Tutti i dubbi di una sedicenne italiana che ascolta rap

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Tutti i dubbi di una sedicenne italiana che ascolta rap

"Sono pochi, i rapper che parlano di donne e non delle loro tette. E va a finire che diventa la normalità."

I miei genitori mi dicono sempre che da piccola l’unica arma efficace per farmi stare buona era mettermi sul divano davanti ad un film con qualche Plasmon e qualcuno accanto. Mio padre, con il tatto tipico di tutti i padri, mi fece vedere il film di The Wall dei Pink Floyd alla tenera età di 5 anni. L'esperienza mi procurò una paura cronica (esiste?) del tritabimbi e un senso di rigetto di fronte a qualunque tipo di carne perché, dicevo, "sono bimbi tritati”. Dato che solitamente guardavo gli stessi film più e più volte, mio padre capì che non era il caso di farmelo rivedere ma di propormene un altro, magari più adatto alla mia età. Scelse Billy Elliot, e quel DVD non uscì dal lettore per qualche mesetto.

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Billy Elliot racconta la storia di Philip Mosley, un ragazzino che scopre di amare la danza ed imperterrito decide di prendere lezioni per sviluppare il suo talento, nonostante l'opinione contraria del padre e del fratello. Il messaggio di quel film l’ho capito dopo qualche tempo. Nel fantastico mondo dei bambini, quelli non tritati, non esistono limiti imposti dal sesso né da qualunque altra cosa. Billy vuole vivere di danza, un mondo che appare essere in mano alle donne. E io, che ero una bambina che tornava a casa con il grembiule sporco di terra perché giocava a calcio con i compagni, ascolto rap, un mondo che appare essere in mano agli uomini.

Uno screenshot da Billy Elliot.

Ho sedici anni ed è questa l’età in cui generalmente prendi coscienza dei tuoi talenti perché hai un estremo bisogno di sapere cosa sei capace di fare. Nel mio paesino c’è qualcuno che prova a farcela col rap, ma sono solo ragazzi. Non conosco nessuna ragazza per la quale sputare rime su beat old school americani presi da YouTube sembra essere l’unica ragione di vita. Mi sono chiesta il perché, ed eccolo qua: immedesimandomi in una ragazza che vuole intraprendere la strada del rap, non riuscirei a conciliare questa mia passione con una prerogativa che tutti gli adolescenti hanno, cioè quella di essere accettati.

Ciò comporta di attenersi agli schemi, a quelle regole non scritte che tutti sanno a memoria. Significa soffocare qualunque passione o atteggiamento che non sia conforme alla massa. Se sei un ragazzo che viene da un paese e fai danza classica, sicuramente ti pioverà addosso qualche insulto o battuta scomoda uscendo la sera. Almeno in un paesino piccolo come il mio, dove qualunque piccolezza diventa argomento di infiniti pettegolezzi e chiacchiere. Lo stesso accade se sei una ragazza e fai calcio o vorresti provare a rappare.

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Per spiegarmi, mi viene in mente una rima di Fedez in "Generazione Boh": "Non ci fermiamo alle precedenze ma ci fermiamo alle apparenze". Mi sembra che nel mio paese e nella mia nazione l'atteggiamento tipico purtroppo sia proprio questo: si è fermamente convinti che il figlio maschio debba fare cose da maschio, come giocare a calcio, e quindi che il rap lo facciano gli uomini e non le donne. Chi crede non andrebbe mai allo stadio per vedere una partita di calcio femminile, allo stesso modo non è portato ad YouTube per ascoltare qualche voce femminile.

Credo che questo sia avvenuto anche perché le donne che fanno rap sono sempre state messe in ombra dai grandi del genere. Da quando il successo non si misura più in dischi venduti ma a forza di risultati ottenuti su internet regna la meritocrazia, ma per fare musica non serve solo talento. Ti devi anche misurare con il contesto in cui vivi e operi, e se sei donna devi superare dei paletti che ti sono stati imposti.

CRLN, fotografia di Ciro Galluccio.

L'episodio che ha visto coinvolta CRLN a Messina è calzante. Aprendo il concerto di Gemitaiz, CRLN ha ricevuto dal pubblico insulti sessisti che, insieme ad altre situazioni avvenute lungo il corso della serata, hanno scatenato in lei tutto ciò che normalmente non si dovrebbe provare dopo un concerto. Come ha dichiarato lei: "L’ordine di lasciare il backstage appena scesa dal palco, l’attesa paragonabile a quella di un agnellino che sta andando al macello (…) la voglia di scappare da lì sopra il prima possibile, la sensazione che ti stanno in qualche modo violentando”.

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Anche io sono andata ad una data del tour di Gemitaiz, precisamente tre giorni dopo l’accaduto a Messina. Saranno state circa le 8.30 e tutti avevano deciso di alzarsi in piedi. Nonostante il sole fosse calato, faceva caldo. Due ragazze si sono sporte dalla finestra della struttura adiacente al palco facendo un video. Chi non le avrebbe invidiate? Vedevano il concerto meglio di tutti, senza aver fatto un minuto di fila. Evidentemente a qualcuno rodeva, e così sono partiti da parte del pubblico i soliti insulti e "Ollèlè, ollàlà, faccela vedè, faccela toccà". E io mi sono vergognata di stare lì nel mezzo. Il pubblico era abbastanza eterogeneo; posso capire che un ragazzino di 15 anni non sappia cosa dice, ma se anche a 20 non hai ricevuto un'educazione adeguata e non hai un'idea di limite, allora è un problema.

Un mio amico con cui parlavo del tema di questo articolo" mi ha detto una frase perfetta per parlare di un episodio come quello di cui sopra: "Sei l’unica ragazza che conosco che ascolta rap, secondo me è il genere che più in assoluto vi strumentalizza”. Il che mi ha fatto pensare molto: è vero, spesso si parla di "bitch", della donna come merce di vanto. Ma non è forse lo stesso atteggiamento che permea ogni ambito della società, dalla TV al lavoro? Le veline di Striscia la Notizia non fanno niente di strano o sconcio che possa offendere il genere femminile, ma il loro corpo non è comunque strumentalizzato? Il rap è lo specchio della società senza filtri e chi si scandalizza davanti ad un testo è, per dirne uno, lo stesso imprenditore che non assume un’operaia donna. Il problema esiste ed è inutile calarsi le tendine davanti agli occhi facendo finta di non vederlo. E c’è solo del positivo se qualcuno ha voglia e coraggio di dire queste in modo che arrivino a più persone possibili.

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Screenshot dal video di "British".

Quando ascolto rap, personalmente, non faccio neanche caso ai "bitch" che sento. Faccio un esempio pratico, usando "Peace & Love" di Ghali e Sfera e il suo "No, non mi piace la bianca / Una pussy nera e una gialla". Dal punto di vista del mio amico queste "pussy" (sinonimo, non proprio sinonimo, di donne) sembrano oggetti, maglie che tu hai a disposizione di tre colori diversi. Qualcuno potrebbe dire “Ma devi vederla con più leggerezza, è un singolo estivo". Io direi che la leggerezza non fa parte di me, ma anche che non faccio nessuna colpa a Sfera per questa barra. Se anche noi donne ci siamo abituate a sentirlo parlare così e non ci scandalizziamo, perché dovrebbe farlo un uomo?

Non che "Peace and Love" non sia piena di frasi a cui pensare. Sfera dice “Cambio la tipa come cambio flow”: cosa succederebbe se in contesto musicale una donna dicesse una cosa del genere? Sicuramente si guadagnerebbe il nomignolo di troia o quant’altro, mentre se un uomo si vanta di cambiare tipa ogni sera colleziona solo applausi. Magari anche la richiesta di un tutorial.

Un altro esempio: "British" della Dark Polo Gang è un classico loro-pezzo che martella le orecchie, me la canticchio spesso in testa. Quando la ascolto con le mie amiche la balliamo e cantiamo senza problemi, anche se stiamo pronunciando le parole "Ho troppe bitch intorno / Non so più quale scegliere". Ed è strano rendermi conto che a me non sdegni neanche un pochino leggere quelle frasi. Perché? Perché sono pochi, i rapper che parlano di donne e non delle loro tette. E va a finire che diventa la normalità. Segui Noisey su Instagram e su Facebook.

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