Gregorio, ha un ruolo nel giornalismo e nella vita culturale italiana, da questa persona non mi aspetto che favorisca una ghettizzazione delle donne e la reiterazione dello stereotipo delle ragazze che pensano soprattutto all’amore, soprattutto ai figli, che rifuggono gli stereotipi dell’attrice. Per farvi capire perché questa cosa mi urta lo metterò al maschile: il corrispettivo di un luogo dall’anima in cui i maschi in senso degregoriano si ritrovano tutti a cuore aperto è il paginone centrale di Playboy. Pensate di fare un blog sulla stessa linea in cui i ragazzi parlano di calcio, figa, dell’amico scemo che si sposa e di quello che li ha traditi e di orologi e macchine e poi andate a dire che quelli sono i maschi.

In quanto uomini vi sentite stigmatizzati e non corrispondenti—almeno non in quello che vorreste far vedere a una nazione!—a questo stereotipo? Adesso sapete come ci sentiamo noi tutte le mattine quando—per lavoro, sia chiaro—apriamo Repubblica.

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