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Musica

La storia dei KLF è un manuale per sovvertire il mondo del pop

È uscito un libro che racconta la storia del duo inglese che prima scalò le classifiche mondiali, poi bruciò letteralmente tutti i soldi che aveva guadagnato.
Illustrazione via Not.

Ispirata dal post-Concertone del Primo maggio, sembra scoppiata una diatriba infinita sul significato del pop oggigiorno. In una manifestazione in cui il discorso politico sembra passato in secondo piano, anzi, quasi assente, ci si domanda se nel 2018 sia ancora possibile un pop che non solo porti messaggi sociali ma che sia anche e soprattutto “di rottura”, pur continuando a entrare nelle case di tutti. A parte il fatto che metà di queste discussioni sono completamente insensate e basate sulla paura della novità, non è una questione solo italiana. In tutto il mondo c’è una marea di cantanti con la voglia di “avere l’anello al naso” come vacche, parafrasando Steve Albini.

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A dirla tutta io ero già un po’ avvilito già prima che partisse il circo di San Giovanni. Sapete, per quanto uno possa essere vaccinato verso certe cose, osservare i nuovi beniamini delle classifiche non fa ben sperare: la musica sembra un mezzo per arricchirsi materialmente più che spiritualmente. Ingrassare col sistema e ingrassare il sistema, senza alcun problema etico, è il capitalismo applicato alla perfezione, il mito del self-made man conservatore all’americana, insomma, una montagna di stronzate.

Proprio in questo momento storico in cui uno getterebbe volentieri la spugna, Not fa invece uscire la traduzione italiana di Complotto, libro di John Higgs (storico delle controculture e autore tra l'altro della biografia di Timothy Leary) del 2013 che è la biografia ragionata di uno dei più importanti gruppi pop del ventunesimo secolo: i KLF.

Se non sapete chi siano i KLF e avete, chessò, diciotto anni, non possiamo rimproverarvi. Questo perché i KLF sono stati una band che ha deciso di far sparire le proprie tracce e i propri dischi dalla faccia della Terra nel 1992, nonostante fossero un gruppo con un grandissimo (se non con il grandissimo) successo in Inghilterra e nel mondo, vendessero un pacco di dischi e facessero una barca di soldi con hit quali “Last Train to Trancentral", "America: What Time Is Love?” e “Justified and Ancient”. Ma se avete vissuto anche di striscio in prima persona i favolosi anni Novanta e soprattutto i primi rave e le discoteche pomeridiane, siete imperdonabili e vi meritate quello che c’è oggi in giro.

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Se invece li conoscete, forse non sapete che prima della sparizione andarono anche oltre: gesti estremi, agli occhi di molti inconsulti, assurdi, privi di senso. Da dove veniva questa concezione estrema del pop, tanto estrema da finire per annientarsi da sola? Semplice: l’industria gli aveva letteralmente rubato l’anima; loro se la sono ripresa con gli interessi.

Andiamo però con ordine: le edizioni Not hanno presentato il libro per la prima volta a Roma lo scorso aprile e mi hanno chiesto di partecipare all'evento assieme all’amico Francesco Pacifico. Quindi, nella persona di Valerio Mattioli (che forse conoscerete), mi hanno consegnato il tomo, con l’annuncio che avrei avuto dieci giorni di tempo per leggermelo. Io me lo sono portato a Berlino, dove dovevo stare per una settimana per registrare e fare alcune interviste: ero sicuro che non sarei riuscito a finirlo e che mi sarei dovuto inventare qualche cazzata al ritorno. E invece, la lettura è volata, dritta come un razzo, scorrevole come un fiume in piena. In meno di una settimana l'ho finito tutto, stupendomi parecchio del fatto che fosse davvero una lettura avvincente. Perché la storia dei KLF, oltre ad essere sbalorditiva, ti avvinghia proprio a livello psicologico.

La storia parte da lontano: nel 1965 la segretaria del procuratore distrettuale di New Orelans, autore del libro JFK. Sulle tracce degli assassini (poi interpretato da Kevin Coster nell’omonimo film di Oliver Stone), approfittando della presenza di una fotocopiatrice in studio, preparò col suo amico Greg Hill un libro chiamato Principia Discordia, distribuito sotto falso nome. Nato come uno scherzo tra amici, nei primi anni Settanta diede vita a un vero e proprio culto.

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Il Discordianesimo è, in soldoni, un credo anarchico postmoderno, basato sul fatto che l’ordine è un’illusione, il caos è alla base di ogni cosa e quindi nessuna religione ha senso. L'unica divinità sensata la prendono in prestito dall'antica Grecia: è Eris, dea del Caos. Per aggirare la contraddizione di una religione basata sull'insensatezza della religione, adottarono al posto dei dogmi delle proposizioni chiamate catmi, individuati come l'esatto opposto filosofico dei dogmi. Dove il dogma è una verità assoluta, il catma è una meta-credenza relativa. Il catma centrale della religione discordiana, attribuito al santo discordiano Sri Syadasti, recita:

Tutte le affermazioni sono vere in un certo senso, false in un certo senso, senza senso in un certo senso, vere e false in un certo senso, vere e senza senso in un certo senso, false e senza senso in un certo senso, e vere, false e senza senso in un certo senso.

Insomma, il caos. L’importante è che le certezze crollino o come minimo “fluiscano”. E in effetti, di dubbi sull’ordine mondiale è piena anche la Trilogia degli Illuminati, un libro magico fantapolitico del 1975 scritto da Robert Anton Wilson e Robert Shea, nei quali viene rivelato che il mondo è in mano a forze oscure che lo governano in gran segreto: gli unici che possono davvero fermarli sono i discordiani, appellati in modo diverso a seconda del bisogno.

Da questo libro e da queste congregazioni di discordiani nascerà la prima ragione sociale dei KLF, i Justified Ancients of Mu Mu, acerrimi nemici degli Illuminati e pronti a smontarne i malvagi disegni con notizie false e azioni dirette. L'idea, insomma, è applicare il principio del caos contro la grande industria, per “varcare la soglia fra finzione e realtà”. Chi avrebbe mai detto che a quel libro non avremmo dovuto soltanto tutte le teorie cospirazioniste e il complottismo dilagante di oggi, ma anche un dirompente gruppo pop deciso ad abbattere il sistema, l’industria musicale, lo spettacolo inteso come psicofarmaco delle masse. Ma senza la presunzione, come vedremo, di sostituire a quello vigente un altro ordine: di ordine non se ne parla neanche.

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Chi sono questi eroi moderni? I KLF sono composti da Bill Drummond e Jimmy Cauty. Il primo ideerà le scenografie per l’adattamento teatrale, appunto, del libro Illuminatus, l’altro era uno spettatore che disegnava copertine per grandi bestseller tipo Il Signore degli Anelli. Non si conobbero in quell’occasione ma fu sicuramente il momento in cui le loro personalità si sincronizzarono. Il loro primo vero incontro, nel 1985, sarà decisivo. Cauty a quel punto aveva già fatto parte dei Brilliant, con Youth dei Killing Joke, scoperti proprio da Drummond che, prima ancora di mettersi in proprio, aveva rivoluzionato la musica inglese indipendente dapprima suonando nei seminali Big In Japan, poi con la sua storica etichetta Zoo records facendo da manager a due fra i più potenti gruppi neopsichedelici degli Ottanta: Echo and the Bunnymen e i Teardrop Explodes di Julian Cope.

Ma quando il nostro, galvanizzato dalle sue letture mistiche, si rende conto che i suoi pupilli in realtà pensano più al portafogli, alle droghe e alla fica che allo spirito, decide di fare la rivoluzione da solo. Partendo dal presupposto che scienza e magia possono coesistere e, anzi, la realtà si basa sul bisogno che l'una ha dell'altra, e che è la differenza tra le due che dà vita alla creatività e all’immaginazione, qualità inspiegabili. È una visione del mondo che Drummond condivide con Alan Moore (gigantesco autore di graphic novel che non ha bisogno di presentazioni, basti ricordare V per Vendetta), citato più volte nel libro in quanto fan dei KLF (e viceversa). Il modus operandi del duo sarà quindi quello di lasciare tutto al caso, farsi trasportare dalla corrente e dalla sincronicità Junghiana delle cose, aspetto che gli farà compiere degli atti incomprensibili agli occhi della morale comune, ma coerenti rispetto al loro discorso filosofico/esistenziale.

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Uno dei capitoli che ho letto alla presentazione riguardava un gruppo che proprio ora si è riunito, gli Abba. Un singolo del 1987 firmato dai Justified Ancient of Mu Mu, infatti, si chiamava “The Queen and I", e conteneva un campionamento massiccio di “Dancing Queen”, ma forse chiamarlo campionamento è riduttivo. Trattasi di un furto dell'intero brano con giusto un paio d’interventi inediti, tanto che alla fine i legali degli Abba s’incazzarono non poco, pretendendo l’immediata distruzione dei master. Drummond e Cauty tentarono di riappacificarsi con la band svedese pensando ingenuamente di trattare direttamente con loro, quindi partirono per la Svezia e suonarono il pezzo davanti alla casa discografica, poi regalarono un disco d’oro falso (con l’ironica scritta “per vendite superiori a zero”) a una prostituta che secondo loro assomigliava a una delle ragazze degli Abba. Dopodiché, si spostarono in un campo e appiccarono il fuoco a gran parte delle copie del disco finché un contadino, forse proprietario del terreno, non prese a sparargli contro. Durante il ritorno a casa gettarono il resto delle copie nel mare del Nord improvvisando un concerto sulla nave, praticamente la loro unica esibizione dal vivo, il cui cachet consisteva in… un Toblerone.

Non era una semplice mossa di marketing quindi, quanto un impulso a compiere un atto simbolico, definitivo, completamente spiazzante e surreale. Tant’è, per confondere ancora più le idee, che cambiarono immediatamente nome in The Timelords, ottenendo nel 1988 il loro primo vero successo mainstream con “Doctorin' The Tardis”, un mash up tra la sigla di Doctor Who, Gary Glitter, gli Sweet e Steve Walsh. Schizzarono al primo posto delle classifiche UK e si permisero pure la provocazione di pubblicare un manuale per ottenere facilmente una hit.

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Questo fa capire abbastanza bene l’attitudine della band, assolutamente atipica e fuori da ogni calcolo. Da questa esperienza, col senno di poi, è quasi naturale che venissero fuori i KLF, che starebbe per Kopyright Liberation Front (ma molti pensano che la sigla si possa interpretare i molteplici modi). Il primo disco dei KLF è il magnifico Chill Out, anno 1990. Uno dei più grandi dischi ambient di sempre, assolutamente privo di beat e pensato come colonna sonora del “ripiglio” dopo lo sballo del rave, con una copertina a base di pecore, che nella simbologia del gruppo indicano il sacrificio, nel senso più biblico del termine.

Sacrificio che si consumò nella famigerata notte dei Brit Awards 1992, quando il gruppo si esibì con il gruppo crust punk Extreme Noise Terror, dando vita a una sconquassata quanto inquietante performance. Il duo si presentò al galà in un ruolo regale: i loro singoli dell'anno precedente erano stati i più venduti nel mondo. Anche il loro ultimo album, The White Room, era stato un grande successo: un disco che mescolava dance, hip hop, house, techno, pop, r&b e chi più ha più ne metta, con relativo mini-road movie in cui i nostri vagano nel deserto per cercare una specie di satanasso che gli fa firmare un contratto senza che neanche lo leggano (opera che avrà sicuramente ispirato i Daft Punk di Electroma).

A quel punto, i nostri decidevano di punto in bianco di cambiare stile per inaugurare una specie di techno-metal che avrebbe senza dubbio anticipato gli Atari Teenage Riot, ma le session di quello che avrebbe dovuto chiamarsi The Black Room non terminarono mai, e il gruppo si sciolse ahimè prima di sovraincidere le parti degli Extreme Noise Terror. Ma ci fu la possibilità di ascoltare un antipasto proprio durante quella cerimonia (nella quale vinsero il premio come miglior gruppo). Il set vedeva infatti Drummond a blaterare nel microfono versi inediti contro l’establishment musicale, mentre gli ENS sparavano il loro crustone mal suonato e cantato a grugniti in una improbabile cover del singolo dei KLF “3 A.M. Eternal”. Alla fine del set Drummond spara con mitra a salve contro la folla, costringendo la regia del programma a fare un campo lunghissimo per non traumatizzare il pubblico da casa. Non contenti, riescono anche ad abbandonare il cadavere di una pecora davanti all'ingresso dei Brits, con un cartello eloquente: “Sono morta per voi, buon appetito”. Una chiara metafora dell’artista innocente dato in pasto all’industria. Inutile dire che la cosa suscitò uno sdegno generalizzato, ma senza cogliere del tutto nel segno. Infatti il capoccia della premiazione, Jonathan King, pur di tirare acqua al proprio mulino, dichiarò a denti stretti che l’esibizione gli era piaciuta, e loro non riuscirono nell’intento di scaricare davanti alle scale 40 litri di sangue fresco. Se l’avessero fatto, probabilmente il giudizio sarebbe stato una condanna senza appello.

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I KLF non si possono dire piacevoli, quindi: l’industria però se li fece piacere per motivi di comodo. Ma è anche vero che The White Room rappresentava in effetti una delle poche esperienze dance che ascoltavano anche i rockettari o chi bazzicava ambiti sperimentali, non solo il dancefloor: era pura avanguardia politico/musicale/mistica, non semplice intrattenimento. C’era quel sottotesto che appunto faceva capire che i nostri usavano i mezzi sonori della musica di tendenza per sovvertirla, per andare oltre, addirittura per negarla. Come una tela sulla quale dipingere la rivoluzione.

Il problema era che il sistema discografico cercava in tutti i modi, appunto, di ridimensionarli, additandoli come buontemponi o dando alle loro azioni un significato meramente pubblicitario: invece i loro annunci subliminali su NME, i riferimenti esoterici nelle loro canzoni e le provocazioni erano quantomeno serie. O meglio, serie come potrebbe essere serio un discordiano, in cui ironia, spirito ludico, casualità totale e seria determinatezza a cambiare lo stato delle cose coesistono senza problemi.

La fine del duo, per la sua particolarità, era quindi già scritta all’inizio della loro avventura, e non poteva che essere col botto. Era il 1993 e i KLF non si facevano vedere dai Brits dell'anno precedente, ma si erano trasformati in un'altra cosa: la K Foundation. Un progetto artistico in cui vennero investiti tutti i (considerevoli) proventi dei KLF, e altrettanto bizzarro. L'obiettivo, prevedibilmente, era quello di disintegrare dall’interno anche il sistema delle gallerie. La prima cosa che fecero fu assegnare il premio per il peggior artista dell'anno, indetto parallelamente al prestigioso Turner Prize della Tate Gallery: per colmo dell'assurdo, l'artista Rachel Whiteread li vinse tutti e due. Il premio di quarantamila sterline fu inchiodato alle inferriate della Tate. L’artista si rifiutò di ritirarlo ma presto cambiò idea quando scoprì che se entro le 23 non si fosse fatta viva le banconote sarebbero state bruciate una per una.

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Nell'agosto del 1994, come ultimo atto definitivo, Drummond e Cauty organizzarono un'altra azione: presero tutti i soldi rimasti nel fondo della K Foundation, un milione di sterline in contanti, e vi diedero fuoco in una rimessa per barche sull'isola scozzese di Jura, filmando il tutto. Un anno dopo, portarono in tour il film ricavato dall'azione, offrendosi di spiegare a chiunque lo chiedesse il significato dell'azione. Al termine del tour, sciolsero definitivamente la K Foundation e giurarono di non fare più riferimento al rogo per i seguenti 23 anni.

Vaglielo a dire a tutti 'sti trappettari di oggi che credono veramente nel potere dei soldi. Il vero potere dei soldi è di renderti uno schiavo. La loro azione fu più di un suicidio economico e artistico, non solo mandare al macero tutte le copie dei loro lavori presenti nei negozi: fu soprattutto un gesto che a tutti gli effetti portava un danno economico al music business, che grazie ai successi dei KLF s’ingrassava sempre più.

Una volta chiuso il libro mi sono arrivati i primi segnali dal cielo. Innanzitutto, sul muro del posto in cui pernottavo c’era scritto con lo spray a caratteri cubitali la parola MU. I Justified Ancients of Mu Mu mi stavano parlando, m’invitavano a cercare la terra promessa, il mitico regno perduto cantato anche da Cocciante, ma non solo: sulle pareti delle scale di casa di una mia amica, dove avrei dovuto dormire giorni dopo, campeggiava un coniglio gigante disegnato con un pennarello rosso, chiaro riferimento al coniglio/icona dei Bunnymen, Echo, che Drummond aveva innalzato come una divinità spiritico-demoniaca, un motore immobile. E poi forse Echo mi ha messo alla prova. Un giorno, mentre stavo lasciando la casa di un amico diretto appunto all’abitazione con l’immagine del coniglio, ho preso la metro e sono stato assalito dal sospetto di non aver chiuso la porta. Prima sono arrivati il panico e la tentazione di tornare indietro. Poi ho ripensato ai KLF e mi sono detto: vediamo cosa succede. Lasciamo che la magia faccia quello che il raziocinio non può. Non sono tornato sui miei passi, sicuro che le cose sarebbero andate come dovevano andare. E infatti poi la porta era chiusa perfettamente, solo che dentro avevo dimenticato il libro. Ho ancora il dubbio di non aver chiuso io quella porta. Sorvolo poi sul numero 23, ricorrente durante tutta quella settimana e parte dell’iconografia sacra dei KLF, altrimenti mi prendereste per pazzo. È la stessa sensazione, però, che narra Higgs alla fine del libro, dove elenca una serie di coincidenze che lo legano ai suoi soggetti di studio (ad esempio, una compagna di scuola della figlia, casualmente, aveva un padre ex popstar che aveva bruciato un milione di sterline).

Nonostante non avessi più il libro, una volta tornato a Roma la sera della presentazione non ho avuto problemi a ritrovare i numeri delle pagine con i passi scelti, perché, guarda un po', me le ero casualmente segnate sul telefonino. Pian piano che la presentazione andava avanti mi sono reso conto che la situazione era molto più complessa di come la metteva Higgs, il quale afferma che il rogo dei KLF avrebbe in qualche modo, simbolicamente e magicamente, dato inizio al XXI secolo. A mio parere, invece, simboleggia soprattutto la fine di tutta la musica pop e di tutta l’arte. L’ultimo grande gesto di libertà, gesto forse secondo solo alla montagna di denaro dilapidata dai Beatles nell'impresa della Apple Corps.

In onore dei KLF, gli amici di Not avevano preparato un braciere per dare ritualmente fuoco a dei biglietti di banca, ovviamente falsi. A me è stato dato il compito di accendere la fiamma, solo che la carta plastificata delle nostre banconote non ne voleva sapere di prendere fuoco. A quel punto, d'istinto, ho preso 20 euro dal mio portafogli e li ho bruciati: è stato il momento più liberatorio della mia vita. Così ho capito un'altra grande metafora dei KLF: solo i soldi veri prendono fuoco, quelli falsi rimangono in eterno. Un po’ come il pop di alta classifica, ci rimane nel cervello per secoli ma di base è solo fuffa, proprio perché non muore mai.

Il libro di Higgs è quindi, più che la biografia di una band leggendaria, un piccolo manuale filosofico/esoterico/musicale di resistenza aliena in questo mondo di merda, da leggere assolutamente, anche nella sua redazione caotica, fatta di colpi di scena, rimandi e parallelismi storici, ripetizioni, sottolineature, stasi narrative, analisi politico-sociali e voli pindarci. Una ventata d'aria fresca, insomma, nonostante parli di una band che si è sciolta da anni (anche se dopo 23 anni si sono riuniti, tenendo fede a un patto che, come potete immaginare, era mistico). Fate come i KLF, accendete un fuoco purificatore. "Siamo antichi e giustificati”: non c’è pop music che tenga.

Demented è su Twitter: @DementedThement.

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