Perché Crash Bandicoot è così importante per la nostra generazione

Una schermata di gioco di

Crash Bandicoot.

C’è un momento in Uncharted 4 – La Fine di un Ladro, in cui il gioco smette di essere il miglior action adventure della storia delle console per assurgere addirittura a qualcosa di più importante: un manifesto della PlayStation Generation. È un segmento di gioco breve, relativamente importante ai fini della vicenda di Nathan Drake: si tratta di un frammento di vita quotidiana con la moglie Helena, dove, nel quasi vano tentativo di aggirare una scomoda discussione matrimoniale, il protagonista si gioca il turno da lavapiatti al “giochino elettronico” della moglie.

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Il videogioco in questione altri non è che Crash Bandicoot, e la comparsa del marsupiale antropomorfo crea un corto circuito temporale che, in pochi secondi, riesce a raccontare gli ultimi vent’anni della storia dei videogiochi così.

Quando è uscito, nella seconda metà degli anni Novanta, Crash Bandicoot è stato il primo successo mondiale di Naughty Dog, l’azienda che oggi sviluppa Uncharted, e ha rappresentato uno dei videogiochi che contribuì al successo della prima, storica PlayStation. Oggi invece, per molti di noi Crash è esattamente questo: il ricordo di un tempo in cui la nostra memoria storica iniziava ad assumere le fattezze di memory card, la testimonianza di quanto PlayStation abbia forgiato il nostro immaginario e la speranza di ritornare a distruggere le casse in qualche foresta australiana per salvare il mondo da Neo Cortex.

Ma perché, di preciso, è diventato così iconico? Il motivo, per certi versi, va cercato al di fuori del gameplay. Sia chiaro, la trilogia di Crash era una buona espressione dei platform in cui si salta di qua e di là sulla testa dei nemici: una risposta al Super Mario di Nintendo, con l’indubbio vantaggio di ingannare il giocatore con la terza dimensione. Sebbene, infatti, il bandicoot potesse muoversi in tutte le direzioni, lo schema di gioco era ancorato alla bidimensionalità e l’azione si svolgeva in prevalenza lungo un solo asse. Durante i tre episodi però c’erano variazioni sul tema simpatiche, come livelli in cui, in pieno stile Indiana Jones, si fuggiva da un enorme masso correndo verso lo schermo, oppure ambientazioni che suggerivano un’idea di spazio molto più complessa di quanto non fosse in realtà.

Fuori dallo schermo, invece, Crash Bandicoot rispondeva all’intima esigenza di una generazione che scopriva il lato cool dei videogiochi. Il mantra di Sony, in termini di marketing e comunicazione, era “non sottovalutate la potenza di PlayStation”: il claim scelto era un monito e una dichiarazione di intenti ed era pregno di un anticonformismo adolescenziale che rendeva gli spot della nuova console molto più significativi dei giochi stessi. Sony aveva capito che per sfidare Sega e Nintendo doveva spostare il focus dal lato ludico a quello culturale: Ken Kutaragi, il papà di PlayStation, era fermamente convinto che la sua nuova creatura non dovesse, in nessun caso, essere venduta, comunicata e percepita come un giocattolo. Crash, come videogioco e personaggio, rappresentava per Sony un’opportunità incredibile e, al contempo, un problema identitario.

Nel libro All Your Base Are Belong To Us, Harold Goldberg racconta di come il dipartimento americano di Sony avesse inquadrato il bandicoot come potenziale “Mario Killer” made in USA e, dunque, perfetto per rappresentare la console. Dal Giappone, però, a Kutaragi non piaceva l’idea del personaggio mascotte, né lo convinceva il look cartoonesco. A risolvere la situazione ci pensò il reparto marketing con uno spot in cui un uomo travestito da Crash guidava un pickup e lo parcheggiava di fronte un edificio con il logo di Nintendo. Sceso dalla macchina e armato di megafono, l’uomo iniziava a urlare le caratteristiche del gioco. Era un vero e proprio guanto di sfida, che puntava più sull’immagine da badass del protagonista che sulle immagini del videogioco. E così, tutta la campagna marketing trasformò Crash da mascotte in underdog, una figura di intermezzo tra il vecchio mondo a 16 bit e l’universo rivoluzionario di PlayStation.

Crash funzionava perché era un adolescente che voleva diventare adulto seguendo le sue regole. Era un cartoon con i jeans e le sneakers, aveva una fidanzata che era la versione marsupiale di Jessica Rabbit e, soprattutto, fu promosso secondo una strategia di comunicazione che sottolineava il suo essere ribelle e fuori controllo.

Poco male se il gioco fosse molto più normale: l’immagine di Crash Bandicoot corrispondeva esattamente a quella del suo giocatore di riferimento, il meccanismo mimetico funzionava a meraviglia e il titolo Naughty Dog diventò il racconto di chi scopriva, per la prima volta, il videogioco come fenomeno di costume.

Il regno videoludico di Crash Bandicoot durò tre anni e mezzo: il tempo di tre indimenticabili avventure e, all’apice del successo, di un episodio di guidache, ancora oggi, è l’unica vera alternativa—e per alcuni, me compreso, decisamente più divertente—a Mario Kart. Quello che Naughty Dog e Sony non sapevano, è che il lascito di Crash era destinato a durare per molti anni a venire, perché tutti gli adolescenti di allora hanno ricordi indelebili collegati, in un modo o nell’altro, alla sua figura e la notte si sognano le piroette per rompere le casse protetti dalla maschera dell’invincibile Aku Aku.

La nostalgia, puntualmente, raggiunge il suo apice in questo periodo dell’anno, quello che precede l’E3 di Los Angeles—l’evento più importante per il settore dei videogiochi, ovvero quello dove le più grandi aziende alimentano la diabolica macchina dell’hype. L’anno scorso il colpo di teatro furono gli annunci di Shenmue 3 e del remake di Final Fantasy VII. In questi giorni invece una delle domande ricorrenti è: tornerà Crash?

Sony ha smentito anche in questa occasione, eppure, rispetto al passato, l’E3 2016 potrebbe garantire qualche sorpresa. Il primo segnale è, intanto, la presenza di Crash in un videogioco di Naughty Dog prodotto da Sony. Se ai più questa notizia sembrerebbe “innocua”, in realtà non lo è per niente: la proprietà intellettuale di Crash Bandicoot è di Activision, dopo essere passata di mano in maniera ingloriosa per diversi produttori e sviluppatori che han provato a realizzare seguiti e spin off non esattamente all’altezza nel corso degli anni. Non ci sono notizie di una riacquisizione della casa madre ma il ritorno, in maniera tra l’altro non creditata, di Crash in una IP Sony sviluppata dai creatori originali può essere sicuramente un segnale incoraggiante.

Lo è, ancora di più, se nel corso degli ultimi mesi si sono verificate le seguenti coincidenze: durante la PlayStation Experience di San Francisco del dicembre 2015, Shawn Layden, presidente di Sony Interactive Entertainment Worldwide Studios, si è presentato sul palco con una t-shirt raffigurante Crash Bandicoot; due account twitter ufficiali di PlayStation, Medio Oriente e Latinoamerica, hanno pubblicato, apparentemente senza motivo, due poster del titolo Naughty Dog; il doppiatore di Neo Cortex, Lex Lang, ha svelato sul proprio account di Facebook che presterà la sua voce alla rinascita di tre personaggi dei videogiochi e, quasi inutile da dire, uno dei tre viene identificato come un generico “a doctor”, lo stesso appellativo dell’antagonista di Crash.

Se tre indizi fanno davvero una prova, lo scopriremo il 14 giugno alle 3 del mattino ora italiana, quando allo Shrine Auditorium Sony svelerà i suoi piani per il prossimo futuro. [Aggiornamento: durante la conferenza Sony all’edizione 2016 dell’E3, è stato annunciato un ritorno di Crash Bandicoot sulle console Next-Gen. L’intera saga composta da tre titoli verrà rimasterizzata e adattata in esclusiva per PlayStation 4]

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