A pochi giorni dagli eventi che hanno riportato i riflettori sulla tragedia che i siriani, attacchi chimici o non, vivono ogni giorno, l’impressione è ancora una volta che attorno a essi sia montato l’ennesimo effetto tifo-da-stadio, quello fatto di confusione e di un lancio di accuse fine a se stesso.
Ho provato a mettere le cose una dietro l’altra rispondendo a nuove domande sulla Siria, e qui c’è quello che ho tirato fuori. Ma stavolta, meglio avvertire in partenza, eviterò di menzionare tutto quello che, alla fine, non risulta altro che rumore.
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QUALI SONO I FATTI CONFERMATI SU CIÒ CHE È SUCCESSO NELLA PROVINCIA DI IDLIB?
Martedì 4 aprile intorno alle 6.30 della mattina c’è stato un bombardamento aereo a Khan Shaykhun, una cittadina che si trova nella provincia di Idlib, in Siria. Khan Shaykhun, in mano alle forze che si oppongono a Bashar al-Asad, si trova sulla direttrice stradale più importante della Siria, l’autostrada che unisce Damasco ad Aleppo passando per lo snodo strategico di Homs.
Uno dei primi report sul fatto porta la firma degli Elmetti Bianchi e del Direttorato per la salute di Idlib.
Vi si spiega che “aerei militari hanno effettuato bombardamenti multipli” sulla città aventi come obiettivo “aree residenziali.” Gli ordigni usati sono di vario tipo, alcuni di essi contenevano agenti chimici.
Che fra le bombe lanciate ve ne fossero alcune caricate con armi chimiche si viene a definire molto meglio nelle ore successive, tramite diverse fonti sul campo. Fra le prime testimonianze ci sono quelle di Omar Haj-Kadour e Mohamed al-Bakour, corrispondenti di AFP: fotografano uomini, donne e bambini in fin di vita o ormai deceduti, descrivono una situazione di assoluta emergenza in cui i dottori cercano di tenere in vita le persone applicando maschere di ossigeno.
Il giornalista sentito al telefono da Shadi Hamadi del Fatto Quotidiano racconta di essere andato a Khan Shaykhun dopo l’attacco, per documentare la situazione. In ospedale trova un medico: “stava salvando due bambini intossicati dal gas contenuto nella prima bomba, sganciata da un aereo.” Più tardi assiste a un bombardamento. “Un primo missile cade vicino all’ospedale,” spiega il giornalista al Fatto, “poi un secondo. Il terzo centra la sede della protezione civile di fianco all’ospedale e l’onda d’urto prende in pieno la struttura sanitaria.”
I medici sul campo riferiscono a fonti AGI che “i sintomi sono coerenti con l’esposizione ad agenti neurotossici come il sarin e ad agenti soffocanti come il gas cloro.” Il Ministro della Salute turco afferma che gli esami autoptici preliminari effettuati sulle tre vittime giunte in Turchia per farsi curare e successivamente decedute confermano l’uso del gas nervino Sarin.
Le vittime salgono di ora in ora; alla fine del 5 aprile ne erano state contate 74, tutte civili, tra cui 25 minori e 16 donne. Il bilancio secondo altre fonti supera i 100 morti.
Chi volesse approfondire la dinamica e le evidenze dell’attacco può leggere questo lungo report di Bellingcat, un sito che si occupa di incrociare i dati provenienti dalle fonti aperte con metodologie di geolocalizzazione e che ha raccolto molte foto e video.
Che il bombardamento sia stato effettuato dall’aviazione siriana, fedele a Bashar al-Asad, sembra un fatto acclarato: ad affermarlo, oltre ai testimoni sul campo, sono gli alleati russi. Nella loro ricostruzione dei fatti del 5 aprile, i russi indicano però un orario sbagliato dell’attacco (11.30-12.30). Inoltre affermano che gli attacchi hanno colpito un deposito di armi dei ribelli nelle cui vicinanze si trovavano “laboratori che producono armi chimiche.”
La ricostruzione russa viene smontata. Il Guardian, che intervista un esperto, spiega che bombardando un deposito di sarin non si innesca una bomba, mentre Daniele Raineri del Foglio la dice così: essendo il sarin un’arma chimica “molto instabile, corrosiva e pericolosa, non viene tenuta in magazzino già pronta all’uso, ma viene creata poco prima di un ipotetico attacco a partire da alcuni ingredienti base chiamati precursori. Sostenere che il bombardamento ha sprigionato il sarin è come dire che dopo il bombardamento di un supermercato il risultato è stato un piatto fumante di spaghetti al pomodoro.”
Da più parti si specifica inoltre un fatto che forse molti non realizzano, e cioè che “i ribelli” non hanno aviazione. Bellingcat sottolinea le difficoltà e i costi di produzione di ordigni chimici come quelli lanciati su Khan Shaykhun.
Vale la pena poi ricordare che, nonostante il luogo comune voglia il contrario, le Nazioni Unite in questi anni hanno puntato il dito chiaramente sul regime siriano per l’uso di armi chimiche almeno tre volte. E che, a fronte di questa evidenza, i portavoce del regime affermano di non aver mai utilizzato armi chimiche di nessun tipo in nessuna situazione.
QUAL ERA LA SITUAZIONE IN SIRIA PRIMA DEL 4 APRILE?
L’unico argomento che scagionerebbe Asad, oltre alla negazione sistematica della affidabilità di ogni testimonianza o documento che stabilisca elementi di accusa nei confronti del regime, è di tipo “teorico” e suona così: “il regime non aveva nessun motivo per fare un attacco chimico, ora che sta vincendo la guerra.”
I motivi dietro l’attacco sembrano però esserci. Aprirli e analizzarli ci permette di spiegare, almeno un po’, la situazione siriana di oggi.
– Citando ancora Il Foglio, l’area di Khan Shaykhun “non è così lontana dalla zona dove alcuni gruppi armati avevano appena tentato e fallito un’offensiva per spingersi verso sud e conquistare la città di Hama, un’operazione nella quale l’esercito di Asad aveva comunque perso molti uomini e mezzi militari. Il bombardamento chimico potrebbe essere una rappresaglia per quell’offensiva, e allo stesso tempo un modo per mandare un monito ai ribelli: ogni attacco verrà punito duramente, anche con reazioni sproporzionate.”
In Siria oggi vige una specie di tregua nella quale tuttavia non rientrano le aree indicate dal regime e dai suoi alleati come luogo in cui si concentrano “i terroristi”. La provincia di Idlib è una di quelle, come illustrato dalla mappa:
In breve: le aree in giallo sono quelle dei “ribelli”, termine generico per indicare gruppi di varia estrazione unitisi nella lotta al regime siriano, e che nella provincia di Idlib sono rappresentati in preponderanza da “Tahrir al-Sham, che è una coalizione di forze jihadiste la cui componente principale è Jabhat Fateh al-Sham, l’ex divisione siriana di al Qaeda.”
Due di queste “macchie” gialle sono poi oggetto di tregua: quella più a nord, al confine con la Turchia, dove i ribelli sono sotto la tutela dei turchi e di norma non vengono bombardati dal regime e dai suoi allleati. E quella più a sud, sotto Damasco, dove i ribelli sono “gestiti” da giordani e americani. Le altre aree su cui “si può bombardare” sono anche quelle grigie, dove si trova lo Stato Islamico e aree giallo-grigie, dove stanno sia Stato Islamico che “ribelli”.
Nella provincia di Idlib, come spiega il Post, vivono tuttavia “anche centinaia di migliaia di civili, molti dei quali provenienti da altre zone della Siria” che patiscono le conseguenze dell’assedio delle forze alleate ad Asad. “Il regime siriano e i suoi alleati sono le uniche forze coinvolte militarmente in Siria che hanno mostrato l’interesse e la volontà a bombardare i ribelli e di usare le morti dei civili come un’arma strategica finalizzata a distruggere il morale della popolazione.”
– Il messaggio di un attacco del genere potrebbe essere diretto agli alleati del dittatore che, attualmente, lo tengono “in vita”. Non bisogna dimenticare che senza l’aiuto di Russia e Iran il regime probabilmente oggi sarebbe caduto. In specifico prima dell’intervento russo, nel settembre 2015, stava drasticamente perdendo terreno.
In sostanza Asad, attualmente, è poco più di un fantoccio. I due tavoli negoziali oggi in piedi, quello di Ginevra e quello di Astana, non vedono il governo siriano nel ruolo di protagonista. Anche alla conferenza internazionale di Bruxelles per “il sostegno al futuro della Siria e della regione” organizzata da Unione Europea, Onu e diversi paesi (tra cui Germania, Qatar, Norvegia, Regno Unito e Kuwait) si fanno i conti senza l’oste siriano. Di fatto da mesi russi, iraniani e turchi in primo luogo, cioè quelle potenze che ufficialmente hanno gli “stivali sul terreno”, discutono su come spartirsi le spoglie della Siria e, in questo dialogo, cercano di entrare—con i loro soldi—i paesi riunitisi a Bruxelles.
In un contesto come questo Asad può aver deciso di far saltare il tavolo di Bruxelles usando con cinismo una delle sue ultime armi: “io posso lanciare un attacco chimico e tu, alleato, dovrai in qualche modo giustificarlo.” Fatto che, appunto, è avvenuto: abbiamo visto i russi arrampicarsi sugli specchi per inventarsi depositi di armi chimiche ed esplosioni indirette.
Asad ha questi mezzi per incidere sul terreno. Gli altri mezzi—di certo crudeli e letali ma non così genocidari—sono in mano ai suoi alleati. Ha forse pensato di usarli ora, nel momento in cui proprio la provincia di Idlib raccoglie tutte le forze che gli si oppongono ed è l’ultima “frontiera” del conflitto, l’area dove le tregue non valgono e dove sono andati a finire tutti i civili deportati da altre zone riconquistate (caso a parte è l’area in cui ancora c’è lo Stato Islamico, dove tutte le carte si rimescolano anche sul piano delle alleanze).
COSA C’È DA ASPETTARSI NEL BREVE TERMINE?
Nel 2013, quando un attacco al sarin colpì le aree periferiche di Damasco in mano ai ribelli facendo almeno un migliaio di morti, l’allora presidente americano Barack Obama decise di non agire. Gli sembrò sufficiente fare un patto col presidente russo Vladimir Putin per lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano, la cui esistenza i siriani avevano sempre negato. In quel caso gli attacchi americani avrebbero avuto come obiettivo i depositi di armamenti chimici siriani (e facendoli esplodere non avrebbero “prodotto” un attacco chimico). Oggi Donald Trump ha deciso invece di colpire con 60 missili da crociera la base da cui si ritiene siano partiti gli aerei che hanno lanciato armi chimiche su Khan Shaykhun.
L’attacco è giustificato? Vedete voi, decidete voi. Di certo molte sono state le letture in proposito, ognuna delle quali ci allontana dalla Siria e soprattutto dalle vittime della strage. Dario Fabbri di Limes lo definisce un intervento “scenografico” perché, alla fine dei conti—al netto dei sei militari uccisi—non fa che rimescolare le carte siriane, con un messaggio del tipo “ci sono anch’io.” E, inoltre, serve a Trump per presentarsi come un Presidente americano vero e proprio (impegnato su altri tavoli ben più critici come quelli cinese e russo) a fronte di una politica internazionale fino a oggi inesistente o costellata di gaffe (si veda il Russiagate).
Sembra insomma che Trump abbia voluto spiegare a tutti con questo attacco di voler fare il capofila del mondo, come da tradizione americana. L’ha voluto fare in un teatro complicato e saturo di violenza in una modalità “mordi e fuggi”. E qui arriviamo a rispondere alla domanda: le conseguenze reali sulla situazione in Siria, a breve termine, sono minime. E quando dico “situazione in Siria” parlo dei siriani, delle vittime della guerra. Cioè: questo attacco non risolve né complica in maniera importante il groviglio siriano. Molto probabilmente, sempre che ad Asad non venga in mente di bombardare di nuovo col sarin o col cloro, all’attacco non ne seguiranno altri.
In tutto questo, l’Europa dei governi si è allineata a Trump, senza grossi distinguo. Il nostro primo ministro e il nostro ministro degli esteri non fanno eccezione.
COSA ALTRO DOVREI SAPERE SULLA QUESTIONE, ORA?
Tutto quanto detto finora ha come basi fonti aperte. Il resto, cioè fonti militari o di intelligence chiuse e segrete, è qualcosa a cui non possiamo per ora arrivare.
Distinguere fra le due cose è essenziale ma, a parte questo, vale la pena di chiudere tornando al “metro” di valutazione delle vittime della guerra. In questo tweet trovate il numero di attacchi della coalizione a guida americana in Siria dal 2014 a oggi (7.898).
Questi attacchi, diretti contro lo Stato Islamico e al Qaeda in Siria, hanno fatto migliaia di vittime civili. Hanno fatto notizia? Ben poco. Che colpa avevano quei civili? Abitavano in un posto che è stato invaso da coloro che sono percepiti da tutti come il male assoluto. Meritavano per questo di morire? Non c’è nemmeno bisogno di rispondere. Era solo un esempio. Era per spiegare cosa entra in gioco quando si tratta di dare notizie, percepire pericoli eccetera.
E per ricordare che di fronte a fatti come un attacco chimico o una selva di missili americani contro una base siriana bisogna essere bravi nel distinguere due piani differenti: quello della guerra reale e quello della guerra di parole.
Thumbnail via YouTube.