Terremoti, smog e wireless: dentro il Joint Research Centre di Ispra
Tutte le foto di: Indro Pajaro

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Tecnologia

Terremoti, smog e wireless: dentro il Joint Research Centre di Ispra

167 ettari di pura scienza.

Varcare i cancelli del Joint Research Centre di Ispra è un po’ come entrare in una città della scienza, un luogo che spazia dagli studi sui terremoti a quelli sulle emissioni delle automobili, fino alla sperimentazione di sistemi di comunicazione wireless

Ci si accorge della grandezza del posto soltanto dopo essersi lasciati alle spalle l’imponente ingresso sovrastato dalle bandiere dei 28 Paesi dell’Unione Europea, oltre al quale si sviluppa un dedalo di 36km di strade interne, ciascuna con il nome di uno Stato membro, che formano i 167 ettari dell’unico Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea in Italia.

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Si tratta di un istituto – presente anche in altre sei paesi europei – che ha lo scopo di fornire una base tecnica e scientifica alla progettazione, allo sviluppo, all'attuazione e al controllo delle politiche dell'UE mediante consulenze indipendenti basate su prove concrete: tra gli studi più capillari del centro, ci sono per esempio quelli sulle nuove tecnologie di riduzione degli inquinanti e di aumento dell'efficienza energetica. Quello di Ispra è il più grande tra i siti del JRC: vi lavorano 2.000 persone e ci sono circa 400 edifici, molti dei quali sono laboratori.

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La storia del JRC inizia nel 1957, quando a Roma i Paesi fondatori dell’Unione Europea firmavano il Trattato Euratom che istituiva la ‘Comunità europea dell’energia atomica’, con lo scopo di sviluppare un’industria nucleare sicura e pacifica, partendo dalla fondazione di un Joint Research Centre localizzato in diversi Stati membri e gestito dalla Commissione europea nel quale svolgere studi di alto livello, condividerne i risultati e definire standard di sicurezza comuni.

Alcuni Paesi misero a disposizione i propri istituti. L’Italia propose quello di Ispra, dove nel marzo 1959 fu acceso Ispra-1, il primo reattore operativo sul suolo nazionale, spento tredici anni più tardi. Nel 1968 entrò in funzione anche Essor, il secondo e più grande reattore alto 45 metri nonché l’elemento paesaggistico maggiormente evidente di tutta la struttura, attivo fino al 1983. Lo spegnimento dei reattori – in base ai nuovi programmi dell’Unione Europea – ha sancito un nuovo inizio per il JRC di Ispra, che ha quasi totalmente abbandonato la vocazione per il nucleare in favore di altri ambiti di ricerca.

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Come spiegato da Paolo Peerani, capo unità disattivazione nucleare, durante la visita al visita al centro, ”A partire dal 1999 è stato avviato un programma di smantellamento destinato a smantellare le installazioni nucleari presenti e a gestire i rifiuti radioattivi creati. Si tratta di un processo lungo e ancora in corso, che dovrebbe terminare tra il 2030 e il 2040”. Lo scopo è raggiungere quello che viene chiamato “prato verde”, ovvero la possibilità di riutilizzare per qualunque scopo un terreno prima soggetto a vincoli e retaggi.

“Dopo lo smantellamento i rifiuti verranno portati nell’area 40, dove un nuovo deposito, al momento vuoto, sarà adibito allo stoccaggio di circa 12.000 metri cubi di scorie cementate in oltre 2.000 contenitori di acciaio in attesa del trasferimento al Deposito Nazionale italiano,” ha proseguito Peerani.

Quello di Ispra è il più grande tra i siti del JRC: vi lavorano 2.000 persone e ci sono circa 400 edifici, molti dei quali sono laboratori.

L’infrastruttura, che dovrebbe essere ultimata intorno al 2025 in un luogo ancora da definire, ospiterà e smaltirà tutti i rifiuti radioattivi generati sul territorio nazionale. Nonostante la chiusura dei reattori, qualche attività sull’energia atomica persiste ancora nel centro di Ispra. Si tratta dei cosiddetti “studi di non proliferazione”, finalizzati allo sviluppo di tecnologie specifiche per consentire agli ispettori della Commissione europea di verificare che il nucleare sia usato per fini pacifici e non bellici.

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Nonostante esistano altri centri di ricerca dedicati a tematiche simili, le sedi del JRC hanno tutte la peculiarità di essere europee e svincolate da interessi nazionali, garantendo la massima neutralità e obiettività dei test. Tra le tipologie di esperimenti condotti in questo centro, una delle più peculiari è quella che avviene nel Laboratorio Elsa (European Laboratory for Structural Assessment), nel quale vengono simulati gli effetti delle scosse su strutture a scala reale con l’ausilio del reaction wall più grande d’Europa.

Il laboratorio Elsa del JRC. Foto: Indro Pajaro

“Questo enorme muro blu alle mie spalle permette di usare delle macchine idrauliche per applicare una forza sulla struttura, aumentarne l’accelerazione e farla quindi muovere,” mi spiega il ricercatore Martin Poljansek. “Non sappiamo come reagirà, ma abbiamo il vantaggio di localizzare precisamente i danni generati dal terremoto.”

Nel laboratorio Elsa vengono simulate scosse realmente accadute al fine di elaborare degli standard europei per l’edilizia, offrendo linee guida per la costruzione di nuovi edifici o per l’adattamento con criteri antisismici di quelli già esistenti. Data la complessità delle verifiche e il lavoro di montaggio e smontaggio di strutture che possono arrivare ai cinque piani di altezza, ogni anno vengono testati al massimo due edifici.

Guarda il nostro documentario su VIRGO, il rilevatore italiano di onde gravitazionali:

Un altro punto di forza del JRC di Ispra è il laboratorio Vehicle Emissions LAboratory (Vela), dove vengono condotti studi sulle emissioni dei veicoli ibridi ed energetici. Per raggiungerlo, così come per spostarsi da un qualsiasi edificio all’altro in questo sito, bisogna prendere la macchina e percorrere qualche chilometro. Arrivato a destinazione, vengo accolto dal vice capo unità Giorgio Martini, che mi spiega che la mission del laboratorio è “fornire un supporto tecnico scientifico ai colleghi di Bruxelles che si occupano delle normative sulla certificazione e omologazione dei veicoli, comprese quelle riguardanti il rispetto dei limiti di emissioni.”

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I test sono esenti da qualsiasi pressione dei costruttori e nelle stanze del Vela esiste una cella apposita per questo tipo di prove. “Sopra quattro rulli indipendenti possiamo simulare qualunque tipo di marcia con temperature da -30 a +50 gradi,” continua Martini. “Valutiamo l’efficienza di un veicolo elettrico, mentre nel caso di un ibrido o un convenzionale ne misuriamo le emissioni utilizzando un condotto collegato al tubo di scappamento per prelevare dei campioni e osservare la concentrazione degli inquinanti nei gas di scarico.”

Il laboratorio Vela e il suo team. Foto: Indro Pajaro

Le industrie automobilistiche hanno sviluppato dei sistemi di misura portatili per verificare le emissioni e i consumi in condizioni di reale utilizzo, procedura diventata d’obbligo dal settembre 2017 per evitare le manomissioni dei parametri. Un'insidia di cui, come scrive il The Guardian, la Commissione Europea era a conoscenza già dal 2010, tramite un report dello stesso JRC, senza che però venisse fatto nulla per risolvere il problema. I tecnici del Vela hanno avuto l’incarico di metterli alla prova e hanno sviluppato un “ciclo di test” per definire come questi sistemi debbano essere usati, stabilendo temperatura, distanza e velocità da tenere in considerazione per ottenere risultati comparabili.

È stata una necessità accelerata dall’influenza dello scandalo Dieselgate che ha obbligato a compiere importanti passi in avanti, affiancando ai test in laboratorio una prova condotta su strada. Spesso, infatti, dalle case automobilistiche escono vetture in grado di garantire un funzionamento ottimale in laboratorio, ma incapaci di riprodurlo anche nella realtà. “Al momento è stato deciso di inserire come valore tollerato un numero 2,1 volte superiore al limite del laboratorio; nel 2020 sarà ridotto a 1,6 con l’obiettivo finale di portare allo stesso livello i dati tra le emissioni in laboratorio e quelle su strada.”

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Gli studi effettuati nelle sale del Vela sulle auto elettriche si spingono ancora più in là, analizzando quale impatto possano avere i campi magnetici sulla salute delle persone. Nelle pareti della sala attigua sono stati installati dei pannelli bianchi dotati di piastrelle in ferrite completati da coni piramidali in schiuma e carbonio per annullare i riverberi ed evitare la dispersione delle radiazioni.

“Nelle auto elettriche abbiamo correnti di centinaia di Ampere che girano e creano campi elettromagnetici. Dobbiamo quindi capire che cosa si genera, quali possono essere eventuali rischi per la salute dell’uomo e accertarci che le radiazioni non interferiscano con i sistemi di guida oppure con dispositivi medici come i pacemaker,” mi spiega Martini. Per ottenere queste misurazioni, il veicolo viene piazzato su un banco a rulli montato sopra una tavola rotante che consente di arrivare a una velocità di 200 km/h, catturando tramite un’antenna i campi magnetici provenienti dalla sorgente.

Il budget complessivo del JRC relativo al 2016 è stato di 368 milioni di euro, una cifra comprendente tutto il costo del personale, l'operazione e manutenzione dei laboratori, edifici e spazi e attività di ricerca sui 5 siti e la sede di Bruxelles.

L’ultima tappa avviene all’European Microwave Signature Laboratory (EMSL). Dentro una gigantesca camera anecoica vengono testati i sistemi di comunicazione wireless, tra cui quello di navigazione satellitare europeo Galileo. L’imparzialità e la forte protezione del know-how commerciale rendono l’EMSL uno strumento chiave per valutare le potenziali interferenze e vulnerabilità di altri servizi satellitari.

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Le attività non sono però circoscritte solo a queste tematiche. I ricercatori James Bishop e Joaquim Fortuny mi spiegano infatti che all’interno dell’EMSL “testiamo gli Emergency Call, moduli proposti dai vari Paesi dell’UE dei quali ogni auto venduta in Europa a partire aprile 2018 dovrà essere provvista.” Si tratta di una sorta di scatola nera che – allacciandosi a Galileo – invia un segnale al 112 in caso di incidente localizzando la posizione del veicolo. Nel JRC di Ispra è stata inoltre sviluppata nel 2015 un’app per lo studio della banda larga. Si chiama NetBravo, è disponibile per Apple e Android e consente di mappare la qualità e la velocità di una qualsiasi rete 3G/4G o Wi-Fi. L’utente può inoltre scegliere se lasciare i dati del suo test in una banca dati dalla quale i ricercatori possono attingere per i loro test.

Una panoramica del cortile interno del JRC. Foto: Indro Pajaro

Analisi di questo tipo e così complesse – alcune delle quali sono diventate un’unicità del sito di Ispra – vengono interamente finanziate dalla Commissione europea. Il budget complessivo del JRC relativo al 2016 è stato di 368 milioni di euro, una cifra comprendente tutto il costo del personale, l'operazione e manutenzione dei laboratori, edifici e spazi e attività di ricerca sui 5 siti e la sede di Bruxelles.

Questa cittadella che si è ormai svestita del suo passato nucleare – in alcuni casi fonte di preoccupazione tra gli abitanti della zona per presunti pericoli di radioattività – è diventata una fucina del progresso e un attore di primaria importanza nel processo decisionale della Commissione europea. A Ispra, così come negli altri centri JRC, si studiano e sviluppano quegli aspetti-chiave della quotidianità che contribuiranno, nel breve o nel lungo periodo, a migliorare il benessere di tutti i cittadini. Tra i temi in agenda, per esempio, ci sono le colonnine di ricarica fast charging, comparse per la prima volta in Italia circa tre anni fa. Probabilmente in futuro diventeranno un elemento integrante delle piazzole di soste autostradali. C’è una buona possibilità che siano passate da qui.

Segui Indro su Twitter: @IndroPajaro