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Musica

Recensione: Mark Pritchard - The Four Worlds

Con 'The Four Worlds', l'artista anglo-australiano ha raggiunto un'ottima sintesi tra elettronica accessibile e ambient raffinata.

Torna Mark Pritchard, trasformista dell’elettronica se ce n’è uno, che dall’ambient sporcato di beat dei Global Communication a metà anni Novanta sembrava si fosse dato ai beat e basta con lo zarrume di Harmonic 313 sul finire degli anni Zero, salvo poi stupirci tutti e fare l’intellettuale a nome proprio negli anni Dieci.

Da cui The Four Worlds, sorta di momento di mezzo tra Under The Sun, un album che vedeva addirittura il nome di Thom Yorke tra gli ospiti e che, va da sé, aveva delle velleità, e un prossimo LP già in lavorazione. Vista la natura transitoria di questo EP molto lungo o album molto breve, era preventivabile che ne uscisse qualcosa di molto diverso rispetto al suo diretto predecessore, ma che allo stesso tempo ne mantenesse alcune coordinate di riferimento. E infatti siamo sempre dalle parti dell’elettronica facile-ma-raffinata, compendio di influenze artsy-fartsy che mantiene un’accessibilità per il grande pubblico.

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Un po’ di trip-hop di qua, un po’ di ambient di là (dark, pure, nella titletrack), qualche ospite che però non ha neanche lontanamente l’appeal del frontman dei Radiohead e soprattutto un mood fortemente cinematico ed il gioco è fatto. “Glasspops” è l’unico brano con dei beat, ancorché compassati e contenuti, lontani dalla sguaiataggine grime o dalla catarsi danzereccia techno, entrambi generi che Pritchard ha sempre amato; tutto il resto della scaletta è un insieme di frammenti ambient su cui si innestano all’occasione le voci degli ospiti.

L’idea alle spalle di The Four Worlds, a quanto pare, è di musicare un’installazione di realtà virtuale creata insieme a Jonathan Zawada, australiano con cui il Nostro ha già collaborato su Under The Sun. I temi affrontati, coerentemente con questo obiettivo, sono tutti particolarmente alti, e sia Gregory Whitehead che The Space Lady aggiungono in spoken word messaggi leggeri: il primo cita un passo della Genesi che viene loopato per tre minuti (“Come Let Us”), la seconda recita un messaggio di soccorso pandimensionale rivolto agli alieni (“S.O.S.”, appunto).

Pritchard, insomma, ha per il momento messo da parte le movenze sinuose che ne caratterizzarono gli esordi artistici e i bordoni coatti della prima età adulta, per concentrarsi su un percorso più maturo e stratificato, fatto di suoni liquidi e sognanti, ma capaci allo stesso tempo di inquietare e, perché no, stimolare una riflessione, nostra o aliena che sia poco importa. Che questo inglese ormai trapiantato in Australia fosse un personaggio di rilievo lo sanno anche i sassi, ma dopo qualche anno di basso profilo è un piacere ritrovarlo in ottima forma per la seconda volta a così stretto giro.

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The Four Worlds è uscito il 23 marzo per Warp.

Ascolta The Four Worlds su Spotify:

TRACKLIST:
01. Glasspops
02. Circle Of Fear
03. Come Let Us feat. Gregory Whitehead
04. The Arched Window
05. S.O.S. feat. The Space Lady
06. Parkstone Melody II
07. Mên-an-Tol
08. The Four Worlds

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