Anche se non l’hai visto, la trama di The Casting Couch non ti suonerà particolarmente. In questo film erotico una giovane entra in uno studio di produzione per un provino, e in men che non si dica si ritrova a dover far sesso con il produttore per assicurarsi una parte. È una cosa vista e rivista, ed è tanto diffusa nel porno quanto a Hollywood, da dove trae il suo nome. È un film erotico muto, in bianco e nero, girato intorno al 1924.
Il film è uno ‘stag movie’, un genere di porno diffuso tra la nascita del cinema e l’epoca d’oro del porno, fatto di produzioni mute in bianco e nero che duravano tra i cinque e i dieci minuti, in cui una struttura narrativa incorniciava penetrazioni, close-up, e talvolta rapporti orali ed eiaculazioni che avvenivano un po’ a caso.
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Si pensa comunemente che l’apertura sessuale sia avvenuta in una traiettoria lineare, dice Albert Steg, collezionista di stag movie. Perciò questi prodotti anni Venti lasciano un po’ straniti. Eppure questi film non sono ‘eccezioni’. Sono una finestra importante sulla sessualità e le relazioni sociali dell’inizio del Novecento.
Spesso gli stag film vengono confusi con i primi film con scene di nudo e contenuti sessuali. Ma sono molto più di questo, dice lo storico dell’intrattenimento Joseph Slade. Gli stag film erano illegali, e venivano prodotti anonimamente fuori dal circuito degli studios. Si ipotizza che il primo sia databile al 1915, ma nessuno sa realmente quali siano le origini del genere. Si è diffuso negli anni Venti all’emergere delle prime cineprese e proiettori per il mercato di massa. Gli imprenditori, con l’aiuto della criminalità organizzata, giravano fuori dalle città americane e poi facevano arrivare le pellicole nelle città dove club di soli uomini come il Rotary o confraternite universitarie organizzavano ‘stag party’. Era un modello solido—così solido che i producer non hanno sentito alcun bisogno di innovarlo per decenni.
Negli anni Cinquanta, pellicole 8mm e telecamere più piccole rendevano possibile girare filmini casalinghi e localizzare le produzioni e le proiezioni, e l’aspetto comunitario della fruizione è andato perso. Le convenzioni stag hanno cominciato a essere abbandonate negli anni Sessanta. Hanno cominciato a essere installate cabine nei negozi ‘per adulti’ in cui venivano proiettate in loop scene di sesso, e poi arrivarono suono e colore. Nel 1968 la scena stag era ormai completamente morta, rimpiazzata dai lungometraggi porno con storie più ricche e l’introduzione delle convenzioni attuali, come rapporti sessuali ‘narrativi’ al posto della randomica comparsa di scene di sesso.
Dieci anni dopo, degli stag non si ricordava più nessuno. Tranne gli storici. I ricercatori Al Di Lauro e Gerlad Rabkin sostenevano nel 1976 che queste pellicole fossero documenti di un passato amatoriale gioioso e autentico. Rappresentavano un capitolo vitale nell’evoluzione del porno moderno (molti registi di stag sono poi diventati registi porno negli anni Settanta) e una finestra sul mondo del sex work, sul ruolo delle donne all’interno di esso, e sui costumi.
Ma sviscerare il fenomeno non è facile. Esiste solo un archivio importante di stag film, voluto dal pioniere della ricerca sulla sessualità Alfred Kinsey nella Indiana University Bloomington. Dal 1948 al 1956, Kinsey e il suo team hanno comprato copie di queste pellicole ogni volta che potevano, trascrivendo informazioni sulle persone che gliele avevano vendute. Avevano anche fatto accordi con la polizia di tutto il paese perché gli mandassero le copie sequestrate durante i raid. Secondo l’amministratore Shawn C. Wilson, l’archivio raccoglie oggi 1600 film.
Wilson sostiene che l’archivio Kinsey sia in buone condizioni: le pellicole sono ben tenute, sono tutte state digitalizzate, e visitatori e accademici le consultano frequentemente. Dice anche che la collezione è in crescita, visto che molti mandano i video che reperiscono—che so—nell’armadio del nonno. Ma Slade e altri storici che dipendono da questo archivio per le proprie ricerche lo descrivono come poco accessibile, e dicono che molti film sono talmente degradati da essere difficilmente fruibili. Da parte sua, la University of Indiana sembra tanto orgogliosa di Kinsey quanto a disagio con questa collezione, che ha celebrato solo una volta, nel 2003, in occasione del 50esimo anniversario dell’uscita del Rapporto Kinsey.
Linda Williams, studiosa della University of California, Berkeley, specializzata in porno e autrice di Hard Core del 1989, fa anche notare che “Kinsey non sceglieva i film [della sua collezione] perché fossero rappresentativi o della pornografia” o delle pratiche sessuali del tempo. Era un collezionista senza scrupoli, perciò è difficile considerare il suo archivio una raccolta affidabile da un punto di vista storico.
Slade dice che anche il San Francisco’s Institute for the Advanced Study of Sexuality e il New York’s Museum of Sex hanno i loro archivi di stag movie. Ma “molti dei migliori archivi, anche se non completi come quello Kinsey, sono privati,” dice.
Mike Vraney della casa di distribuzione Something Weird ha cominciato a collezionare stag movie in 16 e 8mm e porno dell’età dell’oro all’inizio degli anni Novanta e ha continuato fino al 2014. Il risultato sono centinaia di pellicole, come mi racconta sua moglie Lisa Petrucci. Ma si è appassionato al genere solo dopo aver trovato il primo scatolone in un garage abbandonato, e ha continuato a lavorare alla sua collezione grazie a quello che trovava quasi per caso su eBay.
Nico Bruinsma, della casa di distribuzione Cult Epics, conferma che anche nel suo caso molti ritrovamenti sono avvenuti in negozi dell’usato o su scaffali altrui. Sono le stesse ‘fonti’ che usa Steg.
I collezionisti privati a volte si reinventano come distributori per rendere la propria collezione accessibile al grande pubblico (ovvero: per monetizzare). Ma non presentano le clip come sono, anzi spesso le editano in loop, come per esempio succede nei 14 volumi da due ore di Grandpa Buckey’s Naughty Stag Loops and Peeps. A volte i distributori li mettono insieme a clip di altra provenienza, post-stag o altro, senza fare attenzione alle differenze—creando così ancora più confusione su cosa sia realmente uno stag movie.
Ci mettono anche un sottofondo musicale, “degli stupidi narratori” (per dirla con Slade), cambiano i titoli e non fanno nessuno sforzo per dare informazioni sulla provenienza e il contesto.
Sono tutti trick che servono a mantenere viva l’attenzione di un pubblico moderno, a vendere e a evidenziare i fattori di nostalgia e stranezza che spingono questi titoli, ma di certo non aiutano chi voglia capire cosa sono davvero gli stag movie o voglia preservarne l’originalità.
L’unica speranza è che questa sfida, e questa minaccia, fungano da motivazione per accademici, collezionisti e storici dilettanti, affinché inizino a mettere pressione perché archivi e collezionisti privati pubblicizzino i loro contenuti, creino collegamenti tra di essi, e così facendo portino avanti la ricerca a il restauro. Possiamo anche sperare che il fascino della caccia motivi i collezionisti a continuare nella loro ricerca. D’altra parte essere un vero collezionista vuole proprio dire questo, secondo Steg.
“È molto più divertente cercare una cosa difficile da trovare, perché ti dà una spinta e un obiettivo,” mi ha detto. “Stai salvando una cosa dall’oblio.”
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