Avere un CV con tanti lavori diversi ti penalizza?

cum sa iti faci cv-ul daca ai lucrat in mai multe locuri

Il mio percorso lavorativo finora non è stato dei più lineari: dopo un dottorato in letteratura in Italia decisi di trasferirmi all’estero e lavorare per un’associazione ambientalista. Successivamente sono stato cuoco in un bistrot vegano, insegnante di educazione ambientale in una scuola alternativa, receptionist in un ostello e potrei andare avanti così con altre occupazioni più o meno disparate, fatte per scelta o per necessità. Il ciclo era più o meno sempre lo stesso: all’inizio c’era l’entusiasmo ma anche la frustrazione di imparare qualcosa da capo e sentirmi un principiante, poi subentrava la soddisfazione per aver imparato a fare quel lavoro discretamente bene, infine la voglia di provare qualcosa di nuovo.

Per anni non mi sono preoccupato tanto, amavo troppo l’idea di sviluppare talenti molteplici e non dover scegliere per forza un percorso professionale. Ma ultimamente osservo alcuni amici che raccolgono i frutti di un cammino lavorativo abbastanza lineare e mi chiedo: sono stato un inconcludente che ha buttato anni in modo futile senza specializzarsi in nulla?

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Recentemente un fiorente filone di TED Talk e libri ha iniziato a esaltare le doti delle persone generaliste e cosiddette “multipotenziali”, facendo sentire meno soli coloro che non riescono a scegliere precocemente un percorso professionale univoco. Magari essere poliedrici è davvero un vantaggio e non un limite, ma è anche vero che viviamo all’interno di una società che invece esalta la iperspecializzazione.

Come può cavarsela chi non ha un bel CV lineare e impeccabile durante le selezioni per un posto di lavoro? Come la mettiamo poi con chi si è ritrovato a fare molti lavori diversi, non per scelta ma per necessità? Per capirlo, ho parlato con due figure esperte nella selezione del personale.

Un CV con tante esperienze lavorative secondo recruiter ed HR

“Sfatiamo un mito, non sono troppe le persone che vanno dritte da A a B, ancora di meno sono quelle che crescono con una ‘chiamata’ per un lavoro specifico,” mi spiega Olimpia Ricci, recruiter e headhunter a Bologna.

A suo parere è importante la consapevolezza di avere un percorso originale: “invece di nasconderlo bisognerebbe costruirci su un efficace storytelling. Se per scelta o per necessità hai svolto molti lavori diversi, nel curriculum o nella lettera motivazionale dovresti sforzarti di creare un filo conduttore tra queste esperienze, prova a convincermi che questa eterogeneità ti rende ideale per la posizione.”

Guido Penta, HR manager a Roma, si trova d’accordo con Ricci, ma è anche consapevole della difficoltà per chi ha un curriculum con tante esperienze lavorative di rompere quel circolo vizioso che danneggia: “un CV racconta a malapena il 30 percento delle loro storie professionali, ma un recruiter che ne riceve una marea non ha il tempo materiale per approfondire ogni singola candidatura e non può permettersi di invitare tutti a un colloquio, magari si finisce per andare sul sicuro con quei profili che sulla carta offrono più garanzie.”

Dato che chi ha una carriera accidentata potrebbe avere meno chance di essere invitato a un colloquio, Penta consiglia di essere strategici e inviare meno candidature, ma più personalizzate e tagliate su misura, “se parti già da una posizione ‘svantaggiata’, il tuo curriculum e la lettera motivazionale devono essere stilisticamente impeccabili e ragionate.”

Ma cosa pensano nelle risorse umane di chi ha fatto molti lavori diversi in successione, oppure ha CV accidentati? Penta mi fa notare che i recruiter non sono immuni da queste difficoltà: “in passato anche io sono rimasto disoccupato e per un anno ho accettato un impiego che non c’entrava nulla, poi fortunatamente mi sono rimesso in carreggiata. Nella vita di una persona possono succedere così tante cose, in teoria noi recruiter dovremmo valutare solo le competenze professionali di un candidato per quel determinato lavoro, non la sua vita privata o i suoi buchi nel CV.”

Diverso, secondo Penta, è quando una persona cambia frequentemente all’interno dello stesso settore: “quello è un campanello d’allarme: sei uno difficile e ti licenziano? Sei uno che si annoia facilmente e dopo sei mesi se ne va? Sei uno che bada solo ai soldi e si licenzia non appena offrono un po’ di più altrove? Meglio approfondire.”

D’altro canto, specializzarsi può anche rivelarsi un’arma a doppio taglio e la pandemia l’ha reso più evidente che mai: chi ha sempre lavorato nell’accoglienza, nella ristorazione, ma anche in aree insospettabili come l’avvocatura, è fermo da un anno o lavora a singhiozzo, mi fanno notare Ricci e Penta.

In più, secondo quest’ultimo si può diventare molto bravi in un’area ben circoscritta, ma le proprie conoscenze possono diventare obsolete. Per questa ragione dovremmo tutti prendere esempio da chi lavora nell’informatica: “chi si forma nel settore IT impara a usare certi programmi o software, ovviamente in continua evoluzione. Alcuni diventeranno obsoleti o verranno sostituiti da altri, ma un informatico non si dispera perché sa usare solo Java, semmai si rimbocca le maniche e si mette a studiare, si tiene aggiornato coi webinar, fa corsi online, partecipa agli eventi. Ecco, l’autoformazione continua al giorno d’oggi dovrebbe diventare generalizzata.”

Scegliere che lavoro fare quando hai tante passioni diverse

Ma per chi proprio non riesce a decidersi tra tante passioni, c’è un modo per capire quale realtà lavorativa può essere più adatta? Ricci consiglia di evitare quelle troppo strutturate: in aziende o settori con aree  di competenza ben delineate saranno premiati i profili più adatti alla crescita verticale, mentre in realtà più piccole o dinamiche indossare più cappelli professionali sarà un valore aggiunto.

Ricci poi mi fa notare che oggi bastano pochi click per entrare in contatto con chi può fornirci dei suggerimenti utili: “ti interessa un determinato lavoro? Contatta su Linkedin chi lo fa già, chiedi i pro e contro e fai domande, quel social network d’altronde esiste proprio per quel motivo.”

Infine Penta mi lascia con una riflessione: “se non hai avanzamenti di carriera o prospettive di riceverne una, se lavori sempre con gli stessi colleghi o le tue mansioni sono identiche e monotone, è naturale sentirsi oppressi dal proprio lavoro e cercare di meglio. Ma se sei una persona che si annoia facilmente e non riesce a trovare un suo posto nel mondo, direi un po’ brutalmente che cambiare occupazione non risolverà il problema. Inoltre, non dimentichiamoci che viviamo in Italia: il mercato del lavoro non è così liquido e dinamico, e non dà la possibilità a tutti di cambiare ogni sei mesi.”