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Musica

Recensione: The 1975 - A Brief Inquiry Into Online Relationships

Quello dei 1975 è l'album più discusso del momento, ma è anche di una bruttezza sfacciata.
The 1975 A Brief Inquiry Into Online Relationships cover artwork

Questo è il classico disco di cui scrivo quanto fa schifo e poi vende sfracelli di copie e tutta la critica impazzisce. In realtà è già così, e il motivo per cui mi è stato assegnato è proprio perché se ne sta parlando bene e sta raccogliendo enormi consensi.

Ora, io non vorrei fare lo stronzo a tutti i costi, e giuro che il titolo dell’album mi aveva messo in uno stato d’animo di curiosità e interesse, ma poi ho schiacciato play.

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“Give Yourself A Try” sembra un pezzo di MTV brutto dei primi duemila, tipo The Calling.
“TOOTIMETOOTIMETOOTIME” sembra i Chainsmokers, quelli di “Closer”.
“How to Draw / Petrichor” è Bon Iver brutto (che già l’originale insomma) con poi una ritmica da pubblicità di una macchina.
“Love It If We Made It” è Bon Jovi, o GLI ARK. Alla metà esplode il cattivo gusto puro.
“Be My Mistake” è quella roba tipo James Blunt o Michael Bublé.
Quando in “Sincerity Is Scary" parte IL CORO penso di essere di fronte a uno scherzo.
“The Man Who Married A Robot” è l’Ok Computer dei poveracci.
“Inside Your Mind” fa cascare le palle a terra anche se non ce le avete, è una delle canzoni più brutte, kitsch e di cattivo gusto che abbia mai sentito e arrivato alla decima non pensavo si potesse scendere ancora più in basso.
Non sentivo qualcosa di brutto come l’attacco di “It’s Not Living” da “Zero stare sereno” dei Thegiornalisti, e sul finale sembra direttamente una canzone di High School Musical.
“Surrounded By Heads And Bodies” sembra Enrique Iglesias su una chitarra dei Radiohead, e considerate che è una delle meno orribili.
Con “Mine” siamo di nuovo in zona Michael Bublé, per il cantato. Per l’arrangiamento volevo scomodare qualcosa di diverso (tipo gli Wham!), ma in realtà il paragone va bene anche per quello.
“I couldn't be more in love” contiene echi del Michael Jackson brutto degli anni Novanta.
Devo andare avanti ancora molto?

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Non so se trovo più orribile la voce del tipo o le produzioni tutte: è affascinante per quanto è brutto, è il disco perfetto per la generazione Pitchfork che già si è ciucciata cose orrende come The War on Drugs o l’ultimo dei Phoenix, è un disco che grida da ogni centimetro “pop contemporaneo” e "siamo bianchi ma ascoltiamo l'rnb", ma lo fa in modo disperato, realizzando in realtà un perfetto compendio di musiche bruttissime degli ultimi dieci anni. Pensate a cose orrende di successo su MTV negli ultimi dieci anni, a canzoni da pubblicità del Mulino Bianco, e in questo disco troverete tracce di quasi tutto.

Perché gli Ark nessuno li ha presi sul serio e questi sì? In fondo siamo di fronte a un’attualizzazione degli anni Ottanta più orrendi (parliamo di cose alla Michael Bolton) mista alle canzoni di Dawson’s Creek e a elettronica pacchiana, né più né meno. Ok, c’è il discorso dello storytelling, la narrazione, quella che fa funzionare le cose nel 2018. Il cantante dei 1975 è un inglese figlio di attori famosi che tra gli amici di famiglia ha gente tipo Sting, è un bel ragazzo tormentato ed è appena uscito da un problema con l’eroina. Nei testi mette riferimenti a Trump e Kanye West, a Lil Peep e a come si vivono le cose su internet.

Tutto questo, misto a musica di una bruttezza sfacciata, lo rende “interessante” per come gira il pop al giorno d’oggi. Pazienza se i testi suonano forzati da morire, se ogni strofa sembra dire “ehi guarda come sono contemporaneo”, “ehi si vede che veniamo dall’emo?”, “ehi guarda come sono coraggioso a dire certe cose sulla mia vita emotiva”, “ehi parlo anche di una nostra fan che si è suicidata”. Non discuto la buona fede del tipo, è probabilmente così davvero, discuto il fatto che sia un insopportabile egomaniaco che pensa che il mondo giri intorno a lui e che questo non me lo rende piacevole da ascoltare. Soprattutto perché non è Kanye West.

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Per non lasciarvi in questo abisso di cattivo gusto, chiudo con una bella notizia che non c’entra niente, ma magari giunti a questo punto volete ascoltare della musica bella: gli Stereolab ristampano un po’ di album e hanno annunciato che nel 2019 suoneranno in giro. O, in alternativa, ieri abbiamo pubblicato la recensione del disco di Earl Sweatshirt, che è molto bello.

Detto questo, chiedo ufficialmente alla redazione di Noisey che questa recensione mi venga pagata almeno il doppio del normale per la tortura che ho dovuto subire. E sappiate che questi diventano grossi, almeno tipo The National o Killers. Vi abbiamo avvertito.

A Brief Inquiry Into Online Relationships è uscito il 30 novembre per Dirty Hit.

Ascolta A Brief Inquiry Into Online Relationships su Spotify:

TRACKLIST:
1. The 1975
2. Give Yourself A Try
3. TOOTIMETOOTIMETOOTIME
4. How To Draw / Petrichor
5. Love It If We Made It
6. Be My Mistake
7. Sincerity Is Scary
8. I Like America & America Likes Me
9. The Man Who Married A Robot / Love Theme
10. Inside Your Mind
11. It's Not Living (If It's Not With You)
12. Surrounded By Heads And Bodies
13. Mine
14. I Couldn't Be More In Love
15. I Always Wanna Die (Sometimes)

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