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Sono stata al concerto di Cosmo con Joan Thiele

In una Milano pronta a stringerci nell’abbraccio mortale della Design Week, io e il mio fedele fotografo Kevin Spicy abbiamo cercato un ultimo barlume di vero divertimento andando a sentire Cosmo insieme a Joan Thiele. Due le certezze che accompagnano fin dagli albori questo nostro format: i cataclismi climatici e il live sold out. E se sul primo fronte non mi dilungherò, limitandomi a segnalare che la situazione sulla Bologna-Milano intorno alle 18:30, tra mitragliate di grandine e auto ferme in doppia fila, m’è sembrata il preludio alla fine del mondo, sul secondo anticipo che il tutto esaurito di Cosmo a Milano, il nono di questo tour, è una scommessa vinta.

Perché non ha giocato facile, Marco Bianchi da Ivrea, al contrario ha portato l’azzardo all’estremo, andando all in e facendo un po’ quel che gli pare e piace, provocando, forse, o meglio stimolando il suo pubblico. Così, per esempio, ha scelto di inserire una sberla di DJ set techno proprio a metà concerto, grossomodo nel momento in cui i fan erano pronti per cantare con lui “Sei la mia città”, mentre lui li ha, invece, trascinati in luoghi elettronici asprissimi. Ha funzionato? Sì che ha funzionato, perché se quelli che erano venuti con la voglia di cantarsele tutte durante quei 30 minuti avranno fatto far cassa al bar del Fabrique, più in generale la folla è rimasta presa bene e se l’è ballata alla grande.

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Era ed è rimasta presa bene anche la mia ospite, Joan Thiele, che se se sapessi qualche fondamentale di moda mi piacerebbe descrivervi a partire dal look, ma tanto ci sono le immagini a mostrarvelo e a dare un senso alla presenza del fotografo. Quello che le foto non dicono, però, è che la ragazza, che a metà maggio pubblicherà per Universal il suo primo album, ha una smodata curiosità verso gli altri (ha fatto più domande lei a me di quante gliene abbia fatte io), per nulla da sottovalutare in un mondo di ego smisurati come quello musicale, e una sana apertura mentale verso qualunque genere. Per cui, sì: Joan Thiele è una giusta e questo è quello che ci siamo dette prima che, suo malgrado, ammaliasse a morte qualunque essere umano nei paraggi di via Gaudenzio Fantoli.

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Noisey: Partiamo da Cosmo: perché hai scelto di venire a vedere proprio il suo live?
Joan Thiele: Perché trovo molto interessante quello che sta facendo, cioè il fatto che abbia splittato, sia nei video che nella musica, le sue due anime, quella di cantante e quella di clubber. L’ho trovata simile alla mia visione della musica, almeno nell’intento di partenza di voler creare diversi mondi e diverse emozioni che possano coesistere senza forzature. In lui questa cosa è spinta all’estremo, perché so, da chi lo ha già visto, che questo concerto-evento-festa punterà parecchio sull’elettronica, ma con l’aggiunta di quei testi agrodolci, quando non proprio amari, che ha lui. Mi interessa vedere che cosa uscirà da quella combo.

Cosmo è notoriamente un animale da party: tu su quel fronte come sei messa?
Ho 26 anni, quindi è normale che mi piaccia uscire, però no, non mi considero un animale da party, ultimamente non sta succedendo che faccia le 4 mattino, o almeno non in questa precisa fase della mia vita. Questo perché mi sto concentrando un sacco sulle mie cose, sul disco, sui concerti e sto anche cercando di lavorare di più, ho proprio bisogno di darci dentro e mi rendo conto che se faccio festa, ovviamente, la mattina non faccio un cazzo. Diciamo che sto tentando di essere concreta. Poi magari stasera è la volta che faccio chiusura, eh.

Lui sembra avere un rapporto abbastanza viscerale con i fan e le fan: il tuo come lo definiresti?
Suonando tanto in giro ho notato che il mio pubblico è prettamente femminile e questa è una cosa che mi piace tanto. Mi sembra di avere una bella empatia con le donne, mi stupisco solo quando le ragazze, magari, mi dicono di aver fatto 300 chilometri per venirmi a sentire perché una certa canzone le aveva fatto rivivere o addirittura risolvere dei nodi della vita. Sono più emotive, le fan. Però, ecco, per tornare a Cosmo, credo che la sua bellezza stia anche nell’essere super emozionale anche in pezzi che a livello di suono non lo sembrerebbero. [E infatti poco dopo noterà l’effetto straniante di migliaia di persone che ballano e saltano su versi come “mia zia lottava in ospedale e ora non c’è più”, da “Tutto bene”, N.d.R.]

Esiste una sorta di sorellanza tra donne musiciste?
Un po’ manca in Italia, forse perché il dato reale è che siamo meno rispetto ad altri Paesi. Ora stanno venendo fuori tanti talenti femminili e questo, sinceramente, mi stimola, ma non lo dico per fare la paracula, penso che sia davvero bello che ci sia del fermento, che ci siano voci e facce nuove. Non penso di pormi in maniera competitiva, anche verso chi, magari, fa un genere vicino al mio. Semmai sono in competizione con me stessa.

Ma la fame di riuscire a fare questo mestiere quanto conta e quanta ne hai oggi?
La fame, quella vera, è arrivata in un momento molto duro della mia vita, quando, di recente, mio padre è stato male e ha avuto un crollo economico. Ecco, percepire che da quel momento in poi, ancora più di prima, avrei dovuta farcela completamente da sola, perché nessuno della mia famiglia mi avrebbe più potuto aiutare, mi ha fatto tirare fuori una certa grinta. Mi sono fatta una vagonata di concertini da 30, 50 euro per starci dentro con le spese. E ti dirò, sono grata di questa cosa, perché se fossi rimasta con quel relax mentale che ti dà un certo grado di sicurezza economica (e sicurezza in generale) non avrei sentito in modo così impellente il bisogno di spingermi al massimo delle mie capacità.

A proposito di sicurezza economica: non pensi che in Italia sia quasi un tabù parlare liberamente di soldi, di guadagno, specie se si fa un mestiere artistico, ma che sempre mestiere è?
Qui si apre una parentesi su di me che mi fa un po’ ridere, ovvero la convinzione di alcuni che io sia un po’ snob e che sia una piena di soldi. Convinzione che onestamente non so bene da dove arrivi, però non non è vera per niente. Fa pensare, no? Le persone, a volte, si fanno le loro costruzioni mentali, campate per aria, ma che propongono con una sicurezza assoluta, senza conoscere nulla della vita degli altri. Io oggi mi mantengo con la musica, non ho bisogno di chiedere niente a nessuno e, cavolo, questa è una cosa figa! Mica significa che sia diventata ricca, proprio per niente, ma anche se fosse uno dovrebbe in qualche misura essere felice di vedere che ce la si può fare, a scrivere canzoni e vivere di quello, onestamente, senza sotterfugi.

In questo senso non pensi che per esempio i testi di chi fa trap vadano a rompere quel meccanismo per cui sta male parlare di soldi e successo?
Ci pensavo l’altro giorno, al fatto che sottolineano molto che vengono dal basso, che hanno svoltato, ed è interessante questa schiettezza, che potrebbe, perché no, finire anche nei testi pop. Cioè, io non potrei mai cantare “faccio il cash”; a parte che non è vero, ma non è proprio la mia cifra stilistica. Però mi piace quel tipo di linguaggio diretto e mi piace l’idea di rompere i tabù. Un tempo, non tanto lontano, era il sesso; oggi è il cash.

Visto che stiamo per andare a un concerto, mi racconti la cosa più imbarazzante che ti è successa sul palco?
Ah, pochi giorni fa stavo morendo sul palco. Tipo che mi stavo strozzando con non mi ricordo che cosa che mi era andato di traverso e ho iniziato a fare dei versi mega imbarazzanti, dei rantoli alternati a tentativi di dire “va tutto bene, datemi solo un attimo”.

Ti sarà mica successo ad Austin, al SXSW…
[Ride] No, però lì mi è successo di suonare anche davanti a cinque persone. Interessatissime, eh, però cinque di numero.

Come guardi agli USA? Hai un po’ di sindrome da American dream?
Guardo agli USA con sentimenti molto contrastanti. Mi piace il fatto che lì quello del musicista sia un lavoro a tutti gli effetti, mentre qua devo ancora spiegare a mia nonna materna che campo di questo anche se non sono violoncellista a La Scala.

Succede anche a noi giornalisti.
Davvero? Beh, questo lato dell’Italia è insopportabile e mi viene da dire che si sta meglio in America. Però poi penso al fatto ad Austin pochi giorni prima del festival a una famiglia afro-americana è stato spedito un pacco bomba che ha ucciso due ragazzi e allora mi sembra un luogo di pura follia. Si respira, specie in posti come il Texas, un profondo razzismo, che stiamo, purtroppo, assorbendo anche qui in Italia ed è una cosa che mi fa schifo. Anche la questione delle armi mi butta molta ansia, mi accorgo di pensarci, di avere paura del fatto che, magari, una persona su tre che incrocio per strada ha con sé una pistola. Poi, se devo essere onesta al cento percento, se avessi le possibilità economiche per farmi un periodo a Los Angeles lo farei, perché lì le possibilità sono infinite.

Per infinite persone.
Sì, però io ho la teoria che anche se sei un puntino nel mare, se tu ci metti tutto il cuore, se ti impegni davvero al massimo, puoi avere dei risultati, anche che non pensavi di poter raggiungere.

Credi nella “legge dell’attrazione”?
Di brutto. Poi chi mi conosce mi prende un po’ per il culo perché ho questa fissa per la natura, sarà che ci sono cresciuta in Colombia, ma è una cosa fortissima. Non è che voglia fare la santona o cose del genere, però è una cosa che mi porto dietro fin da bambina. Per dire, mia mamma ha questo VHS di me piccolissima che passo le ore a far aprire e chiudere delle piante sudamericane che si chiamano dormilonas, che non appena le sfiori si appallottolano. Non so bene come si possa definire, ma credo nella natura e nella sua bellezza. E credo molto anche nell’importanza di come uno si comporta, nel fatto che torni tutto intero.

Hai ricevuto un’educazione cattolica?
No, mia mamma è una donna molto laica, anche se mi ha fatto fare la comunione, mio papà è di un altro credo, ma la religione non è stata granché presente nella mia vita. Io e mio fratello, che è tipo il mio migliore amico, siamo stati incoraggiati a essere persone libere.

Tuo fratello è la persona che sai di poter chiamare alle tre di notte se hai un attacco di ansia?
Non proprio. Mi piace fare cose insieme a lui, andare in giro, andare alle mostre, cose così. E non lo è e nemmeno mia mamma, perché sono molto protettiva verso di lei e non la voglio mai far andare in sbattimento. Questa cosa penso che sia uno strascico del fatto che i miei si sono separati e mi sono sentita, da quel momento in poi, di dover essere di supporto più che un peso. Però c’è un’amica di mia mamma, una zia molto speciale, che mi ha un po’ cresciuta e a cui devo tantissimo e che so di poter chiamare sempre, per qualunque cosa, per qualunque paranoia.

Sai che non sembri per niente paranoica? Lo sei?
Sono paranoica. A fasi, ma sono paranoica. A volte mi spaventa il futuro, immaginarmi tra vent’anni, a volte sono fiduciosa del fatto che, piacendomi un mucchio di cose oltre alla musica, avrò sempre qualcosa che mi appassiona di cui occuparmi. Ah, poi ho avuto anche qualche fobia, in particolare quella più devastante è stata quella dell’aereo. Ho fatto un volo orrendo per andare in Sudamerica, durante il quale ho proprio pensato di morire e da lì è stato tutto un “adesso cade”, un attacco di panico dietro l’altro.

Quindi non hai volato per un po’?
No, ho sempre preso l’aereo, stando da cani. Anzi, magari in un mese ne prendo dieci, che per andare a trovare la mia famiglia ce ne vogliono tipo 5 all’andata e 5 al ritorno, roba per mille ore stavo malissimo. A un certo punto poi, di colpo, è successo qualcosa, e ti giuro non so che cosa, forse semplicemente stare meglio con me stessa come sto oggi, e sono tornata a volare tranquillamente. Liberarsi da una fobia è una cosa bellissima, ti dà proprio l’idea di stare migliorando come persona.

Ti credo sulla parola. Che cos’altro ti fa sentire di migliorare?
Imparare ad affrontare gli sbatti. Le bollette, la burocrazia… Se te le gestisci capisci di essere diventato quasi adulto.

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Joan Thiele con l’autrice.

Non ci sono sbatti, stasera, sul nostro cammino, tanto più che, anche se abbastanza affollato, il backstage di Cosmo è parecchio sciallato. Anche perché il debutto, qui al Fabrique, c’è già stato ed è stato uno dei tanti sold out del Cosmotronic Tour. Marco ci accoglie, in quella manciata di minuti dedicati alle foto, con un sornione “siete pronte ad annoiarvi? Siete pronte ad annoiarvi tantissimo?”, per poi farsi serio e assumere il ruolo di Cicerone di quello che da lì a poco andrà ad accadere. “Per la prima data qui eravamo tutti tesi, perché non c’era mai stato un nostro live al chiuso con così tanta gente e suonare a Milano porta sempre con se un carico extra di responsabilità. Però abbiamo spaccato, e siamo pronti a bissare. Sarà una bomba, una cinque ore di fuoco, quindi ti consiglio”, dice a Joan “di rimanere fino alla fine e di stare proprio in mezzo, nella calca, che te la godi di più. Anzi: visto che alla fine è facile che mi butti sul pubblico, mi raccomando, non fatemi cadere”.

Con in sottofondo il set di Enea Pascal, uno dei DJ di Ivreatronic a fare da warm up con le sue produzioni originali, con Joan chiacchieriamo ancora di musica e del fatto che ci sia “un grandissimo ritorno della gente ai concerti, soprattutto di italiani, e questa è una figata e sono d’accordo con Wrongonyou quando dice che è molto merito della trap, che ha riportato i giovanissimi a godersi la musica dal vivo”.

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Le chiedo, tra gli italiani, chi le piace oggi: “Generic Animal, di cui, tra l’altro, ho sentito le cose nuove, perché lavoriamo con lo stesso produttore, e sono una bomba ma non posso spoilerare niente. Poi mi ha molto colpita Christaux, con cui ho suonato ad Austin e che ho scoperto essere intensissimo e dotato di una voce rara. Mi piace Calcutta e, quando valuto l’idea di passare a scrivere in italiano, penso a gente come lui, che scrive davvero da dio, e in più è una persona realmente semplice, non semplice perché fa figo sembrarlo. La trap mi diverte, mi piacciono anche i rapper che si avvicinano al pop come Gemitaiz. Vorrei andare a sentire qualcuno di loro in concerto, ma soprattutto sarei curiosa di sapere qual sarà l’evoluzione della trap, perché un’evoluzione ci dovrà essere”. Le dico che, forse, bisogna ancora guardare a che cosa accade oltreoceano: “Sì, probabile, ma se è così ti dico che parlando con amici inglesi e americani, tutti sono concordi nel dire che si tornerà alle chitarre, al rock, che secondo me, dopo tanta ‘plastica’, è quasi un ritorno fisiologico”.

Zero chitarre, invece, per Cosmo, che alle 22:10 sale sul palco, con la giacca giallo fluo che si amalgama perfettamente all’atmosfera della serata, che si potrebbe chiamare in moltissimi modi, da party itinerante a mini festival a “festone”, rigorosamente con la “o” aperta piemontese. Due ore di live più i set di Enea Pascal, Splendore e Foresta di Ivreatronic, Francisco, e poi di nuovo Cosmo in console, dalle 2 di mattina fino a un grande chissà.

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Quel che è certo, come mi dirà anche Joan durante lo show, è che “è qualcosa che in Italia sa fare solo lui e che è davvero una roba nuova. Una fusione, vedremo se perfetta o quasi perfetta, tra pop e clubbing che porta il marchio di fabbrica di Cosmo, che è tante cose, come tutti noi, ma a differenza di altri non ha paura di farle vedere tutte”.

Marco attacca con ” Bentornato” ed esplodono coriandoli, e il set di luci è una bomba, e la gente è carica e salta con lui, che alla fine del pezzo dice: “Questo è il nuovo pop italiano”. Il flusso del Cosmotronic, che a detta della suo protagonista è “un’astronave interstellare della cassa dritta” continua, denso, con “Le voci”, “Tutto bene”, “Quando ho incontrato te”, “Tristan Zarra” e “Ho vinto”, poi il già citato intermezzo strumentale, e poi di nuovo a cantare un’altra decina di pezzi, con il giusto finale fatto di ” Sei la mia città”, “Turbo” e “L’ultima festa” a chiudere la parte di concerto.

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Mentre ascolto l’attacco feroce del DJ set di Ciaosplendore e saluto Joan Thiele chiedendomi se questa sarà effettivamente la volta che farà chiusura, mi torna in mente un caro amico di Twitter che ha paragonato Cosmo alla camicia di jeans, perché funziona sempre e piace a tutti, e non posso che dargli ragione. Perché non so voi, ma io non conosco una sola persona che dica apertamente di non apprezzarlo. E questo carisma, a tratti indecifrabile, è anche quella cosa obliqua che fa sì che, anche dopo aver ballato talmente tanto da avere la faccia paonazza, manco fossimo tutti nipoti di Gazza Gascoigne, negli occhi ci sia comunque un velo di malinconia. Uno spleen che nemmeno i colpi della cassa dritta sono riusciti a frantumare. Il fattore Cosmo, insomma, quello con gli ananas sulla maglia, gli occhiali scuri simil-Neo e un po’ di gelo sul cuore.

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