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Perché smettere di preoccuparsi e imparare ad amare il Large Hadron Collider

Che cosa succederebbe al nostro corpo se rimanesse incastrato in un acceleratore di particelle? Lo scenario sembra l’inizio di un brutto fumetto della Marvel, ma, strana coincidenza, è utile per capire meglio le radiazioni, la debolezza del corpo umano e la natura stessa della materia. Gli acceleratori di particelle permettono ai fisici di studiare le particelle subatomiche accelerandole dentro potenti campi magnetici e tracciando poi le interazioni che risultano dalle collisioni. Scavando nei misteri dell’universo, gli acceleratori di particelle sono entrati a far parte dello Zeitgeist, incarnando meraviglie e timori della nostra epoca.

Nel lontano 2008, il Large Hadron Collider (LHC), gestito dall’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN), aveva il compito di creare microscopici buchi neri che avrebbero permesso ai fisici di individuare altre dimensioni. Per molte persone, sembra la trama perfetta per un catastrofico film di fantascienza. Non c’è stato da stupirsi quando due persone hanno fatto causa al CERN perché spegnessero il LHC, prima che producesse un buco nero abbastanza potente da distruggere il mondo. Ma i fisici hanno risposto che l’idea era assurda e la querela è stata rifiutata.

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Poi, nel 2012, il LHC ha individuato il tanto cercato bosone di Higgs, fondamentale per spiegare in che modo le particelle acquistano massa. Grazie a questo importante risultato, il LHC è entrato nella cultura popolare; è stato sulla copertina dell’album Super Collider (2013) della band heavy metal Megadeth, ed è stato parte della trama della serie televisiva americana The Flash.

Eppure, nonostante i suoi successi e il suo fascino, il mondo della fisica delle particelle è così astratto che sono in pochi a comprenderne davvero le implicazioni, il significato o lo scopo. A differenza di una sonda della NASA mandata su Marte, la ricerca portata avanti dal CERN non produce immagini concrete e impressionanti. Anzi, il modo migliore per descrivere lo studio della fisica delle particelle è travasare un mare di equazioni e linee deformi chiamate diagrammi di Feynman su una lavagna. Aage Bohr — figlio del premio Nobel Niels Bohr, inventore del modello atomico di Bohr — e il collega Ole Ulfbeck sono arrivati al punto di negare l’esistenza fisica delle particelle subatomiche come qualcosa di più che modelli matematici.

Cosa che ci riporta alla nostra domanda originaria: Che cosa succede quando un raggio di particelle subatomiche che viaggiano quasi alla velocità della luce si scontra con la carne di un corpo umano? Forse proprio perché il reame della fisica delle particelle e quello della biologia sono concettualmente lontani, non è difficile solo per i profani immaginare una risposta a questa domanda, ma anche per alcuni fisici professionisti. In un’intervista del 2010 con i membri della facoltà di fisica e astronomia dell’università di Nottingham, diversi esperti accademici hanno ammesso di non avere idea di che cosa succederebbe a una persona se mettesse una mano sotto il raggio di protoni del LHC.

Questo genere di esercizi di pensiero può rivelarsi uno strumento utile per esplorare situazioni che non è possibile studiare in laboratorio.

Il professor Michael Merrifield ha risposto in modo lapidario: “È una buona domanda. Non conosco la risposta. Probabilmente farebbe molto male.” Il professor Laurence Eaves, a sua volta, ha raccomandato cautela nel trarre conclusioni. “[Dalla] quantità di energia che vediamo, non sarebbe così evidente,” ha detto, con una certa vaghezza nel tono. “Ci metterei dentro la mano? Non ne sono tanto sicuro.”

Questo genere di esercizi di pensiero può rivelarsi uno strumento utile per esplorare situazioni che non è possibile studiare in laboratorio. Di tanto in tanto, però, incidenti sfortunati producono casi studio: opportunità per i ricercatori di studiare scenari che non possono essere indotti sperimentalmente per ragioni etiche. I casi studio hanno per definizione un campione singolo e nessun gruppo di controllo. Ma, come ha spiegato il neuroscienziato V.S. Ramachandran in Phantoms in the Brain (1998), basta un solo maiale parlante per provare che i maiali sanno parlare. Il 13 settembre del 1848, per esempio, una sbarra di ferro ha perforato la testa del ferroviere americano Phineas Gage, cambiandone profondamente la personalità e offrendo una prima prova della base biologica della personalità.

Il 13 luglio del 1978, uno scienziato sovietico di nome Anatoli Bugorski ha infilato la testa in un acceleratore di particelle. Quel fatidico giorno, Bugorski stava controllando un malfunzionamento nella strumentazione del sincrotrone U-70 — il più grande acceleratore di particelle dell’Unione Sovietica — quando un meccanismo di sicurezza ha ceduto, e un raggio di protoni a quasi la velocità della luce è passato dritto attraverso la sua testa, proprio come per Phineas Gage. È possibile che, in quel momento della storia, nessun essere uman avesse mai provato addosso un raggio di radiazioni a una tale energia. Nonostante la terapia ai protoni — un trattamento contro il cancro che sfrutta i raggi di protoni per distruggere le cellule tumorali — è stato brevettato prima dell’incidente di Burgoski, l’energia di questi raggi in genere non supera i 250 milioni di electron volt (un’unità di misura usata per le piccole particelle). Bugorski potrebbe aver subito a piena potenza un raggio con più di 300 volte questa quantità di energia, 76 miliardi di electron volt.

La radiazione protonica è indubbiamente una bestia rara. I protoni provenienti dai venti solari e dai raggi cosmici vengono fermati dall’atmosfera della Terra, e la radiazione protonica è talmente rara nel decadimento radioattivo che è stata osservata per la prima volta solo nel 1970. Minacce più familiari, come i fotoni ultravioletti e le particelle alfa, non penetrano il corpo oltre la pelle a meno che una fonte radioattiva non sia ingerita. Il dissidente russo Alexander Litvinenko, per esempio, è stato ucciso da particelle alfa quando ha ingoiato senza saperlo del polonio-210 radioattivo, consegnatogli da un assassino. Ma quando gli astronauti dell’Apollo protetti dalle tute spaziali sono stati esposti ai raggi cosmici che contengono protoni e altre esotiche forme di radiazioni, hanno raccontato di lampi di luce, un’immagine foriera di ciò che avrebbe accolto Bugorsky il giorno del suo incidente. Stando a un’intervista pubblicata su Wired nel 1997, Bugorsky ha immediatamente visto un intenso lampo di luce, ma non ha sentito alcun dolore. Il giovane scienziato è stato portato in una clinica di Mosca con metà del volto gonfio, e i dottori temevano il peggio.

Le particelle ionizzanti come i protoni devastano il corpo umano, rompendo i legami chimici nel DNA. Questo assalto alla programmazione genetica di una cellula più ucciderla, impedirle di dividersi, o indurre una mutazione cancerosa. Le cellule che si dividono velocemente, come le cellule staminali nel midollo osseo, sono quelle che soffrono di più. Dato che le cellule del sangue sono prodotte nel midollo osseo, per esempio, molti casi di avvelenamento da radiazioni comportano lo sviluppo di infezioni e anemia per perdita di globuli bianchi e globuli rossi, rispettivamente. Ma nel caso specifico di Bugorski, le radiazioni si sono concentrate in un raggio sottile attraverso la testa, anziché essere diffuse ad ampia scala da un disastro nucleare, come è stato invece per le vittime di Chernobyl o della bomba su Hiroshima. Per Bugorski, i tessuti particolarmente vulnerabili come il midollo osseo o il tratto gastrointestinale potrebbero essere stati risparmarmiati. Ma nel punto in cui il raggio ha attraversato la testa di Bugorski, si è depositata una quantità oscena di energia radioattiva, centinaia di volte superiore di una dose legale, secondo alcune stime.

Eppure, Bugorski è ancora vivo. Metà del suo volto è rimasta paralizzata, dando a un emisfero della sua testa un aspetto stranamente giovane. È rimasto sordo da un orecchio. Ha sofferto almeno sei crisi tonico-cloniche. Comunemente noti come grande male, questi attacchi sono spesso rappresentati nel mondo del cinema e della televisione, e sono caratterizzati da convulsioni e perdita di conoscenza. L’epilessia di cui soffre Bugorski è probabilmente una conseguenza della cicatrice lasciata  sul tessuto cerebrale dal raggio di protoni. Gli ha anche causato il piccolo male o crisi di assenza, momenti meno drammatici in cui avviene una breve interruzione nello stato cosciente. Non ci sono documenti clinici che indichino una diagnosi di cancro per Bugorski, benché la malattia sia spesso una conseguenza sul lungo periodo dell’esposizione alle radiazioni.

Nonostante un raggio di particelle accelerate gli abbia attraversato il cervello, le capacità intellettive di Bugorski sono rimaste intatte, e ha completato brillantemente il suo dottorato dopo l’incidente. Bugorski è sopravvissuto. E per quanto possa far paura l’interno di un acceleratore di particelle, l’umanità è per ora sopravvissuta all’era del nucleare.

Joel Frohlich è un PhD all’università della California, Los Angeles, dove esamina i biomarcatori della categoria dei disturbi dell’autismo. È anche senior editor a Knowing Neurons .

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Aeon, e ripubblicato sotto Creative Commons.